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Il dolore dei poveri non deve restare inascoltato

Don Luigi Ciotti il . Chiesa, Diritti, Giustizia, L'analisi, Politica, Società

“Non immagini per commuoversi ma persone che chiedono dignità”: questo ha detto Papa Francesco annunciando la settima “Giornata mondiale dei poveri”.

E sempre Francesco, dieci anni fa, all’inizio del pontificato, aveva sottolineato nella “Evangelii Gaudium” la centralità dell’impegno della Chiesa per le persone private della loro dignità: “Qualsiasi comunità di Chiesa che pretenda di stare tranquilla senza occuparsi dei poveri rischia di essere sommersa da una mondanità spirituale dissimulata con pratiche religiose, riunioni infeconde, discorsi vuoti”.

Al rinnovamento della Chiesa auspicato e promosso dal Papa nel segno dell’impegno per i poveri e contro le ingiustizie economiche e sociali causa di povertà, non ha però corrisposto, a livello locale e globale, un impegno della politica. Il dolente popolo dei poveri si è fatto più numeroso – il recente rapporto della Caritas parla di 5, 6 milioni di persone nel nostro Paese – e, di conseguenza, sono aumentate l’emarginazione e l’abbandono, la disoccupazione o l’offerta di lavori indegnamente retribuiti, incapaci di garantire una sussistenza.

Ma è nel mondo intero che si perpetua questa quotidiana offesa alla dignità, come testimoniano le tragedie delle migrazioni, dello sfruttamento ambientale, delle guerre mosse da interessi economici e da un sistema economico che opera secondo una logica bellica, negando l’universale diritto ad esistere. La stessa parola povertà è diventata troppo generica, spesso condimento di vacui discorsi che promettono e non mantengono, esercizi retorici dell’imbonitore di turno. Al dilagare delle povertà materiali ha infatti corrisposto l’impoverimento etico-culturale della politica, perché una politica che non promuove e tutela il bene comune non è più politica ma esercizio di potere. Se la parola povertà designa un “deficit” materiale, nel mondo governato da una politica che sacrifica la giustizia sociale alla “crescita economica”, quel deficit è conseguenza di una perdita, anzi di una emorragia di umanità.

È necessaria allora una rivoluzione delle coscienze, un radicale cambiamento culturale. Che comprende anche una cura delle parole, un ripensamento dei significati. Povertà significa, nel concreto, “stato di bisogno”, ma la parola bisogno non riguarda solo la sfera materiale: il bisogno è anche, anzi prima di tutto, una necessità di relazione, un bisogno di riconoscimento. Le persone povere non basta accoglierle: bisogna anche riconoscerle, cioè metterle nella condizione di raggiungere quell’autonomia alla base della dignità.

Per questo bisogna sottolineare con forza due cose. La prima è che i bisogni sono desideri negati. La seconda, che i desideri non sono appetiti che cercano soddisfazione e, quando non la trovano, se la procurano con violenza non sopportando la frustrazione: non c’entra nulla il desiderio con questa smania di possesso conseguenza della mercificazione delle vite, dei corpi, dei beni. I desideri sono speranze che il genere umano nutre da sempre. Speranze che migliaia di anni fa, quando mise piede sulla Terra, gli fecero rivolgere gli occhi al Cielo alla ricerca di un segno, di un riscontro, di una risposta. Non a caso la parola desiderio deriva dal latino sidera, che significa stelle, astri. I desideri dell’essere umano – oggi come allora – sono speranze di trovare casa su questa Terra, desideri di comunità dove sentirsi non solo amato e protetto ma riconosciuto nel suo impegno a “fare casa” per tutti, a costruire un bene comune.

Perciò una politica che non sappia trasformare quei desideri in diritti, cioè che non sappia costruire ponti fra Cielo e Terra, presente e futuro, uguali e diversi, è una politica che combatterà la povertà solo a parole abbandonando nel frattempo i poveri al loro destino o addirittura moltiplicandoli, come accade in questo tempo di crisi dell’umano. L’universalità dei diritti sociali e ambientali – la casa, il lavoro, lo studio, le cure del corpo e dell’anima – è l’unico vero antidoto alle povertà, alle crisi climatiche, alle guerre. Ben vengano allora le analisi e le statistiche sui “nuovi poveri”, sulle povertà “relative” ed assolute, ma non ci si fermi al dato quantitativo. Le persone non sono numeri, le speranze e i desideri non sono voci di bilancio. Occorre affrontare la questione a partire dalle cause, senza fermarsi alla fotografia e all’illusorio governo dei sintomi.

Sempre nella “Evangelii Gaudium” Papa Francesco ha definito il sistema economico che decide della vita di milioni di persone “ingiusto alla radice” e, sempre in quel testo, ha invitato ad “ascoltare il grido dei poveri”. È arrivato il momento di ascoltare quel grido diventato nel frattempo “voce che implora nel deserto”, perché l’idolatria del denaro ha fatto e continua a fare attorno ai poveri solo terra bruciata.

Fonte: La Stampa, 19/11/2023

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