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Il teatro di Pippo Fava, tra copioni e archivio

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Giovedì scorso, 15 settembre 2022, ampia presenza di pubblico al Castello Ursino, a Catania, per il tradizionale appuntamento della Fondazione Fava dedicato al 97° anniversario della nascita di Giuseppe Fava.

In tanti hanno partecipato all’evento “Il Teatro di Pippo Fava, tra copioni ed archivio”, nel corso del quale è stato presentato il secondo volume della collana dedicata al teatro di Fava (Edizioni Bietti di Milano), curato da Massimiliano Scuriatti, scrittore, sceneggiatore, drammaturgo e storico teatrale. Siciliano di Augusta e milanese d’adozione.

Lo stesso Scuriatti ha dialogato con Giuseppe M. Andreozzi, responsabile dell’archivio di Giuseppe Fava, in una conversazione che ha offerto al pubblico presente non solo i dettagli drammaturgici dei testi, ma anche informazioni d’archivio, come le varie stesure prodotte dall’autore per ogni opera, le recensioni che hanno seguito le prime rappresentazioni, e altre notizie e aneddoti.

La prima opera analizzata è stata Delirio, tra le meno note di Fava, andata in scena solo due volte nel 1980. È la storia di quattro mediocri guitti che provano vari spettacoli in cerca di quello che dovrebbe rilanciarli. Un teatro nel teatro, ha detto Scuriatti, che rappresenta non solo il dramma di teatranti lacerati tra Arte e Vita, ma quello più ampio e generale di tutti gli esseri umani che non riescono mai a giocare la loro scommessa con la vita e che anzi sono “giocati” dagli altri. Quattro personaggi ai quali Fava ne aggiunge un quinto, immateriale, il Sogno, che sottolinea la crisi dell’uomo incapace di reagire alle regole del sistema che lo opprime.

Un teatro differente da quello più noto di Fava. Scuriatti definisce Delirio, insieme a Foemina ridens e Sinfonie d’amore, la triade onirica del teatro faviano, in cui l’onirico indica il tentativo di fuga dalla realtà ed è presente, anche se con modalità e tecniche teatrali differenti, nelle tre opere. Tre modi diversi di rappresentare personaggi in crisi; la crisi dell’uomo, leitmotiv di tutto il teatro di Fava.

Dall’archivio emerge che Fava lavorò ai testi di Delirio e Foemina ridens in modo parallelo, come in una sorta di vasi comunicanti, nei quali lo scrutare dentro l’animo umano fluiva dall’uno all’altro. E ciò, tra l’altro, è dimostrato anche dai titoli pensati inizialmente, Creature Recitanti, per il primo, e Creature ridenti, per il secondo.

La collana Bietti prevede la pubblicazione di tutti i testi teatrali di Fava, anche gli inediti e le opere mai rappresentate, ed è la prima edizione del teatro di Fava dopo il 1988, anno di pubblicazione dei quattro volumi editi da Tringale, a Catania. Oltre ad un accurato saggio storico-critico sul teatro di Fava, i libri contengono note introduttive e schede tecniche di ciascun testo, la biografia di Fava e interviste ad attori e altre personalità del mondo della cultura che hanno intrecciato rapporti professionali e di amicizia con l’intellettuale di Palazzolo Acreide.

Nel secondo volume è stato pubblicato per la prima volta anche il copione dell’unica opera di Fava scritta in lingua siciliana: I’ Soltato ‘mballaccheri, con testo italiano a fronte. Un rifacimento in vernacolo martogliano del Miles Gloriosus di Plauto, scritto a quattro mani con Orazio Torrisi. Un testo outsider, comico e grottesco, realizzato appositamente per le tournée estive nei teatri greci siciliani. Un testo abbastanza fedele all’opera plautina, dalla quale si discosta però nel finale. Fava e Torrisi prendono le distanze dalla presa di coscienza morale plautina, per parlare dell’uomo all’ultimo gradino della scala sociale, della malasorte del nullatenente che pagherà sempre, a torto o a ragione, per mano del potente di turno, rappresentato in questo caso da un incavolatissimo Zeus.

