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Trapani, i vincitori 2024 del concorso giornalistico “Santo della Volpe”

Redazione il . Cultura, Giovani, Informazione, Mafie, Memoria, Sicilia

Nell’ambito delle iniziative previste in occasione di ‘Non Ti Scordar di me 2024’, la manifestazione dedicata al ricordo delle vittime della strage mafiosa del 2 Aprile 1985 di Pizzolungo, si è tenuta l’ottava edizione del concorso giornalistico “Santo della Volpe”, riservato agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado e promosso dal Comune di Erice (TP), in collaborazione con la Federazione Nazionale della Stampa, l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Usigrai, l’Associazione Libera, Libera Informazione e Articolo 21.

Agli studenti è stato chiesto di elaborare un testo nella forma di articolo giornalistico a partire dalla seguente traccia: «La verità illumina, la verità dà coraggio. Quanta consapevolezza c’è oggi rispetto a questo tema, che vuole anche ricordarci come solo capendo il passato potremo organizzare il presente e il futuro. Lasciare libero corso alla Giustizia deve essere la regola, Costituzionale, principale assieme a quella che riconosce come diritto/dovere quella di informare. Ma è davvero così? E poi è solo questione di Giustizia? È il tempo di indagare la verità con metodi nuovi, quali possono essere?».

Ai componenti della commissione del concorso giornalistico “Santo della Volpe” – i giornalisti Lorenzo Frigerio, Rino Giacalone e Michele Scandariato – sono stati trasmessi in forma anonima i n. 4 elaborati pervenuti al Comune di Erice per la successiva valutazione mediante l’assegnazione di un punteggio (4 punti al primo, 3 punti al secondo, 2 punti al terzo e 1 punto al quarto).

Sulla scorta delle valutazioni della giuria è stato proclamato vincitore dell’ottava edizione del concorso giornalistico Santo Della Volpe l’elaborato n. 3 di Letizia Monaco intitolato: “Liberi di scegliere la verità” con la seguente motivazione: «Lo scritto esalta l’importanza del “diritto alla conoscenza dei cittadini” che deve essere alimentato dall’attività giornalistica che, secondo la lezione professionale e civile di Santo Della Volpe, è in grado di fare luce sulle vicende più oscure e i fatti più controversi. Il richiamo al necessario coraggio per arrivare alla verità diventa così un difficile ma quotidiano esercizio di democrazia, come lo stesso Aldo Moro ha saputo significare fino all’estremo sacrificio per mano criminale. E infatti l’elaborato ci ricorda che “non serve una toga da giudice o una divisa per aiutare la collettività a giungere ad una profonda conoscenza dei fatti. La giustizia e la verità non si studiano in un’aula universitaria, né dipendono dalla professione che si esercita”. Spesso la verità storica arriva prima di quella giudiziaria e la strage di Pizzolungo purtroppo è un classico esempio. Solo dall’impegno personale può nascere il cambiamento collettivo. E la libertà di espressione e di informazione sono fondamentali in questo percorso di crescita civile illuminato dalla Costituzione».

Al secondo posto viene classificato l’elaborato N. 1 di Carlo Lo Fria intitolato “La verità è coraggio, la verità dà coraggio” e corredato da un video della durata di 2’56”. Al terzo l’elaborato n. 4 di Mario Piazza intitolato “Conoscere la verità ci rende liberi” e corredato da un video della durata di 9’49”. Infine, al quarto posto si classifica l’elaborato n. 2 di Francesco Di Gesù intitolato “La verità illumina, la verità da coraggio”.

A seguire i testi degli elaborati che hanno partecipato all’ottava edizione del concorso giornalistico giornalistico ‘Santo della Volpe’.


“Liberi di scegliere la verità”

di Letizia Monaco

Trentanove anni sono trascorsi dalla strage di Pizzolungo del 2 Aprile 1985 che ha massacrato l’allora trentenne Barbara Rizzo e i suoi due gemellini di soli 6 anni, Giuseppe e Salvatore Asta. Stavano percorrendo la strada provinciale che attraversa Pizzolungo, quando furono brutalmente uccisi per mano della criminalità organizzata mafiosa in un attentato che doveva colpire il magistrato Carlo Palermo, rimasto invece illeso.

Uccisi due volte dalle parole dell’allora sindaco di Trapani, Erasmo Garuccio, “a Trapani la mafia non esiste”, sono rimasti per più di trent’anni senza giustizia né verità. Risale al 2019 il quarto ed ultimo processo per la strage, conclusosi con la condanna di Vincenzo Galatolo a trent’anni di reclusione. Non si fermò lì, però, la bramosia di verità di Margherita Asta, sorella dei due gemellini defunti. “Per Pizzolungo attendiamo ancora verità e giustizia, e non è vero che la verità non si possa trovare, perché gira per le strade della mia città, ancora oggi”. Queste le sue parole.

