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Il neodirettore de l’Unità si è posto il problema della dignità dei familiari delle vittime della strage di Bologna?

Loris Mazzetti il . Criminalità, Diritti, Emilia-Romagna, Giustizia, Informazione, Memoria, Politica, Società

Che l’Unità diretta da Piero Sansonetti edita da Alfredo Romeo, l’imprenditore già prescritto per tangenti e co-imputato di Tiziano Renzi in uno dei filoni dell’inchiesta Consip, non abbia nulla a che vedere, non solo con quella fondata nel 1924 da Antonio Gramsci, ma anche con quella diretta da Furio Colombo e Antonio Padellaro, è banale scriverlo, figuriamoci poi se tra le firme si legge il nome di Valerio Fioravanti che il 29 maggio scorso ha scritto un articolo nella pagina appaltata all’Associazione Nessuno tocchi Caino, che da anni si occupa dei diritti dei detenuti, di cui Fioravanti ne fa parte dal 1999, anno in cui ottenne la semi-libertà.

Il direttore Sansonetti, banalmente, ha risposto alle tante critiche sostenendo, come motivazione, ciò che nessuno ha messo in dubbio: “Fioravanti è Caino, Fioravanti è una persona, perché Fioravanti è un essere umano (…)”.

Scrivo questo articolo non a caso nel giorno della Festa della Repubblica Italiana, nata dal referendum del 2 giugno 1946 e dalla Resistenza contro il nazifascismo, consolidata dalla Costituzione che fu scritta dai padri costituenti, che ha per fondamenta la Democrazia.

Il terrorista nero dei Nuclei Armati Rivoluzionari Valerio Fioravanti, autore di 95 omicidi, di cui 85 nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, più 216 feriti, condannato alla pena di 8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi, non è stato solo uno spietato assassino ma, al soldo della P2 di Licio Gelli (mandante e finanziatore insieme a Ortolani, D’Amato e Tedeschi, accusa che secondo i giudici va considerata “un punto fermo”), con la strage di Bologna aveva come obiettivo di colpire al cuore la nostra Democrazia. Nello stesso processo è stato condannato in primo grado l’esponente di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini come quinto esecutore materiale della strage con lo stesso Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini (condannato anche lui in primo grado).

Fioravanti è stato in carcere 18 anni. Per lui, come per la moglie Mambro, è stata applicata la legge Gozzini che ha l’obiettivo di “valorizzare l’aspetto rieducativo della carcerazione rispetto a quello punitivo”. Nulla da eccepire anche se nel caso di questi terroristi neri manca quello che secondo me è il requisito base: il pentimento per ciò che hanno commesso.

È giusto precisare che sia Fioravanti che Mambro si sono sempre dichiarati estranei alla strage di Bologna anche se le prove sono schiaccianti come infiniti sono stati i depistaggi dei servizi segreti che, grazie alla costanza di Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione Famigliari delle vittime della strage del 2 agosto, dal 2016 è reato penale.

Chissà se Sansonetti, oltre all’obiettivo di creare un po’ di attenzione attorno alla sua Unità per vendere qualche copia in più, si è posto il problema della dignità e dei diritti di tutte le vittime e dei loro famigliari? Non credo. Ha già annunciato di voler reclutare Fioravanti, al di fuori della pagina appaltata all’Associazione, come collaboratore del giornale.

Il tribunale di Bologna ha condannato Fioravanti e Mambro al risarcimento per la strage della stazione di due miliardi e mezzo di euro dei quali duecento milioni ai famigliari delle vittime il resto allo Stato per danno d’immagine internazionale.

Da un’inchiesta di Report a firma di Giorgio Mottola, risulta che neanche un euro sia arrivato ai famigliari delle vittime perché i due terroristi neri risultano nullatenenti, la casa dove vivono è di proprietà della figlia a cui fu intestata al momento della compra-vendita quando aveva un anno. Almeno speriamo che i futuri proventi dall’Unità siano i primi soldi di risarcimento per il male fatto.

Fonte: Articolo 21

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