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Uno scenario criminale sempre più pericoloso per la sicurezza di molti paesi

Piero Innocenti il . Criminalità, Forze dell'Ordine, Istituzioni, Mafie, Politica

La crescente connotazione transnazionale del crimine organizzato deve comportare un costante adeguamento delle risorse degli Stati in termini di apparati di intelligence e di contrasto. Il mercato illecito globale richiede sforzi e dispositivi globali.

I “cartelli multietnici” (così indicati nella Relazione sulla politica informativa e della sicurezza del 1° settembre 2004), hanno monopolizzato segmenti importanti del “mercato” caratterizzato talvolta da veri e propri “baratti criminali”: dal traffico di armi e di stupefacenti allo sfruttamento della prostituzione, dall’immigrazione clandestina al commercio di documenti falsi. Nella relazione citata, per esempio, nel traffico di armi è emerso come spesso ci sia stato lo scambio con droga (Afghanistan), con diamanti (Africa occidentale e nord-orientale) o prodotti petroliferi (Iraq).

Gli scenari criminali che si sono andati delineando nel mondo e l’interazione con il terrorismo costituiscono un quadro di grandissima pericolosità per la sicurezza di molti paesi. La diffusione, a più livelli, di una maggiore conoscenza di questi fenomeni può, forse, aiutare la produzione di “anticorpi” nella società che respinga le metastasi del malaffare.

Se la criminalità organizzata di tipo mafioso nel nostro paese è sempre caratterizzata dalle quattro tradizionali strutture, non può essere sottovalutata la pericolosità dell’affermarsi in Italia di compagini criminali di origine straniera provenienti dall’area balcanica, dal continente asiatico, dal nord Africa e dall’America del Sud. Il traffico internazionale degli stupefacenti è sempre la più importante e redditizia fonte di guadagno.

La “globalizzazione” nel commercio mondiale criminale funziona egregiamente e, quel che è peggio, sempre più spesso troviamo questo genere di crimine intrecciato non solo con settori corrotti delle classi dirigenti, ma anche con gli interessi, le operazioni, gli agenti delle organizzazioni estremiste, rivoluzionarie, terroristiche.

Le esigenze di finanziamento per il reperimento delle armi, per l’addestramento o per la corruzione dei rappresentanti legali degli Stati o per la semplice sopravvivenza, rendono il fenomeno quasi ineluttabile e sempre più pericoloso, anche perché sempre più ambiguo. Fino a che punto, infatti, sono le motivazioni politiche a dominare la scena e non, invece, quelle economiche criminali?

Si può ipotizzare che qualcun altro, oltre a Bin Laden, avesse calcolato di poter lucrare sul caos e sulle guerre scatenate dal crollo delle Torri Gemelle? Se pensiamo alle speculazioni borsistiche che erano state notate dagli esperti nei giorni immediatamente precedenti l’attentato alle Twin Towers, la domanda non è tanto peregrina.

Una seria strategia di “guerra finanziaria” richiede una rigorosa collaborazione mondiale se vuole essere efficace per togliere i rifornimenti al terrorismo e al crimine organizzato e spesso le risoluzioni dell’ONU e le riunioni delle varie agenzie di coordinamento contro il traffico di droghe e la criminalità hanno per lo più producono montagne di parole e di carte, lasciando sostanzialmente inalterati i prosperi paradisi fiscali e i patrimoni accumulati illegalmente.

Sembrava che si fosse capito che una parte, non secondaria, del denaro che alimenta il nostro sistema finanziario ed economico avesse gli stessi percorsi di quello che alimenta i suoi nemici e potenziali distruttori.

Tanto vischiose sono queste rispondenze che la spinta propulsiva, almeno apparente, che si ebbe poco più di una ventina di anni fa, si è andata gradatamente esaurendo grazie ai nostri disinvolti sistemi finanziari, protetti da altrettanti disinvolti metodi e schieramenti politici.

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