La giustizia, che per essere tale deve essere frutto della verità che “illumina”, è l’unica via da percorrere se si vuole compiere un passo avanti nell’evoluzione dell’umanità intera. Se non si è consapevoli o addirittura non si è a conoscenza dell’errore, come si può imparare, cambiare, migliorare? Non si può. Di sicuro l’omertà e l’illegalità non sono il mezzo tramite il quale si può raggiungere la verità.

La consapevolezza in merito a ciò, soprattutto nei giovani, è incrementata notevolmente in seguito alla perdita di figure come Falcone e Borsellino, uccisi anch’essi per mano mafiosa in nome della giustizia, da loro cercata e perseguita con mezzi legali. Eppure non sempre lo Stato e la mafia sono in contrasto, anzi molto spesso è capitato che i due fossero alleati segretamente attraverso figure istituzionali corrotte. Ma quindi il potere giudiziario è l’unico a poter scavare nella realtà dei fatti?

No. Lo hanno fatto e continuano instancabilmente a farlo tutti i giornalisti che con passione e determinazione cercano la verità.

Lo hanno fatto Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Sì, sono passati trent’anni ed ancora non siamo giunti alla verità… Ilaria Alpi era una giornalista appassionata. Quando è stata uccisa aveva solo 33 anni, li avrebbe compiuti due mesi dopo. Oggi l’inchiesta giudiziaria, alla Procura di Roma, formalmente è ancora aperta ma non sappiamo niente. L’unica verità storica è che Ilaria Alpi è stata uccisa mentre faceva bene il suo lavoro e per oltre 20 anni la sua famiglia, con la voce di suo padre Giorgio e la madre Luciana, non ha mai smesso di chiedere giustizia e verità. Ecco perché non dobbiamo mai smettere di parlarne.

Santo della Volpe, ex presidente della Federazione Nazionale della Stampa italiana e storico inviato del Tg3, era un semplice giornalista che però per tutta la vita ha lottato dalla parte degli ultimi, contro ingiustizie e censure che ledevano il diritto alla conoscenza dei cittadini.

Pertanto l’attività giornalistica non è pura narrazione, ma molto spesso attraverso le inchieste può far luce sulle vicende più oscure. Non serve una toga da giudice o una divisa per aiutare la collettività a giungere ad una profonda conoscenza dei fatti. La giustizia e la verità non si studiano in un’aula universitaria, né dipendono dalla professione che si esercita. Esse sono valori di un cuore puro e luminoso e di uomini coraggiosi. Ecco perché per Aldo Moro “La verità illumina, la verità dà coraggio”. Egli aveva coraggio e cercava la verità, o forse era la verità a incoraggiarlo a continuare a cercarla fino all’ultimo istante della sua vita. Sono passati quarantacinque anni dalla sua scomparsa, ma la sua figura è sempre rimasta un emblema della giustizia.

La verità e la giustizia sono fatte di uomini buoni con buoni intenti, di giovani e anziani, uomini e donne, ufficiali e civili. Semplicemente persone sincere, curiose, e consapevoli che non esiste futuro senza passato. Ma soprattutto che senza presente, senza le nostre azioni quotidiane, nulla cambierà mai. E resteremo eternamente in un buio omertoso a vagare e vivere passivamente, senza una meta, LIBERI DI SCEGLIERE LA VERITA’, senza lasciare un segno.

E così lasceremo le idee di grandi uomini che hanno perso la vita per la giustizia, senza delle gambe per mezzo delle quali continuare a camminare, come avrebbe voluto Giovanni Falcone.

In una città che di verità ne ha oscurate tante e per tanto tempo, forse è giunto il momento di utilizzare gli occhi luminosi dei giovani per ridare un futuro a Trapani.


“La verità è coraggio, la verità dà coraggio”

di Carlo Lo Fria

Il giornalismo, nella storia, è stato e dovrebbe continuare ad essere strumento di denuncia e urlo. Molti sono i nomi che hanno segnato il passato e che a tutt’oggi rappresentano il coraggio del giornalismo soprattutto d’inchiesta che si è posto e si pone come strumento allo scopo di garantire una informazione paritaria e senza canali privilegiati e senza cadere nel rischio di informazioni parziali, inesatte e contraddittorie.

