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MD e Area sulle proposte di riforma dell’ordinamento giudiziario

Redazione il . Brevi, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica, Società

MD sulle proposte di riforma del CSM e dell’ordinamento giudiziario

Le notizie sugli emendamenti che il Ministero della Giustizia starebbe per depositare in parlamento in materia di ordinamento giudiziario impongono, per la rilevanza dei temi in discussione e delle soluzioni che si profilerebbero, e pur in assenza di un articolato scritto, alcune considerazioni immediate, poiché i tempi di discussione ristretti potrebbero condurre a soluzioni legislative distoniche rispetto ai fini dichiarati e soprattutto incoerenti con i valori costituzionali.

Magistratura democratica saluta con favore la proposta ministeriale di modificare le regole sul concorso per l’accesso in magistratura, nuovamente accessibile con la sola laurea in giurisprudenza, come richiesto da tutta la magistratura associata da anni.

Esprime invece netto dissenso per l’ipotesi ventilata di stabilire la segretezza del voto, nel plenum del CSM, per le nomine di direttivi e semidirettivi. La modifica, qualora effettivamente coltivata, è sbagliata e controproducente perché, oltre a impedire l’assunzione di responsabilità da parte dei consiglieri, non inciderà in alcun modo sulle pratiche distorsive, emerse a partire dal maggio 2019, che saranno addirittura coperte da una coltre di “riservatezza”.

Sulla legge elettorale per il CSM

Il sistema proposto prevede sette collegi, che eleggono ciascuno i due magistrati che riportano il maggior numero di voti: per i residui due magistrati di merito verranno prescelti “i migliori terzi” dei quattro collegi riservati alla categoria “merito”. Ciascun elettore, che voterà come ora tre schede (una per la cassazione, una per il pm, una per il magistrato di merito), potrà esprimere un solo voto per ciascuna scheda.

Il sistema comporta quale conseguenza naturale:

  • che la componente togata del CSM sarà riconducibile esclusivamente ai due gruppi di volta in volta maggioritari;
  • che sarà precluso l’ingresso in consiglio agli altri gruppi, che assieme rappresentano al momento un terzo dei magistrati;
  • che diviene del tutto teorica la possibilità, per un indipendente, di essere eletto al consiglio.

Magistratura Democratica sente di dover esprimere fin d’ora il suo dissenso più netto rispetto a questo sistema di elezione di un organo che non ha necessità, per il suo funzionamento, di garantire la formazione di una stabile maggioranza.

Dissenso ancora più marcato perché la proposta non persegue e tanto meno garantisce

  • né il necessario pluralismo della rappresentanza dei magistrati in Consiglio,
  • né un’adeguata rappresentanza di genere.

E, paradossalmente, il sistema proposto conduce a risultati esattamente opposti alle finalità dichiarate di eliminare “il potere delle correnti”, che sceglieranno per ciascun collegio “il” candidato, concentrando su questo le preferenze, in modo da farlo arrivare almeno secondo.

Di nessuna utilità, oltre che incostituzionale, il sorteggio dei candidati qualora gli aspiranti non siano sufficienti a garantire “la scelta”: è praticamente certo che il sorteggiato, oltre a non essere seriamente interessato all’elezione, non sarà in grado di competere seriamente con chi ha alle spalle un gruppo organizzato e portatore di un consenso rilevante.

Ci troviamo di fronte a un grave passo indietro rispetto alle proposte susseguitesi negli ultimi anni, come quella c.d. Silvestri nonché quella Luciani formulata dalla commissione da questi presieduta, peraltro istituita e nominata proprio dalla Ministra in carica.

È invece evidente che un sistema con chiari elementi di proporzionale, non necessariamente per liste, conseguirebbe il duplice obiettivo di escludere, o comunque limitare fortemente, il potere di influenza delle correnti, oltre a garantire la rappresentanza di tutte le idee e le sensibilità che attraversano e vivificano la magistratura italiana.

Il Consiglio Nazionale di Magistratura Democratica

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AreaDG e le ultime proposte di modifica alla legge elettorale CSM

Negli ultimi giorni, in attesa di un testo normativo, hanno avuto diffusione, anche attraverso canali ufficiali, una serie di informazioni relative alle modifiche alla legge elettorale del CSM e ad alcuni aspetti dell’ordinamento giudiziario che la Ministra Cartabia intende presentare in Parlamento. Tali anticipazioni evidenziano una linea di intervento ministeriale che è molto lontana dalle attese e dalle esigenze di riforma della magistratura e dell’autogoverno orientate a rimuovere le cause della deriva correntista e clientelare drammaticamente emersa negli ultimi due anni.

