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Trump non vuole sottoporsi alla giustizia comune

Antonio Di Bella il . Costituzione, Diritti, Informazione, Internazionale, Istituzioni, L'analisi, Politica

Mai nella storia è stato eletto un presidente degli Stati Uniti con un debito di 83 milioni di dollari per una condanna. Ma Trump vuole fare la storia, non subirla. E non vuole sottoporsi alla giustizia comune.

Avrebbe potuto evitare, o comunque limitare, la condanna a un risarcimento così elevato se avesse semplicemente tenuto la bocca chiusa davanti ai giudici. Ma ormai il tycoon di Palm Beach punta tutto sulla Casa Bianca, ritiene che ogni condanna sia una medaglia agli occhi dei suoi sostenitori, è fuori dal controllo di consiglieri politici e avvocati.

Attualmente ha quattro procedimenti criminali nei suoi confronti: insurrezione per l’assalto a Capitol Hill, illeciti finanziari davanti al tribunale di New York, sottrazione di documenti riservati e interferenza nel processo elettorale in Georgia.

La sua strategia è semplice: attaccare tutti i giudici come complici dei democratici da una parte e rimandare il più possibile le udienze per “scavallare” il voto di novembre e poter poi godere dell’immunità presidenziale dall’altra.

Tanti saluti all’eguaglianza di fronte alla legge e alla separazione dei poteri. E tanti saluti ai pochi repubblicani “law and order” della vecchia guardia ormai annichiliti dai rumorosi estremisti trumpiani che hanno conquistato la maggioranza del partito.

Proprio per questo Eugene Robinson sul Washington Post scrive una sorta di lettera ai repubblicani dal titolo “Vote for destruction in november” (votate per la distruzione a novembre). La distruzione politica di Trump, unica speranza nella ricostruzione di un partito repubblicano non più schiavo degli estremisti. Le sconfitte, specialmente se cocenti, sono spesso salutari in politica.

Dopo la catastrofe Nixon i repubblicani dovettero reinventarsi e ricostruirono un nuovo partito che con Ronald Reagan ridisegnò il panorama politico americano. E analogamente i democratici, dopo la sconfitta di Carter, rielaborarono una linea centrista che portò all’epoca Clinton.

L’unica via per salvare la democrazia parlamentare americana e anche il partito repubblicano è batterlo politicamente nelle urne, a novembre in maniera netta, e possibilmente, aggiungo io, clamorosa.

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