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Costituzione. A proposito di riforme e riformatori

Gian Carlo Caselli il . Costituzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica, SIcurezza, Società

Se i gravi problemi di bilancio che ci affliggono lasceranno tempo per altro (ma anche se per far dimenticare i problemi di  bilancio si cercherà di dirottare l’attenzione su altro), stanno per irrompere sulla scena politica tre importanti riforme – o pseudo riforme – di portata costituzionale, nel senso che imporrano una modifica della Costituzione con eventuale verifica referendaria.

Si tratta della riforma del “premierato” (nomina diretta del Capo del Governo), dell’autonomia regionale differenziata e della separazione delle carriere fra Pm e giudici.

Roba come usa dire “forte”, che ci darebbe un nuovo regime (pardon: ordinamento). Ora, poiché le leggi – comprese quelle costituzionali – devono avere gambe robuste su cui camminare e fin dalle prime gambe, cioè quelle dei loro proponenti, è importante vedere chi siano costoro. E quali prove abbiano dato sul piano della fedeltà ai principi e valori  fondanti della nostra democrazia.

Maria Elisabetta Alberti Casellati

Cominciamo da Maria Elisabetta Alberti Casellati, che Giorgia Meloni ha voluto nel suo governo come ministro delle riforme e che si è intestata l’elezione diretta del Presidente del consiglio.

Leggerne la biografia  significa ricordare che dell’area di Silvio Berlusconi e del suo entourage ella è stata uno dei più convinti e  radicali esponenti, tanto da spingere qualche commentatore a usare per lei il termine ”pasdaran”. Come quando parlò di colpo di stato per una sentenza emessa in nome del popolo italiano, sol  perché sfavorevole all’amato Cavaliere; o quando partecipò a una manifestazione di piazza davanti al Tribunale di Milano, per protestare in schiere organizzare contro un processo a suo carico, quasi si fosse sul set del film di Moretti “Il caimano”; o quando esibì un vestito nero, in segno di lutto, nella seduta del Senato che discuteva la decadenza del Cavaliere in applicazione della legge Severino.

In sostanza, una ridotta sensibilità per un’applicazione della legge, almeno tendenzialmente, in modo davvero uguale per tutti, con propensione invece per  una giustizia “à la carte” valida solo per alcuni.

Roberto Calderoli

A Roberto Calderoli, che nel governo Meloni riveste la carica di ministro per gli affari regionali e le autonomie, va ascritto il progetto di “autonomia differenziata”, che secondo i critici più decisi comporta il pericolo che nel nostro Paese aumentino le  divisioni e  le disuguaglianze.

In evidente e insanabile contrasto con l’art. 3 cpv. della Costituzione, secondo cui “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

E diventa pressoché  automatico ricordare che quando il cosiddetto lodo Schifani fu dichiarato parzialmente incostituzionale, vi fu qualcuno che chiese – testualmente – «chi sono questi quindici signori che alla Consulta osano ribaltare la volontà di 450 rappresentanti del popolo?».

Autore di questa brillante performance, guarda caso, era proprio Roberto Calderoli, allora vice presidente del Senato. Ci sarà mica una qualche forma di allergia alla Carta fondamentale ? A pensar male…

Carlo Nordio

La separazione delle carriere fra giudici e Pm, si sa, è il destriero in groppa al quale Carlo Nordio, ministro della giustizia del governo Meloni, è sceso in campo – con avvocati e “berluscones” di vecchia e recente appartenenza – per combattere una battaglia (ossessione?) che ha come scopo ultimo – sulle pagine di Rocca ne abbiamo già parlato – quello di ridurre l’indipendenza dei Pm, trasformandoli in  funzionari ministeriali tenuti per legge a ubbidire alle direttive del potere politico, in barba a ogni prospettiva di autonomia del giudiziario dall’esecutivo.