Mauro Rostagno, il giornalista vestito di bianco, di una televisione locale della provincia di Trapani, ha denunciato con grande coraggio le collusioni tra la mafia e la politica locale. La sua trasmissione seguiva le udienze del processo per l’omicidio di Vito Lipari, sindaco di Castelvetrano. Sono trascorsi trentasei anni dall’uccisione di M. Rostagno, il 26 dicembre 1988, ma il suo contributo alla giustizia è notevole perché ha fatto un giornalismo di verità e perché si può fare un grande giornalismo anche da una piccola tv locale.

Ma ricordiamo anche Peppino Impastato, assassinato il 9 maggio 1978, che dalla sua emittente autofinanziata, Radio Out, faceva satira sulla mafia e sui mafiosi, contro quel Tano Badalamenti che lui chiamava “Tano seduto”. Denunciava, Peppino, a voce alta, senza timore o tregua e la sua controinformazione aveva creato un movimento d’opinione vasto e soprattutto giovanile. E sulla scia di Peppino e di Mauro, ma anche di tanti altri nomi che al diritto di informare hanno declinato appieno il dovere dell’informazione, oggi abbiamo tanti esempi di un giornalismo libero, che sfonda ogni tipo di ostacolo alla verità attraverso la parola scritta, che si fa denuncia quotidiana.

Un nome potrebbe essere quello di Roberto Saviano, l’autore di Gomorra, una voce instancabile che di fare gossip non ha voglia, ma di “ entrare nelle persone” ne ha proprio tanta. Dai suoi articoli emerge la verità, incisivamente resa anche attraverso il proprio canale social. Quanto fastidio dà ai potenti il suono della voce di Roberto, che di parlare delle organizzazioni criminali non si stanca mai!

Si ha paura solo di ciò che non si conosce. Sapere, vedere, conoscere: così si tiene a bada la paura. E’ così che possiamo guardare in faccia quello che qualcuno vuole rimanga nell’oscurità, perché “la verità illumina, la verità dà coraggio”.

Un’inchiesta del New York Times aveva stabilito che la morte di 419 corpi trovati morti nella città di Bucha, città dell’Ucraina, erano avvenute tre settimane prima di essere documentate e denunciate. E’ la fine del 2022, mesi e mesi di inchiesta, interviste e filmati. La strage di Bucha si è consumata senza che nessuno sapesse, un mese di crimini nell’oscurità. Non sapevamo di Bucha mentre Bucha si compiva. Della guerra in Ucraina (o di qualsiasi altra guerra nel mondo) ci illudiamo di poter sapere e conoscere tutto.

Non dimentichiamo la giornalista Ilaria Alpi. Era il 20 marzo del 1994. Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin, inviati del Tg3 in Somalia, stavano ricostruendo le piste del traffico di armi e rifiuti tossici di cui il Paese africano era base: avevano scoperto tracce che conducevano fino all’Italia. Quel giorno, a Mogadiscio, un’esecuzione a sangue freddo li fermò. Sono trascorsi trent’anni. Ma le indagini, i processi e una commissione parlamentare d’inchiesta non sono bastati ad accertare i mandanti e il movente ufficiale.

E se è lecito poter affermare che il giornalismo e la letteratura non hanno confini perché “ hanno un territorio comune che è la vita dell’uomo”, in questi tempi moderni spiccano tanti successi editoriali a sfondo cronachistico come quello di Emmanuel Carrére , lo scrittore che assiste al processo sulla strage del Bataclan, di matrice islamica, avvenuta a Parigi nel novembre del 2015. Carrére ce la racconta perché all’orrore bisogna dare un nome, bisogna farlo conoscere, bisogna denunciarlo.

Non si tratta di stabilire una verità giuridica, lasciare libero corso alla Giustizia deve essere una regola, ma si tratta semplicemente di portare a conoscenza fatti di cronaca che altrimenti rimarrebbero avvolti dalla nebbia. Oggi sono tanti i mezzi con cui è possibile denunciare senza che si approdi ad un malsano spettacolo mediatico dove a contare è solo l’audience. Numerosi artisti contemporanei, attraverso le loro opere espresse con un linguaggio di cronaca (film, documentari, fotografie…), svelano gli orrori e l’architettura del male di ieri e di oggi.

Per approdare alla consapevolezza che solo capendo il passato potremo organizzare il presente e il futuro, è necessario INFORMARE perché SAPERE è un diritto.

Si deve continuare a credere alla Giustizia e nelle Istituzioni perché su Mauro, Peppino, Ilaria e tutte le vittime della corruzione e della mafia, non cada il silenzio e si abbassi il sipario.


