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Lukaku, Vlahovic e gli arbitri sordi ai cori razzisti

Gian Carlo Caselli il . Cultura, Diritti, Istituzioni, L'analisi, SIcurezza, Società, Sport

Quello degli arbitri di calcio è un mestiere oggettivamente difficile e il rischio di sbagliare è sempre in agguato. Ma tra i tanti possibili errori, assolutamente imperdonabile è l’indifferenza verso le forme di razzismo che serpeggiano in alcuni nostri stadi. Specie se l’indifferenza diventa tolleranza o addirittura si ritorce a danno di chi del razzismo è stato vittima.

Mi riferisco soprattutto ai  noti casi di un giocatore dell’Inter (Romelu Lukaku) e di uno della Juventus (Dusan Vlahovic): fatti oggetto di vergognosi e ripetuti cori e gesti razziali, il primo perché “nero” il secondo perché “zingaro”; poi pubblicamente ammoniti dall’arbitro esibendo tanto di cartellino giallo, perché le fasi del gioco li avevano portati a esultare verso i tifosi avversari, nel contempo invitandoli al silenzio dopo gli insulti ricevuti. Il danno e le beffe. Pinocchio tra i due gendarmi….

Vero è che la squalifica di Lukaku (conseguenza burocratica e scontata del cartellino ricevuto) è stata revocata dal presidente federale Gabriele Gravina, mentre nel caso di Vlahovic la Figc è persino intervenuta scusandosi prima ancora che la cosiddetta giustizia sportiva fosse investita della vicenda.

Ma tutto questo (“grazia” ricevuta e ”grazia” anticipata) non fa  che sottolineare il caos che caratterizza il mondo calcistico. Perché il problema non è affatto nuovo e anzi va sempre più incancrenendosi. Come giustamente osserva su questo giornale Gigi Garanzini, là dove parla di “questi quattro deficienti che nel frattempo sono diventati legioni proprio perché nessuno se ne va mai” dal campo, mentre si era detto e giurato  che questo fosse il “solo rimedio  possibile”.  Il che però rende evidente che si tratta di un vero, grave problema di “sistema”, che come tale va affrontato e risolto da tutte le componenti del sistema stesso, senza illudersi che domani o dopo domani le cose andranno a posto da sé, trasformando i nostri ribollenti stadi in tranquille  sale da the. Tutte, proprio tutte le componenti del sistema devono farsene carico e intervenire insieme: guai a pensare che tocchi solo a qualcuno, di solito gli altri, occuparsene…

Ma c’è un aspetto ancora più importante. Il razzismo non è certamente questione circoscrivibile al calcio. Si tratta di una grande questione democratica.

Certe idee (?) innalzano barriere che separano. Portano a un pericoloso saccheggio della civile convivenza, che rischia di imbarbarirsi. Sono veicolo inconsapevole di paure e insicurezze che soffocano la voglia di dialogo e di confronto, soprattutto con chi cataloghiamo come “diverso”. Causano il declino, fino alla scomparsa, della voglia di stare insieme. Spingono a rinchiudersi nel recinto del privato e delle angosce individuali. Incidono negativamente – e pesantemente – sulla qualità della nostra vita.

Quando vado nelle scuole a parlare di legalità concludo spesso con una metafora calcistica, osservando  che senza regole non c’è partita o la partita è truccata. E a vincere sono sempre i “soliti”, quelli che hanno tutto da guadagnare se le regole restano inosservate perché possono approfittare delle condizioni di forza, sopraffazione e sfruttamento di cui godono in partenza e continuare indisturbati a prevaricare, con grave ed evidente danno per l’uguaglianza e per i diritti degli altri .

Negli stadi capita appunto di avere a che fare con “bulli” organizzati che si credono chissà chi e agiscono forti della loro  prepotenza vigliacca e della convinzione di poterla fare franca mescolandosi con i semplici tifosi, mentre attivandosi i modi per intervenire efficacemente non mancherebbero di certo.

Ora, sarebbe bello ed educativo se proprio dagli stadi potesse partire e svilupparsi una campagna seria, convinta e convincente, per la legalità contro il razzismo.

Perciò no all’indifferenza. Occorre avere il coraggio di rifiutare i compromessi facendo anche scelte scomode. Altrimenti si affonda. Tutti. Dentro gli stadi e fuori. Perché il razzismo genera mostri.

Fonte: La Stampa, 09/05/2023

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