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Caro Coppi, l’omicidio non si può prescrivere

Gian Carlo Caselli il . Costituzione, Criminalità, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Memoria

Con la prescrizione il reato si estingue, vale a dire che non è più procedibile, dopo il decorso di un periodo di tempo che varia a seconda della pena prevista e quindi della gravità del reato.

La prescrizione esiste in tutti paesi democratici e si basa – volendo sintetizzare – sul presupposto che allo Stato non conviene più continuare a perseguire un reato, con le relative spese, quando è trascorso troppo tempo, perché del reato si è persa la memoria, le prove sono ormai difficili se non impossibili da trovare e si presume che la persona da processare possa essere cambiata.

Richiamandosi di fatto a questi principi generali, con un intervento su “La Stampa” di lunedì 8 gennaio, Franco Coppi si chiede “se non sia il caso di tornare sul tema della prescrittibilità anche per i reati come l’omicidio”. Difatti, l’omicidio e altri gravi delitti non si prescrivono mai. Essendo Coppi professore e avvocato penalista fra i più illustri del nostro Paese, senza alcun dubbio le sue tesi meritano il massimo riguardo.

Esse, però, cadono in un momento, come dire, non dei più felici per la discussione. Mi riferisco al fatto che Rai 3, sempre lunedì 8 gennaio, nella trasmissione “Report” di Sigfrido Ranucci ha prospettato una serie di interrogativi e problemi sul sequestro di Aldo Moro che potrebbero meritare nuovi accertamenti. E di sicuro nessuno accetterebbe che fossero dichiarati prescrittibili gli omicidi dello statista e degli uomini della sua scorta. La stessa cosa vale per gli omicidi, per le stragi di mafia e per quelle dell’eversione fascista, i cui processi in alcuni casi sono tutt’ora in corso.

Dunque, la tesi del professor Coppi comporterebbe un intricato corollario di eccezioni e distinguo che rischierebbe di vanificare l’assunto di partenza. Piuttosto, conviene ragionare sulla parola “anche” contenuta nella frase del professor Coppi, cioè sulla prescrittibilità in generale. È evidente, infatti, che un sistema come il nostro, basato su un processo dai tempi lunghissimi, causa centinaia di migliaia di prescrizioni ogni anno.

Di conseguenza, ciò che ovunque funziona come mero rimedio fisiologico contro i pochi casi che l’ingranaggio non riesce a concludere, da noi ha finito per strutturarsi come fenomeno patologico. In altre parole, da misura circoscritta a pochi casi limite, che il troppo tempo trascorso rende non più conveniente trattare, la prescrizione si è trasformata in una voragine gigantesca che inghiotte senza ritorno un’enormità di processi. Tant’è che la percentuale italiana di prescrizioni è infinitamente superiore a quella degli altri paesi europei. Un vero disastro (uno dei tanti) per la nostra giustizia.

Tornando alla tragedia di Aldo Moro, c’è un’ombra che la trasmissione di Ranucci ripropone con vigore. Si tratta della gestione del “memoriale” redatto dal presidente della Democrazia Cristiana durante la sua prigionia, e mai reso pubblico dalle Brigate Rosse.

Basta fare un raffronto con il sequestro Sossi. In questo caso, prendendo spunto da alcune risposte del magistrato agli “interrogatori” cui veniva sottoposto dai suoi carcerieri, le Br denunziarono pubblicamente presunti traffici clandestini di armi coinvolgendo importanti funzionari pubblici. Ciò allo scopo evidente di creare – nel fronte istituzionale – divisioni e fratture di cui potersi giovare.

Completo cambio di registro, invece, nel caso Moro. Nessuna denuncia, nonostante la promessa del primo volantino di divulgare “tutto” ciò che Moro avesse rivelato. E dire che il “memoriale” del prigioniero conteneva crude rivelazioni (a partire da Gladio) e pesanti giudizi su importanti personaggi pubblici (a partire da Giulio Andreotti), che nell’ottica criminale delle Br avrebbero “dovuto” essere sfruttati da chi stava facendo la guerra allo Stato: in modo da provocare nel fronte avversario contrasti e divisioni, in particolare in quella che le Br (comunicato numero 8 del sequestro Moro) usavano definire la “cosca democristiana”.

Questa mancata utilizzazione di materiale dal potenziale dirompente – spiegherà poi con scarso senso del ridicolo il signor Moretti – è dipesa dal fatto che non ne avevano capito la rilevanza e la portata politica. Tutto può essere, ma se le cose stanno come dice lui, Moretti – invece che il terrorismo sanguinario – avrebbe dovuto scegliere un altro mestiere.

Certo è che si profilano ombre pesanti. E se mai qualcuno si proponesse ancora di dissolverle, la prescrittibilità degli omicidi potrebbe essere di ostacolo.

Fonte: La Stampa

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