Interessante il dialogo tra i relatori a proposito di Ultima violenza (1983), non raramente ricollegata a La violenza (1970). L’unico collegamento che si può fare, ha affermato Scuriatti, è l’impianto scenico, un’aula di tribunale dove si celebra un processo a un consistente numero di imputati. Nient’altro. I tredici anni che separano le due opere sono pregni di avvenimenti che hanno messo profondamente in crisi tutta la nazione e lo stato italiani.

Anche l’archivio conferma questa visione. Lo stesso Fava, in un’intervista del 10 novembre 1983, dopo l’anteprima ufficiale, dice: “L’ultima violenza è quella che non è ancora accaduta ma che potrebbe accadere da un momento all’altro. Anche i missili di Comiso sono Ultima violenza, le stragi mafiose, il terrorismo, la camorra a Napoli. Ultima violenza è il grido di dolore di un uomo che vive dentro queste cose, sente l’imminenza di questo sfacelo e il bisogno di ribellarsi.

Solo una recensione richiama La violenza del 1970, esaltandone la ben più alta drammaticità rispetto a Ultima violenza. Il recensore tenta, senza riuscirci, di smontare l’impianto del teorema di Fava con una netta presa di distanza dalla riflessione dell’autore. Il titolo è Ma la mafia no…, e lo dice chiaramente: la mafia non c’entra! La firma è quella di… Tony Zermo! Già nel novembre 1983, in tempi non sospetti (almeno così crediamo), Zermo ci dà un preambolo degli articoli di depistaggio che avrà modo di scrivere  dopo il 5 gennaio 1984. Di ciò è importante tenerne memoria, ha detto Andreozzi, riferendo i documenti d’archivio.

La rassegna s’è conclusa con Cronaca di un uomo che, pur essendo inserita nel primo volume è stata ricordata in quanto opera prima di Fava, con la quale vinse il Premio Vallecorsi nel 1966.

Hanno completato la serata le performance recitative di Pippo Pattavina (dialogo Orlando – Pupa, da Foemina ridens), Orazio Torrisi (prologo di Palestrione, da I’ Soltato ‘mballaccheri), Miko Magistro (dialogo finale tra l’avv. Bellocampo e Giuliano Sanfelice, da Ultima violenza) e Tuccio Musumeci (Addio alla madre, da Cronaca di un uomo).

La formula “tra copioni e archivio” è stata particolarmente apprezzata. Un commento giunto alla Fondazione sottolinea che essa ha permesso di scoprire nuovi aspetti dell’immensa produzione artistica di Fava, con una restituzione di importanti momenti di vita dell’autore che ampliano notevolmente la conoscenza della drammaturgia di Fava.

Importante la chiosa finale di Andreozzi, il quale ha sottolineato come i tempi siano ormai maturi per procedere a una precisa sistematizzazione, scientificamente organica di tutta l’opera di Fava, dal giornalismo alla pittura, dalla saggistica alla narrativa, alla drammaturgia. Un modo di proseguire il percorso iniziato nel 2019 a Milano con l’evento Giuseppe Fava oltre il giornalismo, del quale Scuriatti è stato propugnatore e co-organizzatore insieme alla Fondazione e al Comune di Milano, rinnovando nell’Accademia e nei giovani studenti l’interesse a studiare Fava, al fine di restituirgli il ruolo che merita di intellettuale a tutto tondo, tra i maggiori degli intellettuali meridionali del secondo Novecento.

Qualcosa si muove, ha aggiunto; con la pubblicazione online dell’archivio è aumentato il numero delle tesi su Giuseppe Fava, non solo a Catania e in Italia, ma anche in Germania e in Belgio. Esiste un premio storico-artistico intitolato a Giovanna Mori per studi sulla pittura e la grafica di Fava e, notizia dell’ultim’ora, la Scuola italiana di Dottorato nel campo dello Spettacolo che opera alla Sapienza di Roma, ha assegnato una borsa di ricerca al progetto “Il teatro e l’archivio di Giuseppe Fava”, presentato dal dott. Lorenzo Randazzo di Palermo che si è classificato al primo posto.

Ottimi auspici per il raggiungimento dell’obiettivo appena manifestato.

Fondazione Giuseppe Fava

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