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30 anni dalle stragi del 1992. Alle vittime in attesa di verità la nostra promessa d’impegno

Vivi - Libera Memoria il . Diritti, Forze dell'Ordine, Giustizia, Mafie, Memoria, Società

Dopo trent’anni da quel drammatico 1992, la sensazione è di dover fare ancora i “conti” con quanto accaduto a Capaci e a Via D’Amelio, come se i pezzi mancanti di verità legata alle stragi risaltassero oggi come delle crepe su una superficie che, invece, vorremmo più liscia, quasi levigata dal trascorrere del tempo.

Di fronte alla complessità della realtà storica che quei due eventi esprimono, la tentazione è di offrire alle vite spezzate delle vittime, ai loro familiari e ai sopravvissuti, una commemorazione, una cerimonia che rievochi quanto accaduto e che, in qualche modo, ci tenga uniti con la sua ritualità. I riti hanno un significato importante e, in alcuni momenti storici, hanno il ruolo di accompagnare chi sopravvive a eventi tragici.

Ma senza nulla togliere alla necessità, in alcuni passaggi, dei momenti rituali, sentiamo profondamente che dopo tanti anni commemorare non basta.

Abbiamo bisogno di rendere la memoria delle stragi un vero processo che accompagni la comunità verso una meta collettiva che, evidentemente, è ancora imbrigliata dagli interessi di alcuni e da ostacoli che resistono al tempo.

Trent’anni, però, non sono trascorsi senza segnare tappe di cambiamento personale e collettivo, in moltissimi di noi che in quegli anni eravamo già nati. Pensiamo, ad esempio, a quanto il dolore dei familiari delle vittime ha scavato nelle nostre vite, trasformandosi in riflessioni, impegni, percorsi e, se possibile, aprendo una finestra su altre storie accadute anni prima che, all’improvviso, sono apparse collegate tra loro. In particolare, il processo di costruzione di una memoria comune ci ha reso evidente che tutto si tiene e maggiore sarà l’approfondimento sulle fonti che danno vita ai percorsi, più forte sarà la possibilità di non lasciare indietro nessuna storia.

Le date del 23 maggio e del 19 luglio rappresentano non solo un passato da comprendere fino in fondo, ma anche un riferimento storico importante. C’è anche un’altra data da tenere a mente, il 26 luglio di quello stesso anno: una data che ci riporta al cuore la storia di Rita Atria, una storia di denuncia e di coraggio, che dopo l’uccisione di Paolo Borsellino si tolse la vita.

Quanto accaduto in quel tempo innerva una memoria che non può che spingere a delle scelte di campo nell’oggi: la memoria porta con sé un’etica, un senso profondo da non sottovalutare, che ne è la sostanza ma anche il contenuto dinamico che determina l’affermazione dell’esigenza di verità e giustizia di ogni persona e che ci spinge all’impegno.

Ci capita di imbatterci nell’utilizzo del concetto di memoria con un’accezione sempre più appiattita e limitata, come se avessimo rinunciato ad un vero e proprio strumento di conoscenza e ricostruzione della nostra identità, in cui una parte importante è la scelta di impegnarsi per il presente e il futuro.

È necessario recuperare l’intento di costruzione di memoria comune, che ci renda capaci di una lettura attenta di come i fenomeni mafiosi e corruttivi sono cambiati e colpiscono il nostro mondo. Solo così non tradiremo l’impegno professionale e di vita dei due magistrati e delle persone che in quelle terribili giornate persero la vita.

A partire da queste e da altre riflessioni, abbiamo pensato di dedicare il nostro percorso annuale di riflessione sul diritto alla verità alle persone che in quei tragici eventi persero la vita e ai loro familiari, senza mai dimenticare i sopravvissuti di quelle stragi.

In questi trent’anni i familiari delle vittime delle stragi del 1992 hanno continuato incessantemente a chiedere che fossero scritte pagine di verità e giustizia sui gravissimi eventi che avevano strappato i loro cari alla vita. Al loro fianco si sono poste istituzioni sane del nostro Paese, ma anche cittadine e cittadini che hanno creduto che conoscere la verità fosse fondamentale, un bisogno ineluttabile della nostra stessa democrazia.

La rete associativa di Libera parte da lontano e vide, proprio negli anni successivi alle stragi, muovere i suoi primi passi di memoria e impegno: pilastri fondanti che hanno acquisito sostanza e senso proprio dall’incontro con moltissimi familiari di vittime innocenti di mafia, venendo così in contatto con le tante esperienze, estremamente faticose, dei loro percorsi per la richiesta di verità e giustizia.

La scelta di costruire una memoria comune capace di affermare i diritti delle vittime, ci pone al fianco di chi prosegue nel suo cammino di conoscenza della verità processuale, storica, sociale, guidandoci nella richiesta che nel nostro Paese sia scritto un vero e proprio diritto alla verità, che si configuri come diritto fondamentale della persona, inalienabile, corollario del diritto stesso alla vita.

La verità è un diritto della vittima e dei familiari che vivono il dolore della perdita, ma è anche diritto della collettività a conoscere la verità storica di crimini che hanno minato lo Stato di diritto e, di conseguenza, la democrazia stessa.

A distanza di trent’anni una parte importante della verità attorno alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio è stata scritta, ma occorre una verità che sia completa, l’unica in grado di garantire piena giustizia e conoscenza. Una richiesta, quella della piena verità, che nutre il nostro percorso di memoria comune, rendendolo vitale e mai retorico stimolo di impegno collettivo nel contrasto alle mafie e alla corruzione.

La verità, che sia libera dai depistaggi, dalle alterazioni, che sia diritto ma anche dovere, è il filo prezioso che può ricucire lo strappo che le stragi causarono nel corso del nostro Paese, costituendo oggi una linea di demarcazione nelle esistenze di chi ha vissuto direttamente il dramma, ma anche nella storia stessa dell’Italia repubblicana.

Nel trentennale delle stragi che hanno cambiato la storia del nostro Paese, vogliamo ricordare quanto è accaduto dando voce al bisogno di verità dei familiari delle vittime di quelle stragi e di tutte le vittime innocenti di mafie e corruzione che ancora oggi gridano verità e giustizia. Nei prossimi mesi, pubblicheremo sui nostri canali di comunicazione web e social, pensieri, riflessioni, ricordi, testimonianze di quanti ieri come oggi lottano per il diritto alla verità di tutte e di tutti.

A Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello, Giuseppe Costanza, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Antonio Vullo, Rita Atria…

A loro e a tutte le vittime innocenti ancora in attesa di verità va la nostra promessa d’impegno.


Le vittime del 23 maggio 1992

Rocco Dicillo

Capaci (PA) // 23 maggio 1992 // 30 anni

Giovanni Falcone

Capaci (PA) // 23 maggio 1992 // 53 anni

Antonio Montinaro

Capaci (PA) // 23 maggio 1992 // 29 anni

Francesca Morvillo

Capaci (PA) // 23 maggio 1992 // 47 anni

Vito Schifani

Capaci (PA) // 23 maggio 1992 // 27 anni


Intervista a Tilde Montinaro, sorella di Antonio

 


Intervista a Michele Dicillo, fratello di Rocco

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