“Conoscere la verità ci rende liberi”

di Mario Piazza

Indagare la verità è uno dei diritti-doveri fondamentali di chi fa parte del contesto sociale in modo attivo. Tanti sono i magistrati e i giornalisti che si sono spesi per realizzare tale principio, uomini coraggiosi che hanno rischiato l’incolumità per cambiare la società a favore della democraticità e della legalità.

Nella realtà di oggi, in cui ancora persistono i valori mafiosi della prevaricazione e della corruzione, dire la verità rende molesti,
ma è l’unico mezzo per svelare tutti i meccanismi sociali, anche quelli più loschi.

Aldo Moro, statista rapito ed assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978, aveva già espresso in un celebre discorso di grande attualità la forza illuminante della ricerca della verità, perché testimoniare ciò che il potere criminale vuole che non si sappia significa fiaccare l’ignoranza che ne accresce la forza. Ciò poi aiuta ciascuno a non essere spettatore inerte di quello che accade, ma ad avere il coraggio di fare la propria parte per cambiare il mondo.

Un ruolo determinante in tal senso è svolto dalla Magistratura, i cui rappresentanti noti alla memoria collettiva, quali giudici Falcone e Borsellino, Ninni Cassarà, il Gen. Dalla Chiesa, hanno svolto attività giudiziarie tese sia a reprimere che a far conoscere il malaffare che vive della strategia del terrore allo scopo di controllare il tessuto sociale. Ma in realtà anche i mafiosi hanno paura, specialmente delle parole mordaci che svelano verità scomode. Per questo mettere alla luce illeciti ed affari sporchi ne mina direttamente la struttura e ne inibisce il potere intimidatorio.

Non c’è da stupirsi se Falcone e Borsellino siano stati uccisi barbaramente nel 1992 per mano dei corleonesi di Totò Riina per aver avuto, con il maxi-processo di Palermo, il coraggio di lanciare una sfida senza precedenti a Cosa Nostra, gettando le basi per la scoperta di una vera e propria trattativa Stato-Mafia. Emerse infatti dall’esito dei vari processi la presenza, accanto ad uno Stato visibile, di uno Stato occulto complice di patti segreti con la mafia e del cui sistema facevano parte molti colletti bianchi artefici di carriere politiche e fortune economiche.

Da qui la scoperta che l’omicidio del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella e del segretario regionale del PCI Pio La Torre celasse, sotto l’apparente causa mafiosa, una motivazione politica tenuta segreta. E ancora, l’inserimento nel nostro ordinamento del reato di scambio elettorale da parte di Falcone non è forse frutto del desiderio di svelare le trame della parte malata del governo per quella legalità, lesa nel principio di uguaglianza, come vuole l’articolo 3 della Costituzione, nel momento in cui un candidato ricambia il voto di un elettore con favori molto spesso illeciti?

Lo sa bene anche il prefetto trapanese Fulvio Sodano che nel 2003 impedì ai boss di riappropriarsi della “Calcestruzzi ericina” pagando con il trasferimento le accuse al sistema mafia-politica-imprenditoria.

L’arduo compito di togliere il velo della menzogna alla realtà manipolata tocca anche all’informazione. Il sano giornalismo ha infatti come obiettivo quello di spiegare la realtà senza condizionamenti, svolgendo un’importante funzione civica come strumento di lotta all’illegalità e pilastro dello stato democratico perché, per usare un’espressione di Don Ciotti, “solo una democrazia capace di raccontarsi con onestà è una democrazia sana”.

Lunga è la lista dei giornalisti immolati sull’altare della verità.

Ricordiamo Peppino Impastato che con la sua emittente Radio Aut lese gli interessi dei mafiosi di Cinisi e Terrasini tanto da essere ucciso nel 1978, così come Mauro Rostagno, dieci anni dopo, per aver denunciato la collusione tra mafia e politica locale con le sue interviste su Radio Tele Cine.

Come non citare poi Mino Pecorelli, assassinato nel ‘79 mentre lasciava la redazione del giornale OP a Roma, per aver denunciato episodi di corruzione attaccando i poteri forti, tra cui il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, rilanciando le accuse contenute nel memoriale di Moro trovato nel covo delle Brigate Rosse.

La lotta alle storture e ai mali sociali non è però delegabile solo alle istituzioni ma richiede l’azione comune. In particolare la scuola è chiamata ad una funzione di grande responsabilità, cioè quella di forgiare le coscienze dei giovani educandoli ad essere cittadini responsabili, capaci di rompere il silenzio omertoso che è il vero ostacolo alla conoscenza della verità. Tacere facendo finta di non vedere o sentire è un comportamento che getta ombra sulla realtà dei fatti e che tradisce noi stessi e i valori della Costituzione.