Accantoniamo almeno per  questa volta, senza però dimenticarle, certe uscite grazie alle quali Nordio ha potuto fregiarsi delle insegne di Marchese del Grillo o di Don Chisciotte: clamorosa quella che le intercettazioni dei mafiosi non servono perché… non parlano al telefono; oppure che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, previsto dagli artt. 110 e 416 bis del codice penale, non esiste nel nostro ordinamento.

Va invece sottolineato che le priorità della giustizia sono ben altre rispetto a quelle che emergono dalle tante dichiarazioni e  qualche proposta di Nordio.

Per esempio c’è il gravissimo e irrisolto problema della sicurezza, assolutamente insufficiente, sul lavoro. La recentissima tragedia sui binari ferroviari di Brandizzo (Torino) ce lo ha ricordato. Istituire una Procura nazionale antiinfortunistica sarebbe cosa buona e giusta. Raffaele Guariniello la chiede da sempre, ma da sempre colui che è riconosciuto come il massimo specialista dell’infortunistica sul lavoro rimane  inascoltato e neppure da Nordio risulta pervenuto un qualche  segnale.

Problemi ben più gravi: l’illegalità economica…

Tutti sanno, o dovrebbero sapere, che il problema decisamente più grave nel nostro Paese è il contrasto della illegalità economica nelle sue principali declinazioni: evasione fiscale, corruzione, mafie –  con un “fatturato” rispettivamente di 120, 60, e almeno 150 miliardi  di euro l’anno, per un totale di 330 miliardi -.

Una colossale rapina, un impoverimento mastodontico della collettività,  costretta a rinunziare a una montagna di risorse che le consentirebbero di vivere meglio. Di questo ci si dovrebbe preoccupare nell’interesse generale.

Per contro  nelle linee guida dei progetti di Nordio compaiono aspetti (in particolare maglie larghe per quanto concerne i delitti contro la P.A. e ostilità verso l’abuso d’ufficio, per di più a rischio di collisione con la giustizia europea) che finiscono per convergere verso prospettive di indebolimento del contrasto della illegalità economica, brodo di coltura dei colletti bianchi e dei peggiori malfattori cui essi prestano ben remunerati servizi.

e la lentezza giudiziaria

Ma il problema dei problemi della nostra giustizia è la durata interminabile dei processi, che produce non giustizia ma il suo contrario: la denegata giustizia.

Ebbene, al riguardo nulla di nulla nei progetti di Nordio. Anzi per certi profili (sembra  impossibile, ma Nordio ci sta provando) persino un peggioramento.

Penso all’introduzione di nuovi reati pur sapendo che non servono a nulla, se non a fare la faccia feroce per rassicurare (ingannandola) la pubblica opinione; penso al ritorno della prescrizione “vecchio  stile”,  per cui ciò che ovunque funziona come mero rimedio fisiologico contro i pochi casi che l’ingranaggio non riesce a concludere, da noi finisce per strutturarsi come fenomeno patologico.

In altre parole, da misura circoscritta a pochi casi limite, che il troppo tempo trascorso rende non più conveniente trattare, la prescrizione si trasforma in una voragine gigantesca che inghiotte senza ritorno un’enormità di processi. La percentuale italiana di prescrizioni è infatti arrivata al 10-11%, contro quella dello 0,1- 0,2% degli altri paesi europei. Una cifra spropositata che è un vero disastro per la nostra giustizia: da combattere, non da riesumare.

Penso anche a una misura destinata inesorabilmente a ingolfare una macchina già in panne, come la moltiplicazione dei giudici che dovrebbero decidere la custodia cautelare in carcere.

E per concludere, francamente fa piuttosto ridere (a denti stretti) leggere che Nordio sostiene che nei suoi programmi di propaganda c’è solo la ”propaganda fide”, nel senso di fede nella certezza del diritto.

Per essere credibili occorre ben altro che una battuta!

* Fonte: Rocca n°19 – 01 ottobre 2023

Rocca è la rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi

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