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Quel 25 Aprile 2011, quando Roberto Morrione ricordò Vittorio Arrigoni

Articolo 21 il . Cultura, Diritti, Informazione, Memoria, Politica, Roberto, Società

Roberto Morrione fu invitato a tenere il discorso per il 25 aprile 2011 nella piazza di Sasso Marconi. Fu quello il suo ultimo intervento pubblico. Roberto volle essere in quella piazza per parlare agli ultimi partigiani di quelle zone di forte Resistenza Partigiana. Il 15 aprile però venne ucciso “nel lager di Gaza” Vittorio Arrigoni, suo caro amico. Roberto decise così di parlare quel giorno agli ultimi partigiani di un giovane partigiano appena caduto. Quel testo straordinario e attualissimo è stato ritrovato da Mara Filippi Morrione e molto volentieri lo riportiamo integralmente di seguito.

Intervento di Roberto Morrione a ricordo di Vittorio Arrigoni

Città di Sasso Marconi. 25 Aprile 2011

Vittorio Arrigoni è stato salutato per l’ultima volta nel giorno di Pasqua a Bulciago, il paese di cui è sindaco la mamma, Egidia Beretta e da cui era partito per la sua missione di pace a Gaza. Non c’erano a salutarlo rappresentanti di governo. La mamma Egidia Beretta lo ha ricordato con le stesse parole, gli stessi valori che espresse qui a Sasso Marconi, quando venne a ritirare il nostro premio in nome di Vittorio, chiuso nel grande lager della Striscia di Gaza.

A Vittorio Arrigoni sarebbe piaciuto questo 25 aprile a Sasso Marconi, nel ricordo di un’intera popolazione sterminata sulla propria terra, dove voleva solo vivere in pace, fuori dagli orrori della guerra. Il ricordo di tanti bambini, donne, uomini di ogni età massacrati da una mano straniera armata di odio e di una fanatica, disumana ideologia.

A Vittorio, Vik per il movimento pacifista e per i tanti giovani che seguirono le sue drammatiche cronache da Gaza invasa dagli Israeliani, la tragedia delle famiglie contadine uccise su questi monti nel ’44, non avrebbe potuto non ricordare il dramma di quel milione e mezzo di palestinesi rinchiusi nel grande “lager” di Gaza, ai quali dedicava la vita. I pescatori e i contadini che come “scudo umano” difendeva dalle cannoniere e dai tank di Israele che stringevano Gaza in una morsa, dal mare e da terra, per Vik erano fratelli sfortunati cui offrire aiuto, assistenza, voce, perché il mondo ricordasse I ‘orrore e la disumanità che soffocano i diritti di un popolo.

C’è un filo sottile, ma forte, che unisce le vittime delle rappresaglie naziste del ’44 alle sofferenze dei palestinesi di Gaza. Al di fuori di ideologismi e impossibili quanto ingiusti paragoni storici, quali l’assimilare il comportamento di Israele a quello del Terzo Reich, è il filo della sofferenza dei civili, del diritto a esistere, calpestato dalla logica delle armi e del più forte per numero di missili e carri armati, ma ben più debole nelle motivazioni ideali di fronte a quella parte di mondo che ritiene più importanti l’umanità e i diritti dei popoli rispetto agli interessi geo-politici e ai complessi equilibri internazionali.

Vik, volontario dell’International Solidarity Movement si era stabilito a Gaza nel 2008 e da allora quella terra martoriata era diventata la sua seconda patria. Più volte arrestato ed espulso dagli israeliani, anche ferito in una delle sue azioni di “scudo umano” per i pescatori palestinesi sistematicamente mitragliati, quando superavano la piccola zona concessa dal blocco navale israeliano per trovare il pesce, umica ragione delle loro povere vite.

Nell’inverno 2009, Israele invase la striscia di Gaza in risposta ai missili (quasi sempre fuori bersaglio) lanciati da gruppi estremistici palestinesi. Ventidue giorni di ferro e di fuoco, l’operazione “Piombo Fuso”: migliaia di morti e feriti, la sistematica distruzione di impianti industriali e civili, l’uso di anni proibite dalle convenzioni internazionali, come il micidiale fosforo bianco. Un inferno su cui Israele non aveva voluto testimonianze dirette, impedendo l’accesso agli inviati, ai fotoreporter, alle televisioni. Mentre la stampa di tutto il mondo era costretta a osservare i combattimenti dall’alto di una collina (denominata allora “la collina del disonore”) a Gaza rimase Vik con le sue cronache quotidiane vibranti di storie, racconti, orrori, per “Il Manifesto” e per il suo blog, che fece presto il giro d’Italia e del mondo. I suoi pezzi finivano sempre con un’esortazione, “restiamo umani”, carica di significati, ma anche di una disperata denuncia della realtà.

