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Colombia: Mancuso, i legami con la ‘ndrangheta e l’incertezza della pena

Flavia Famà il . Droga, Giustizia, Internazionale, Istituzioni, Mafie, Politica

Secondo alcune indiscrezioni rese pubbliche dai telegiornali colombiani, il pomeriggio del 27 febbraio 2024 Salvatore Mancuso Gomez farà rientro in Colombia dopo aver trascorso sedici anni negli USA dove ha scontato una pena di dodici anni per traffico internazionale di droga. Viaggerà insieme ad un altro centinaio di persone su un volo organizzato e finanziato dagli stessi Stati Uniti. Ma chi è e perché interessa la sua vicenda umana e giudiziaria non è cosa di poco conto per chi vive da questa parte dell’Oceano.

Mancuso ha origini italiane e sebbene sia una figura semi sconosciuta nel nostro Paese, è un personaggio chiave nella storia del paramilitarismo e del narcotraffico colombiano.

Occorre fare un passo indietro agli anni Novanta quando il governo colombiano, nel ripetuto tentativo di contrastare le guerriglie di sinistra, ha emanato una serie di decreti volti a legittimare la creazione di organizzazioni di «difesa civile», le cooperative di vigilanza e sicurezza privata, le cosiddette Convivir. Erano dei gruppi finanziati dai privati, ma armati e coordinati da polizia ed esercito. Con le Convivir si era data un’ulteriore base giuridica alla formazione di gruppi paramilitari, che negli anni precedenti avevano già insanguinato le strade della Colombia.

Mancuso divenne il capo di una Convivir con una dotazione iniziale di quindici mitragliatrici, quindici pistole automatiche calibro nove e quindici fucili, secondo quanto appurato dalla Soprintendenza della vigilanza e sicurezza privata, l’organo incardinato nel ministero della Difesa con il compito di vigilare su queste cooperative.

In quello stesso periodo Mancuso strinse legami con i fratelli Fidel, Carlos e Vicente Castaño che avevano dato vita, anche grazie al supporto di alcuni narcotrafficanti, al gruppo paramilitare delle Accu (Autodefensas Campesinas de Córdoba y Urabá), un esercito di autodifesa delle terre di quelle zone del paese e di cui Mancuso entrò a far parte nel 1994.

Mancuso giocò un ruolo di primo piano nello sviluppo e nell’espansione del fenomeno paramilitare da lui guidato dal 1997 e che grazie a lui ben presto si diffuse su tutto il territorio nazionale cambiando nome in Auc (Autodefensas unidas de Colombia).

Continuò la sua scalata al vertice dei paramilitari e nel 2001 prese il posto di Carlos Castaño alla guida delle Auc quando quest’ultimo si dimise. Il 10 dicembre del 2004 ha deposto le armi ed è successivamente entrato nel programma previsto dalla Ley justicia y paz. È stato processato il 15 agosto del 2006 e dal giorno successivo è stato privato della libertà.

Mancuso ha svolto per lungo tempo un ruolo chiave anche come intermediario nei rapporti tra i cartelli della droga, i paramilitari e la criminalità organizzata italiana. Ne sono conferma alcune indagini investigative delle autorità italiane secondo cui le Auc avrebbero fatto arrivare tonnellate di cocaina purissima, soprattutto sulle banchine del porto di Goia Tauro, snodo principale del traffico di droga gestito dalle ‘ndrine. Si tratta in particolare di fatti emersi durante l’operazione «Decollo» del 2004 della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e nel 2006 nell’«Operazione Galloway Tiburon», condotta dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che ha prodotto settantasei mandati di arresto, di cui ventitré all’estero. Tra i nomi per cui era stata chiesta l’estradizione, a lungo e inutilmente, c’è quello di Salvatore Mancuso, il quale avrebbe svolto un ruolo di primo piano anche dal punto di vista dell’infiltrazione nella politica sia a livello locale che statale. In quegli stessi anni Mancuso stava negoziando con il suo governo la deposizione delle armi.

Secondo quanto segnalato dalla polizia colombiana dopo l’arresto del capo delle Auc e stando proprio alle dichiarazioni fornite dallo stesso Mancuso nel 2012, colui che ereditò il ruolo di boss ai vertici delle forze paramilitari fu il cugino Domenico Antonio Mancusi Hoyos, anche lui con doppia cittadinanza italo-colombiana, che decise di lasciare la Colombia per rifugiarsi in Italia, dove è stato arrestato una prima volta a Imperia nel 2014. Attualmente è latitante e il suo nome è stato inserito dalla magistratura colombiana nell’elenco dei criminali latitanti più pericolosi. Ma questa è un’altra storia.

Torniamo all’oggi. Cosa succederà al rientro di Mancuso in Colombia? Non è chiaro a quale pena andrà in contro dato che esiste più di un Tribunale competente a giudicarlo per gli stessi crimini. E questa incertezza sul giudice naturale comporta delle grandi differenze per Mancuso.

Secondo la giustizia ordinaria, Mancuso deve rispondere di 75.000 crimini e rischia una pena di oltre quarant’anni.

Se invece si applicasse quanto previsto dal Tribunale istituito con la Ley de justicia y paz (L.975/2005) -sistema giuridico introdotto per agevolare la deposizione delle armi da parte dei paramilitari in cambio di uno sconto di pena per i reati commessi-, rischierebbe fino ad 8 anni, per i delitti specifici della sentenza già emanata nei suoi confronti e non per quello per cui ha già scontato la pena negli USA.

Anche la Giurisdizione speciale per la pace (JEP), istituita a seguito degli Accordi di pace con le Farc del 2016, è competente a giudicarlo ed ha accettato la sua collaborazione non in qualità di criminale di guerra ma riconoscendogli la posizione di intermediario tra la forza pubblica, i paramilitari e la politica.

Padre Francisco de Roux, presidente della Commissione della verità, ha dichiarato in un articolo di Cristiano Morsolin pubblicato sul giornale sur nel settembre 2022, che per poter accedere alla giustizia riparativa della JEP occorre che Mancuso «dica la verità sui suoi alleati politici, imprenditori, militari, della polizia, i suoi alleati criminali a livello nazionale e internazionale con la mafia italiana. Questo implica che restituisca tutti i propri capitali e soddisfi le richieste delle vittime colombiane.»

La Corte Costituzionale, con una sentenza emanata in sessione plenaria il 18 ottobre 2023, si è pronunciata sulla protezione di Salvatore Mancuso. L’incolumità e le verità che può raccontare sono una priorità per il governo guidato da Gustavo Petro. Le sue ricostruzioni possono dare un contributo fondamentale per ricomporre interi pezzi della storia del Paese e dare, finalmente, verità e giustizia alle centinaia di migliaia di vittime del conflitto armato. Ma non solo. Per quanto riguarda l’Italia, sarebbe interessante che fornisse elementi sui suoi rapporti con la criminalità organizzata nel nostro Paese. Se decide di collaborare può certamente essere un personaggio oltremodo scomodo per alcune figure di spicco della politica degli ultimi trent’anni. Se si vuole ricostruire un tessuto sociale lacerato da crimini efferati contro la popolazione civile e la fiducia verso le Istituzioni, è necessario che Mancuso dia un reale contributo alla verità, che lo Stato colombiano sia in grado di garantirne la sicurezza ma ancor di più che sia assicurata la non ripetizione nei confronti delle vittime del conflitto.

Fonte: Articolo 21, 24/02/2024

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