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Non siamo più normali. Atenei, ferrovie, bus e ospedali: il caos è il nostro destino

Nando dalla Chiesa il . Diritti, Economia, Istituzioni, Lavoro, Politica, Scuola, Società

Il titolo me lo ricordo bene: “L’impossibilità di essere normale”. Ricordo pure i protagonisti: Elliott Gould e Candice Bergen. E ricordo che era divertentissimo.

Non chiedetemi però quale fosse la trama di quel film di mezzo secolo fa, la memoria racconta solo che c’erano di mezzo degli esami universitari. Fatto sta che quel titolo rimbalza ora nella mia mente come una metafora del presente.

Mi basta ricomporre i pezzi della mia vita quotidiana. Che non è esattamente delle più improbabili e imprevedibili. Poiché in teoria è regolata da giorni, orari, luoghi ed elenchi di competenze formali. E dunque la normalità dovrebbe esserne l’imperativo supremo. Poi però ti guardi intorno, e ti sembra tutto il contrario.

Ti abitui a “sapere” che l’autobus che dovrebbe passare ogni sei-sette minuti passa in realtà ogni venti, che si allungano spesso a venticinque. Non è una variazione da poco. Ti destabilizza nelle tue abitudini. Perché nessuno te la comunica, è una tua conquista cognitiva. E poi pensi con rabbia che con il gelo questo possa avere effetti (e ce li ha) sulla salute degli utenti, che si beccano senza averli potuti programmare freddo polare e magari un supplemento di pioggia.

Certo se il “generale inverno” mandò sparse le truppe di Napoleone, ci si può immaginare che cosa riuscirà a fare con gli utenti di quella linea milanese che scarica ogni giorno centinaia di infermi davanti al grande ospedale cittadino. Sarebbe normale provare a immaginarlo e intervenirci. O no? Ma appunto sarebbe troppo normale.

In questi giorni a Milano si muore di freddo. Le pompe di calore sono saltate in alcune facoltà universitarie ma – così mi raccontano – anche in tribunale. Va avanti così da giorni e giorni, ovvero dal rientro dalle feste, che già lasciano atmosfere di ghiaccio per definizione, dati gli obblighi di risparmiare energia. Le pompe sono usurate, viene spiegato con qualche punta di contrizione. Così la città terziaria, cablata e avanzata, scopre che per lei la manutenzione è una cosa eccezionale, una specie di lusso.

Così come lo sta scoprendo tutto il paese con il sistema ferroviario. Non va la locomotiva, non funziona lo scambio, il treno è in ritardo perché è uscito in ritardo dalla stazione di partenza, non perché ci sono stati ritardi sulla Salerno-Reggio Calabria. È sconsigliabile programmare un viaggio per Roma, non per una località sperduta (che già non sarebbe perdonabile). Se non hai molto tempo a disposizione è meglio non partire, è troppo il rischio di passare in treno il doppio del tempo previsto.

E gli ascensori e le scale mobili pubbliche? Quante volte li trovate inagibili? Non perché ne stiano facendo la manutenzione (magari!) ma perché proprio da tempi immemorabili non funzionano, alla faccia dei disabili che avranno ben dei figli in grado di aiutarli, no? E a causa dei treni in ritardo o in sciopero ci sono università e studi professionali dove si decide che i corsi e il ricevimento clienti il venerdì non si tengono più. Bello, civile, no?

Ci hanno fatto e ci fanno una testa così con i sistemi intelligenti, con i manager dell’organizzazione (ecco le nuove specialità!), con il governo della complessità.

Ma a me, a essere onesti, sembra che stia venendo totalmente meno il governo della semplicità. Che pensiamo alla comunicazione nello spazio e non sappiamo tenere in ordine i tram e i marciapiedi. Che pensiamo a introdurre ovunque l’inglese e non sappiamo garantire il riscaldamento, che spieghiamo stipendi stratosferici con le responsabilità del ruolo e poi chi manda in profondo rosso servizi e conti pubblici se ne va con ricchi premi e cotillons.

Ammettiamolo: siamo immersi in una realtà che non ha nulla di normale. E la spiegazione è semplice: che anche il governo delle cose più minute richiede il rispetto di grandi princìpi.

Quelli che hanno guidato la vita di una magistrata come Giovanna Ichino. Che non c’è più, purtroppo.

Il Fatto Quotidiano, Storie Italiane, 20/01/2024

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