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Perché i brigatisti erano soltanto criminali

Gian Carlo Caselli il . Criminalità, Informazione, Istituzioni, Memoria, Politica, Senza categoria, Società

Il caso Balzerani – De Cesare.

Agli interessanti interventi su La Stampa di Rosy Bindi, Massimo Cacciari e Gianni Oliva vorrei aggiungere alcune considerazioni, cercando di partire dal DNA delle Br “storiche”. Esso comprende (con la lotta politica praticata con la  violenza, senza nessun rispetto per la vita umana) altri importanti elementi strutturali, come la subalternità e l’efficienza.

La subalternità emerge se si considera che i principali momenti di “escalation” criminale delle Br “storiche” si collocano in momenti particolarmente complessi e delicati della vita nazionale: quando il nostro Paese, con fatica e contrasti anche gravi, stava comunque cercando di cambiare.

Nel 1974, nel bel mezzo della campagna referendaria sul divorzio, col sequestro di un magistrato (Sossi: in cambio del quale si chiede la liberazione di alcuni detenuti “politici”), le Br assumono dimensioni nazionali, cercando di accreditarsi come soggetto politico contrapposto allo Stato.

Nel 1976, in concomitanza con elezioni amministrative che stavano profondamente modificando gli assetti del Paese (con il passaggio del timone di molte grandi città all’opposizione), le Br uccidono per la prima volta deliberatamente: massacrando a Genova il Procuratore generale Coco e gli uomini della sua scorta, Saponara e Dejana.

Nel 1978, l’eccidio della scorta ed il sequestro dell’on. Moro avvengono nello stesso giorno in cui (per la prima volta dopo la breve parentesi successiva alla fine della guerra) si forma con fatica un governo che coinvolge anche l’opposizione.

Subalternità significa che le Br – a dispetto di tutti i proclami – sono a rimorchio dei percorsi di cambiamento che il Paese autonomamente sta cercando. Che vuol dire essere parassiti, stabilendosi all’interno o alla superficie del corpo di altri. Ne consegue – per le Br – la necessità di infilarsi là dove ci sono conflitti e si coltivano rivendicazioni a fronte dei mali sociali che più generano dibattito (movimenti, sindacati, correnti di partito….), con la speranza – spesso illusione – di riuscire a reclutare qualcuno tra i più frustati o rabbiosi.

Ma la subalternità non deve far dimenticare che le Br hanno purtroppo  dimostrato di saper essere criminalmente efficienti.

Per l’efficienza bastava davvero poco: un minimo di capacità organizzativa e di attenzione che consentisse di sfruttare le mille  possibilità di mimetizzazione che offre la società moderna. Insieme a una massiccia dose di fanatismo ideologico, sufficiente per darsi il “coraggio della viltà”: quello di gambizzare o uccidere persone indifese, attese sotto casa mentre vanno al lavoro,  sostanzialmente sconosciute e perciò colpite non come persone, ma come obiettivi che corrispondono ai simboli che un’astratta ideologia  ha deciso di abbattere.

C’erano in Italia gravi problemi. Ma la violenza terroristica non ne ha mai risolto neppure uno: semmai ne ha ritardato o impedito la soluzione. In ogni caso, ai problemi esistenti ne ha aggiunti altri, quelli derivanti proprio dal progressivo imbarbarimento del sistema che il ricorso sistematico alla violenza criminale alla fine può produrre.

La realtà del terrorismo brigatista è quella tratteggiata, già nel 1975, nell’ordinanza-sentenza con cui l’Ufficio istruzione di Torino (guidato da un magistrato – Mario Carassi – di cui non si parla abbastanza) disponeva il rinvio a giudizio dei capi storici delle Br: «Si può concedere che la ‘violenza’ delle Br abbia radici inestricabilmente confuse con il  modo con cui è venuta sviluppandosi la società italiana. Troppo spesso, però, le ‘radici’ della violenza vengono sublimate a ‘cause’, quando non addirittura a ‘scriminanti’ di essa: in realtà la violenza è la risposta di chi (a dispetto delle sue illusioni) è incapace di analisi veramente approfondite e insofferente per una valutazione realistica dei dati di fatto, e – quindi – soggetto ai condizionamenti di un’impazienza avventuristica. [Nelle Br] colpisce la mescolanza di radicalismo verbale e nullismo pratico per quanto concerne [il] tentativo di coinvolgimento delle ‘masse’ nella lotta armata contro lo stato, [nonostante] i proclami spesso fondati sul richiamo a luoghi comuni che banalizzano l’intelligenza con ‘evidenze di comodo’, bloccando in realtà ogni filtro critico, con concreto vantaggio degli avversari politici».

Parole che ancora oggi conservano il loro peso.

Fonte: La Stampa, 09/03/2024

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