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Con mafia e terrorismo non si può mai negoziare

Luca Tescaroli * il . Criminalità, Forze dell'Ordine, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica

Estate. È la stagione delle stragi e la fermezza ha pagato

L’estate induce a ricordare la lunga catena di sanguinose testimonianze della ferocia mafiosa e terroristico-eversiva, che hanno caratterizzato, sia pur con intensità differenziata, più città del nostro Paese: Palermo (ove si è assistito alla decapitazione dei vertici istituzionali nel lasso temporale dal ’79 all’83, correlativamente a centinaia di eliminazioni di uomini d’onore e finanche di persone comuni occasionalmente coinvolti), Roma, Milano e Bologna.

Un elenco esaustivo non è agevole, ma alcune possono bastare.

A Palermo, il 19 luglio 1992 vennero dilaniati con un’autobomba Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta.

Il 21 luglio 1979 venne assassinato il vicequestore Boris Giuliano.

Il 28 luglio 1985 il commissario Beppe Montana.

Il 29 luglio 1983 il giudice istruttore Rocco Chinnici, con due carabinieri di scorta e il portiere dello stabile ove abitava.

Si è verificato il 6 agosto 1980 l’assassinio del Procuratore della Repubblica Gaetano Costa e lo stesso dì, cinque anni dopo, furono ammazzati il commissario Ninni Cassarà e l’agente Roberto Antiochia.

Il 3 settembre 1982 è toccato al prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, alla moglie Emmanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo.

Il 15 settembre 1993 fu la volta di padre Puglisi e il 25 settembre 1979 del giudice Cesare Terranova e dell’agente Lenin Mancuso.

A Roma, il 28 luglio 1993 vi furono gli attentati in simultanea alle chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro.

A Milano, poco prima il 27 luglio 1993 (ore 23,14), vi fu la strage di via Palestro, che provocò la morte di cinque persone.

A Bologna, si assistette alla strage della stazione il 2 agosto 1980, con 85 morti.

Tale sequenza di crimini ha generato annualmente numerose cerimonie di commemorazione che inducono i parenti delle vittime, coloro che si trovavano in quelle città e molti cittadini (tanti non ancora nati quando si sono verificati quei delitti) a ricordare ogni tragedia.

A cosa servono o a cosa dovrebbero servire tutti questi anniversari?

Oltre a ricordare quanto è già avvenuto per rendere onore ai caduti e la pericolosità dei gruppi che si sono resi protagonisti di tali azioni, a porre in rilievo la reazione dello Stato e della società civile, a quanto le indagini e i processi hanno consentito di accertare per trarre insegnamento da quanto è avvenuto, per preservare gli strumenti repressivi che hanno consentito di ottenere quei risultati e per non commettere o ripetere errori.

Oggi si può sostenere che, in virtù dell’impegno profuso e di notevoli sacrifici, nel pieno rispetto delle regole, si è impedito che molte altre azioni delittuose si consumassero, perché, per un verso, la cosa nostra dei corleonesi, autore di molti dei delitti ricordati, è stata indebolita sul piano militare, pur continuando a esistere e ad arricchirsi, con una nuova strategia operativa, rifugge il terrorismo istituzionale ed eversivo, senza peraltro abbandonare propositi di aggressione contro servitori dello Stato, ed è alla ricerca di nuovi equilibri interni.

Per altro verso, le compagini terroristiche di estrema destra, che si sono rese protagoniste della strage di Bologna, come del resto il brigatismo di matrice marxista leninista, hanno abbandonato le attività omicidiarie e stragiste e sono state poste quasi in non cale, pur non essendo state del tutto debellate.

La mafia, pur avendo con il terrorismo elementi comuni, fra tutti quello dell’uso sistematico e indiscriminato della violenza, i due fenomeni criminali si discostano profondamente: cosa nostra non è un nemico esterno allo Stato e alle istituzioni, che al contrario permea con maggiore intensità e ampiezza rispetto al terrorismo, costituendone un fattore interno capace di contenderne il monopolio della violenza, il controllo delle pubbliche amministrazioni, del territorio, delle attività economiche e il consenso sociale. Non è legata alle ideologie politiche e ha dimostrato di saper sopravvivere alle stesse, a differenza del terrorismo.

Quel che l’efficace contrasto insegna è che mafia e terrorismo, se si vogliono annientare, debbono essere osteggiate da tutte le forze politiche (come è accaduto per il terrorismo interno), dagli uomini delle istituzioni e da tutti i cittadini.

Nessuno deve pensare di poter interloquire e negoziare con i criminali inseriti in tali contesti, se non nel caso in cui decidano di collaborare con la giustizia, perché altrimenti significa legittimare le loro condotte delinquenziali e rafforzare i loro propositi criminosi. L’imprenditore che accetta di pagare il pizzo, anche per ottenere vantaggi, dà forza alla mafia.

L’iniziativa del 1992 – che vide coinvolto un capitano, il vicecomandante e lo stesso comandante del ROS dei Carabinieri (vicenda rievocata in questi giorni, a seguito del deposito della motivazione della sentenza della corte d’appello di Palermo), conosciuta solo grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca nel luglio-agosto 1996 – di contattare i vertici di cosa nostra per “capire cosa volessero” in cambio “della cessazione delle stragi” produsse l’effetto di convincere i capi mafiosi definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi per l’organizzazione” ed ebbe un “effetto deleterio per le Istituzioni, confermando il delirio di onnipotenza dei capi mafiosi e mettendo a nudo l’impotenza dello Stato”, come hanno evidenziato i giudici della Corte d’Assise di Firenze del giugno 1998, che si sono occupati delle stragi del biennio ‘93-‘94.

Il Procuratore Generale della Corte d’appello di Genova fu assassinato dalle brigate rosse l’8 giugno 1976, durante gli anni di piombo, per essersi opposto allo scambio tra il magistrato rapito Mario Sossi e quelli della XXII Ottobre, sebbene magistrati, opinione pubblica e “garantisti” fossero favorevoli.

* Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Firenze

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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Tra Capaci e Via D’Amelio 57 giorni di piani e stragi

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