Fu per queste sue cronache “umane” che la giuria del Premio Città di Sasso Marconi scoprì e volle premiare Vittorio Arrigoni. La sera della premiazione Vik era a Gaza, ma inviò uno straordinario video, dove lo si vedeva in prima linea, con l’immancabile pipa, a sfidare il fuoco delle navi israeliane a fianco dei pescatori e i proiettili di quell’esercito sul confine di terra, in mezzo ai contadini che cercavano un po’ di ortaggi fuori dal durissimo blocco israeliano. Nel video Vik pronunciava solo parole di pace, di speranza, di richiesta d’aiuto alla comunità internazionale.

A ritirare il premio venne la mamma di Vik, Egidia Beretta, sindaco di Bulciago. Pronunciò parole molto belle, di pace e di fraternità, in nome dei diritti delle persone e dei popoli, che sono gli stessi in Italia, a Gaza, nel mondo. Capimmo allora in nome di quali valori Vittorio fosse cresciuto e avesse scelto la strada di attivista e volontario di pace per la causa del popolo palestinese. Tradito dal fanatismo xenofobo di una piccola frangia palestinese, sconfessata dagli stessi Salafiti, barbaramente ucciso in un delitto ancora avvolto da misteri, Vittorio Arrigoni è ora tornato per sempre in Italia.

L’informazione ha seguito il caso in tutte le fasi drammatiche, quelle del delitto, delle indagini di Hamas e della caccia agli assassini, della quale peraltro il quadro è molto incompleto e con lati oscuri. Poi è calato come sempre il silenzio, a dimostrazione di quanto l’informazione in Italia sia debole, condizionata dal potere, incapace, per le sue scelte legate a interessi politici ed economici o per i suoi limiti storici, di approfondire questioni essenziali riguardanti i diritti delle persone e dei popoli.

Il modo straordinario e semplice con il quale Vik descriveva il dramma di Gaza, portava al mondo le sue denunce, cercava di mantenere accesa la luce sulla disumanità del blocco israeliano che stringe alla gola il popolo palestinese, è una grande lezione di buona informazione per noi, che dobbiamo fare una dolorosa autocritica e cercare di superare condizionamenti, viltà, ignoranza e soprattutto mancanza di un’etica nel nostro mestiere.

Cosa ancora più essenziale mentre da parte del governo e del premier si susseguono i tentativi di arrivare a una legge-bavaglio, che, insieme con i pubblici ministeri, colpisca l’articolo 21 della Costituzione, annullando le fondamentali intercettazioni e il dovere di dame notizia ai cittadini.

Qui da noi, come ormai spesso accade nella deriva impazzita che sta devastando il Paese a ogni livello e in ogni campo, non sono mancate velenose polemiche. Come sul fatto che la famiglia non abbia voluto che Vik anche da morto percorresse per un tratto il Paese, Israele, che lo aveva in vita osteggiato, arrestato, minacciato più volte di morte per la sua azione in favore della causa palestinese… Si è arrivati a scrivere che Arrigoni fosse antiebraico, nemico preconcetto di Israele, chiuso a ogni dialogo.  Non è vero: ciò che lo spingeva a unirsi alla causa palestinese era solo l’amore per quel popolo e la difesa dei suoi essenziali diritti, non certo l’odio per Israele.

Dopo il premio, sono rimasto a lungo in contatto con lui, con numerosi scambi di email. Mi chiese anche di aiutarlo a rientrare a Gaza, chiedendo aiuto a una delegazione di euro-parlamentari. Feci ciò che potevo, finché non riuscì a raggiungere Gaza attraverso l’Egitto. Lo intervistai anche a lungo per Cometa, il trimestrale di comunicazione diretto da Giulietto Chiesa. Nell’intervista mi espose con lucidità e convinzione i suoi tentativi di entrare in contatto con i movimenti pacifisti in Israele, per cercare di formare là un’opinione pubblica favorevole a un vero dialogo di pace con i palestinesi…

Allo stesso modo, Vik sapeva differenziarsi da Hamas per le linee autoritarie e centralistiche che venivano imposte alla popolazione, che si trovava così esposta, oltreché al durissimo blocco di Israele, all’integralismo dell’amministrazione interna. Vik era veramente uno spirito libero, un testimone appassionato che ha saputo fino alla fine tenere alta con coraggio e con onore la causa della pace e della libertà dei popoli.

Per il popolo palestinese non c’è purtroppo in vista una giornata come il nostro 25 Aprile e certo lui, che ha fatto tanto per costruirla, non potrà viverla. Ma su quella costruzione di pace e di giustizia, inseguita con coraggio, determinazione, coerenza, Vittorio ha lasciato un segno profondo, non cancellabile. Lo avvertono i bambini e le donne di Gaza, lo avvertono i tanti compagni che hanno scelto di battersi con la non violenza per la causa della pace e dei diritti umani in Italia e nel mondo, lo avverte la sua splendida famiglia, che gli ha dato ieri l’ultimo saluto.

Vittorio Arrigoni è morto come un partigiano, in nome della libertà.

“Restiamo umani”, Vittorio, e insieme mi permetto di dire “Restiamo liberi”: è un impegno che facciamo nostro, in questo nostro Paese che ne ha tanto bisogno, in questo giorno di Primavera che è insieme un giorno di memoria, di speranza, di vittoria.

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