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Sono i giornalisti il primo bersaglio di Putin in Russia

Tiziana Ciavardini il . Corruzione, Criminalità, Diritti, Informazione, Internazionale, Politica

Non deve essere facile il mestiere di giornalista in Russia. Non lo è stato negli ultimi decenni e non lo è sicuramente in questi drammatici giorni di conflitto con l’Ukraina.

Secondo il CPJ il Comitato per la protezione dei giornalisti, associazione nata con lo scopo di difendere la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti in tutto il mondo, la Russia è il terzo Paese al mondo per numero di giornalisti morti dal 1991.

Anna Politkovskaja, assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006, colpevole di aver criticato le forze armate e i governi russi sotto la presidenza di Vladimir Putin è solo l’emblema dei tanti giornalisti e giornaliste uccise per aver cercato di raccontare la verità sul Cremlino.

La Federazione nazionale della Stampa italiana ha aderito in questi giorni anche attraverso un contributo economico alla mobilitazione promossa dalla Ifj e dalla Efj a sostegno dei giornalisti in pericolo in Ucraina a seguito dell’invasione ad opera delle truppe russe e dei sindacati ucraini di categoria, Union of Journalists of Ukraine e Independent Media Trade Union of Ukraine.

«Insieme con i sindacati di altri Paesi europei e del mondo, la Federazione nazionale della Stampa italiana non vuol far mancare il proprio sostegno e il proprio contributo ai sindacati dei giornalisti ucraini e ai colleghi che sono rimasti in prima linea per raccontare le atrocità della guerra e la spietata repressione di cui sono vittime i media ucraini», afferma Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi.

Anche Amnesty International all’indomani dell’invasione dell’Ucraina ha denunciato la campagna senza precedenti lanciata dalle autorità russe, contro il giornalismo indipendente, il movimento contro la guerra e le voci dissidenti. Il Cremlino ha bloccato i più popolari organi d’informazione critici del governo, ha chiuso le emittenti radiofoniche indipendenti e costretto decine di giornalisti a fermare il loro lavoro o a lasciare il paese. In questo modo ha quasi del tutto privato la popolazione di informazioni obiettive, veritiere e imparziali.

Dal 24 febbraio Roskomnadzor, il servizio federale che sovrintende alle comunicazioni, ha istituito una censura di tipo bellico per ridurre al silenzio il dissenso. Lo stesso giorno dell’inizio dell’invasione, ha ordinato a tutti gli organi d’informazione di usare soltanto fonti ufficiali, minacciando altrimenti gravi punizioni per “diffusione di notizie false”. Le parole “guerra”, “invasione” e “attacco” sono state vietate. Il 28 febbraio Roskomnadzor ha bloccato Nastoyashchee Vremya (“Tempi attuali”), collegata a Radio Free Europe / Radio Liberty, per aver diffuso informazioni “inattendibili”. Dal 1° marzo quasi tutti i portali ucraini sono risultati inaccessibili agli utenti russi di Internet.

Nei giorni seguenti, sono stati censurati altri organi d’informazione indipendenti come l’emittente televisiva TV Rain, la radio Ėcho Moskvy (“Eco di Mosca”), il portale Meduza che ha sede in Lettonia, altri organi di stampa russi come Mediazona, Republic e Sobesednik, il portale di attivismo Activatica e i servizi in lingua russa di BBC, Voice of America e Deutsche Welle.

“Un attacco senza precedenti alla libertà di stampa, una censura di guerra che rischia di essere il colpo di grazia a ciò che rimaneva del giornalismo indipendente in Russia” ha commentato Riccardo Noury portavoce di Amnesty International. Il blocco dei portali d’informazione e la minaccia di procedimenti penali hanno causato l’esodo di molti giornalisti. Secondo Agentstvo, un portale di giornalismo d’inchiesta ora inaccessibile, almeno 150 di loro hanno lasciato la Russia dall’inizio della guerra. TV Rain ha deciso di sospendere le trasmissioni per timore di rappresaglie, il canale regionale d’informazione Znak.com ha fatto lo stesso. I proprietari di Ėcho Moskvy, allineati al governo, hanno deciso di liquidare l’azienda. Persino la Novaya Gazeta, l’esempio del giornalismo indipendente diretto dal premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, ha annunciato il 4 marzo che avrebbe rimosso gli articoli sull’invasione russa dell’Ucraina.

Dal 1° marzo Roskomnadzor ha iniziato a rallentare il traffico su Twitter e Facebook, poi ha accusato le due piattaforme di diffondere informazioni inaccurate e infine il 4 marzo le ha bloccate.

La famigerata legislazione repressiva introdotta per reprimere la libertà di stampa e le voci dissidenti è stata a sua volta arruolata in guerra. Il 5 marzo due organi d’informazione specializzati nel giornalismo investigativo, Vazhnye Istorii (“Storie importanti”) e il Progetto d’informazione sul crimine organizzato e sulla corruzione, sono stati etichettati come “organizzazioni indesiderate” ed è stato dunque fatto loro divieto di lavorare in Russia.

Il 9 marzo è stato presentato alla Camera dei deputati un progetto di legge sulla creazione di un “registro unico” di tutti gli ex e attuali impiegati e membri di organizzazioni non governative, associazioni pubbliche, organi d’informazione e singoli individui etichettati come “agenti stranieri”.

Nonostante l’introduzione di norme durissime e la feroce risposta della polizia alle proteste pacifiche, il movimento contro la guerra continua a riempire le strade della Russia. Secondo l’organizzazione non governativa OVD-Info, che monitora il comportamento delle forze di polizia, dal 24 febbraio sono stati arrestati arbitrariamente almeno 13.800 manifestanti pacifici, più di 5000 dei quali solo il 6 marzo in una settantina di città. In Russia le persone private della libertà sono abitualmente sottoposte a pestaggi, umiliazioni e altri maltrattamenti. Molti degli arrestati hanno denunciato di non aver potuto vedere un avvocato e di essere stati privati di acqua, cibo e coperte e lenzuola per dormire.

Infine, il 4 marzo il parlamento russo ha introdotto una norma che criminalizza ulteriormente la diffusione di “false informazioni” sulle attività delle forze armate o il “discredito” nei loro confronti. Chiunque sia accusato di aver commesso questi “reati” rischia multe sproporzionate o una condanna fino a 15 anni di carcere. Nei tre giorni successivi, oltre 140 persone sono state arrestate sulla base della nuova legge, che di fatto impedisce di usare la parola “guerra” e di invocare la “pace”.

Fonte: Articolo 21

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