Uno spettro si aggira per l’Unione Europea: i temibilissimi cicisbei, ricamatori del diritto
Uno spettro s’aggira per l’Europa. Monta ovunque una specie umana non certo insolita ma a cui l’Unione Europea sta offrendo inimmaginabili archi di trionfo: sono i cicisbei del diritto, i ricamatori eccellenti di un diritto così fine, ma così fine, da fuoriuscire non visto, con abilità suprema, dal senno degli umani.
Sono loro ad avere prodotto il memorabile e recente documento della Commissione europea intitolato “Unione dell’uguaglianza”. È il documento in cui, oltre a cose condivisibili, si raccomanda di non utilizzare nomi tipici di una religione, come potrebbero essere Maria e Giovanni, e di non usare più l’espressione “Buon Natale”. Per non erigere barriere tra i popoli. Quasi che l’unione implichi la fine per decreto di tutte le tradizioni e non la loro valorizzazione. Quasi che in un processo di unificazione fondato sul supremo principio di libertà le diversità culturali debbano essere piallate e non accolte.
Come dicono i miei studenti, darei un rene per sapere chi ha scritto quel documento, e passarne in rassegna le espressioni dei visi. Per intuire in controluce, attraverso le nazionalità e le biografie, magari anche attraverso gli sguardi, i processi mentali che hanno portato a concepire una raccomandazione tanto impellente e decisiva per le sorti dell’Europa; salvo concludere, di fronte alla rivolta dell’opinione pubblica non solo cattolica, che il documento andava ritirato perché “non è ancora maturo il momento”.
Qualche lettore vorrà però sapere a questo punto che cos’è un cicisbeo. Sacrosanta curiosità. Dice dunque il dizionario: “Nel ‘700, l’accompagnatore ufficiale di una dama (con una sfumatura di galanteria e leziosità, che non è in cavalier servente)”. Estensivo: “Vagheggino, corteggiatore galante”.
Insomma un signore in parrucchino, amorevolmente lezioso e dedito ad accompagnare la dama di cui è invaghito, la quale potrebbe qui essere metaforicamente rappresentata come la Legge. Un corteggiatore assiduo che, mosso dal suo vanitoso e compiaciuto status e dal totalizzante impegno che ne consegue, non trova ovviamente tempo per vedere o per capire ciò che gli accade intorno. Così da privare di ogni valore sociale lo stesso oggetto della sua passione.
E infatti: si immaginerebbe che gli alfieri europei del diritto vedessero che cosa accade intorno e dentro il loro continente, dalle stragi nei mari alle infernali disuguaglianze degli umani, e dunque reclamassero a voce alta che nell’Unione degli eguali chi vi lavora abbia – dal Portogallo alla Polonia – pari diritti. Di voto e di cittadinanza, o di libera convivenza con i propri figli. Oppure reclamassero che ovunque viga il principio che le imprese paghino le tasse sui loro profitti, con l’assoluto divieto di fioritura di impertinenti paradisi fiscali nel cuore dell’Europa.
Ma i giuristi cicisbei puntano diritti alle vette dello spirito, e inviano piuttosto raccomandazioni sui nomi e sulle feste, responsabili, loro sì, di diseguaglianze insopportabili. E a loro fanno eco quelli che, a partire dall’Italia -paese con il genio del rococò e dell’arte per imitazione-, hanno trasformato in parte i nostri nomi in asterischi. Per renderci davvero uguali.
Venga dunque messo all’indice Giovanni, e anche Maria, ci dicano pure come chiamare i figli. È la burocrazia, bellezza. Come previde Max Weber un secolo fa, è arrivata l’epoca degli “specialisti senza intelligenza”.
Una persona che stimo mi ha obiettato che le mie sono reazioni sarebbero un po’ conservatrici, quasi da “anziano”. Io invece penso che queste fantasie giuridiche certifichino la decadenza dell’Europa ancor più del suo tasso di natalità. Di cui sono precisamente il frutto.
Segno di una civiltà invecchiata e pigra. Senza sangue e senza slanci. L’habitat perfetto e naturale per la specie dei cicisbei. Per il loro pensiero, per il loro diritto.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 06/12/2021
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