Solo infatti attraverso la promozione della cultura della legalità e la sensibilizzazione al rispetto delle norme sociali si può sperare la trasformazione della nostra società in una realtà sana e rispettosa della democrazia, che sappia vivere civilmente secondo giustizia.


La verità illumina, la verità da coraggio”

di Francesco Di Gesù

23 febbraio, in pieno centro a Pisa, a due passi dalla Scuola Normale Superiore una manifestazione, lanciata da Usb con l’adesione di Cambiare Rotta-Organizzazione Giovanile Comunista per esprimere vicinanza al popolo palestinese, si è trasformata in uno scontro con la Polizia di Stato che, in tenuta antisommossa, ha respinto con alcune violente cariche i manifestanti (soprattutto giovani studenti e studentesse) che cercavano di entrare in piazza dei Cavalieri).

Una manifestazione tranquilla senza alcuna forma di violenza è stata brutalmente fermata dalle cariche della Polizia in via San Frediano, con alcuni studenti e studentesse feriti alla testa per le manganellate, carica immotivata, se non per impedire al corteo di raggiungere Piazza dei Cavalieri e manifestare sotto la Scuola Normale per il cessate il fuoco contro la popolazione palestinese – intervengono con disappunto i Cobas Scuola Pisa – condanniamo con forza questa gravissima azione repressiva, che apre una fase nuova, già annunciata dal Ministro del MIM Valditara con gli annunci di provvedimenti disciplinari estremi contro chi occupa: prove tecniche di regime.

Non ci sono giustificazioni per questa azione che inasprisce il clima dell’ordine pubblico nella nostra città, oltretutto andando a colpire studenti e studentesse inermi e che non rappresentano alcuna minaccia.

Dicembre 2023 al teatro della Scala di Milano si inaugura la stagione lirica il “Don Carlo” di Giuseppe Verdi, portato in scena dal regista spagnolo Lluís Pasqual.Poco prima dell’inizio dello spettacolo, dopo l’inno di Mameli, un uomo ha urlato “Viva l’Italia antifascista”. L’uomo in questione – come rivela l’Ansa – è il giornalista di 65 anni Marco Vizzardelli. Sul palco reale è presente Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, e ha il viso visibilmente contratto. La frase pronunciata è in teoria la colonna portante della nostra Costituzione.

Eppure questi due fatti dimostrano che una Costituzione non basta né ad avere il diritto di scorgere la verità né ad aver assicurati i propri diritti.

Che cosa penserebbero i partigiani che han dato la vita per assicurarci una Costituzione che ci potesse tutelare?

Se la Costituzione è antifascista perché le manifestazioni fasciste non vengono interrotte? È davvero solo una questione di quiete pubblica?

Noi che abbiamo studiato attentamente la storia dobbiamo far di tutto per far sì che non riaccadano certi fatti tremendi.

Come l’attuale attività israeliana sulla striscia di Gaza, che se pur l’inizio del conflitto sia nato per atti terroristici di Hamas, adesso sta perseguendo gente indifesa e senza alcuna colpa.

Inenarrabile che al giorno d’oggi un tale azione venga appoggiata, anche da noi, Stato Italiano. Questo genocidio, partito per colpa di Hamas, si è trasformato in una vera e propria persecuzione. Non vedo differenze tra questo e quello che i nazisti facevano agli ebrei, leggere di queste stragi mi fa collegare i pensieri a quando, col Treno Della Memoria, son stato in visita ad Auschwitz, per me non ci son differenze tra i trattamenti ricevuti dai i palestinesi e gli ebrei.

I ragazzi di Pisa infatti, alla luce di questi fatti, sono ritornati a manifestare nonostante le manganellate ricevute.

“Siamo tornati in piazza a una settimana dalle botte”. “Assassini, Assassini, giù le mani dai bambini” urla la folla. Il corteo si muove. Si muoverà sul Lungarno e attraverserà ponte Santa Trinità, per poi dirigersi in via Maggio e finire in piazza Santo Spirito”.

Ancora non tutti hanno espresso il proprio pensiero riguardante questi fatti, rimanendo indifferenti, mi sembra essenziale citare Gramsci: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”.


“Non ti scordar di me” chiude con la premiazione del concorso giornalistico “Santo della Volpe”

Erice (TP), al via l’ottava edizione del concorso giornalistico ‘Santo della Volpe’

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