Quanto alle elezioni del CSM, già da tempo abbiamo evidenziato che, per rimuovere le cause del clientelismo sarebbe stato necessario un sistema elettorale improntato a questi principi: 1) assicurare la qualità professionale ed etica nonché l’autorevolezza dei candidati; 2) evitare la concentrazione degli eletti in pochi grandi centri; 3) riavvicinare i magistrati all’autogoverno mediante un sistema che non precluda di fatto candidature estranee alle correnti e consenta agli elettori una scelta realmente consapevole in una platea di magistrati effettivamente conosciuti; 4) garantire la rappresentanza di genere; 5) assicurare che il CSM sia rappresentativo del pluralismo delle idee che caratterizza la magistratura.

Purtroppo, nessuno di questi obiettivi viene centrato dalla proposta di riforma.

Per assicurare la qualità dei candidati è necessario un sistema nel quale gli elettori abbiano possibilità di scelta tra un numero ampio di candidati, soprattutto per stimolare la candidatura dei colleghi più stimati professionalmente e moralmente. Un sistema, quale quello indicato dalla Ministra, caratterizzato da collegi maggioritari bi-nominali di grandi dimensioni, invece, induce a restringere al massimo la platea dei candidati, e perpetra dinamiche di sostanziale designazione degli eletti da parte delle correnti o dei potentati locali che a volte in esse operano. Questo è tanto evidente che il sistema prevede, per compensare questo maleficio, un irrazionale sorteggio di candidati al fine di ampliare la rosa; come se i candidati sorteggiati avessero una reale capacità competitiva e non esaurissero il loro ruolo in quello di meri simulacri di una pluralità di fatto inesistente.

Anche la concentrazione degli eletti in pochi distretti principali non è evitata. Infatti, ipotizzare due collegi per l’elezione dei pubblici ministeri, e quattro collegi per i giudici equivale a riaffermare la regola, operante nei fatti, per la quale gli eletti proverranno tutti dal distretto più numeroso all’interno della circoscrizione elettorale, mantenendo agli altri un ruolo ancillare e di mero sostegno elettorale, ancora una volta privo di reale rappresentanza.

La rappresentanza adeguata di genere è un ulteriore obiettivo mancato, atteso che la legge prevede uno stimolo alla candidatura equamente distribuita tra i generi ma nessuna quota di risultato. L’effetto sarà ancora una volta quello di un CSM nel quale il genere maggiormente rappresentato, ad oggi, nella platea dei magistrati, sarà invece drammaticamente sottorappresentato nel governo autonomo.

Il pluralismo dell’autogoverno, ivi inclusa la possibilità di candidature estranee alle correnti, è sostanzialmente precluso. Un sistema maggioritario, bi-nominale , a preferenza unica con collegi di grandi dimensioni determina che gli eletti saranno tutti riferibili ai due gruppi associativi che raccolgono i maggiori consensi, così lasciando fuori le altre identità culturali. Questo effetto, assolutamente prevedibile, è estremamente dannoso in un organismo che non è sottoposto alle regole della governabilità ma a quelle della rappresentatività. Peraltro, un Consiglio nel quale vi siano due gruppi contrapposti che, alternativamente, acquisiranno una maggioranza relativa di scarsa misura, verrà di fatto dominato dagli eletti dal Parlamento, che costituiranno il vero ago della bilancia. Questa dinamica rischierà di aumentare il peso della politica e dei partiti sulle scelte del CSM, prime tra tutte quelle relative alle nomine dei direttivi, con effetti potenzialmente lesivi dell’autonomia ed indipendenza dei nominati. Un sistema, quindi, che non è impermeabile alle clientele, più che in passato, ma che espone ad una forte interferenza non solo delle correnti ma anche dei partiti politici.

Se auspicavamo un sistema che riavvicinasse i magistrati all’autogoverno dopo gli scandali, questo obiettivo, sintesi dei precedenti, viene definitivamente frustrato. Come potrebbe, infatti, essere più apprezzato dai magistrati un autogoverno composto solo da due anime culturali mentre le altre sono estromesse, senza adeguata rappresentanza di genere, con eletti designati ancor prima delle elezioni e con un fortissimo peso decisionale rimesso a volubili maggioranze?

Preoccupa che la scelta di un sistema così poco adeguato alle esigenze avvenga in un contesto nel quale altre scelte erano possibili. Solo il sistema proposto dal Ministro Bonafede avrebbe prodotto danni maggiori, mentre altri sul tappeto, a partire da quello espresso dalla Commissione presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani, pretermessi senza alcuna argomentazione, avrebbero dato risposte maggiormente soddisfacenti alle esigenze prospettate.

Il Coordinamento di Area Democratica per la Giustizia

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