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Il solo addio alla mafia è il pentimento. No a scivoloni nel 30ennale di Capaci

Gian Carlo Caselli il . Diritti, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica, Società

Ergastolo ostativo, tempo scaduto. Libertà condizionale per chi non si pente: la Consulta ne discute di nuovo. Il testo attende il sì del Senato. Siamo in zona Cesarini e un k.o. sarebbe uno sfregio alle vittime dei clan

Con un’ordinanza del 15.4.2021 la Consulta ha “aperto” ai mafiosi non “pentiti” l’ergastolo ostativo per quanto riguarda il beneficio della liberazione condizionale. Gli effetti della pronunzia di incostituzionalità sono stati differiti affinché il Parlamento potesse intervenire.

Il termine fissato (un anno) sta per scadere. La Camera ha approvato a larghissima maggioranza un testo che ora attende l’approvazione definitiva del Senato. Ma ormai siamo in piena in “zona Cesarini” e perdere una partita che si può vincere sarebbe – alla vigilia del XXX anniversario di Capaci – uno sfregio alle vittime di mafia. Tutte.

La Consulta ha motivato il differimento con il rischio “di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”. Così riconoscendo che bisogna fare attenzione, toccando una componente dell’architettura complessiva antimafia, ad evitare che questa possa cedere  tutt’intera. Perché – dice ancora la  Consulta – la mafia ha una sua “specificità” rispetto alle altre condotte criminali associative; e  la collaborazione di giustizia è un valore da preservare.

Di questi “paletti” – a mio avviso – il legislatore ha tenuto conto elaborando una soluzione che evita contraccolpi troppo rovinosi per l’antimafia.

Rimango dell’opinione (fondata sull’esperienza concreta e sugli studi relativi alla mentalità mafiosa) che l’unica prova univocamente affidabile di voler disertare davvero dall’organizza­zione criminale, cessando di esserne strutturalmente parte, è il “pentimento”. I mafiosi “irriducibili” che rifiutano ogni forma di ravvedimento operoso attraverso la collaborazione con la giustizia non offrono tale prova. E,  pur potendolo, non contribuiscono, con la ricostruzione della verità (pensiamo alle ombre che ancora vi sono sulle stragi), a realizzare quella “giustizia riparativa” che è giusto pretendere sempre.

Tuttavia il legislatore, vincolato dalla Consulta a non fare del pentimento una “conditio sine qua non” dei benefici, ha saputo trovare una via di mezzo che non svaluta il “pentimento”: perché in sua assenza richiede la sussistenza e la verifica di tutta una serie di specifici elementi concreti che in complesso dovrebbero riuscire a fronteggiare quel salto nel buio che senza “pentimento” si  rischia sempre. In altre parole, rimane – sia pure corretto – il “doppio binario” per i mafiosi non pentiti, in quanto rispondente a criteri di ragionevolezza basati sulla concreta specificità del problema mafia.

Così, può dirsi raggiunto un obiettivo che rientra nello spirito più profondo della Carta. Essa vuole che ai nemici della democrazia sia riservata un’attenzione particolare (lo esplicita l’art XII disp. transitorie  e finali).

Qual è il rapporto dei mafiosi con la democrazia? Il mafioso è vissuto e vive per praticare un metodo di intimidazione, assoggettamento e omertà capace di dominare parti consistenti del territorio nazionale e momenti significativi della vita politico-economica del Paese. In questo modo il mafioso contribuisce in maniera concreta e decisiva a creare tutta una serie di osta­coli di ordine economico e sociale che limitano fortemente la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana.

In altre parole, il mafioso è la negazione assoluta e al tempo stesso un nemico esiziale dell’articolo 3, architrave della Costituzione. È allora evidente che il legislatore, nel rispetto dovuto alle direttive della Consulta, non ha dimenticato l’esigenza primaria di difendere la nostra democrazia.

Andrea Camilleri, illustrando in un suo librino il gioco  del cumerdiuni (aquilone), racconta di chi sapeva “governarlo quando per correnti avverse principiava a capozziare, vale a dire ad andar giù di punta”. La speranza è che anche i senatori sappiano come fare per non capozziare.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 10/05/2022

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