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C’è bisogno di educatori di coscienze come Padre Pino Puglisi

Suor Carolina Iavazzo * il . Calabria, Chiesa, Dai territori, Giovani, Mafie, Memoria

Domani, 15 settembre, saranno passati 30 anni dall’omicidio di Padre Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio che sfidò la mafia del degrado e della sopraffazione, con gli strumenti dell’ascolto, dell’educazione, della bellezza condivisa. La sua memoria è stata portata avanti dai ragazzi che, grazie ai suoi insegnamenti, riuscirono a sfuggire al destino che sembrava loro assegnato; dai volontari che formò per aiutarne altri e da chi è stato a lui vicino in quegli anni difficili, ma entusiasmanti. Tra loro c’è Suor Carolina Iavazzo, stretta collaboratrice di Don Pino: dopo la sua morte ha raccolto il testimone del suo impegno. Nel 2005 ha fondato un centro a lui dedicato a Bovalino in Calabria. Qui, dove si organizzano laboratori per i bambini e corsi per i ragazzi che altrimenti non troverebbero altri spazi di incontro e di svago, celebrerà una giornata particolare per ricordare Don Pino. La illustra, unendo il racconto del ricordo del parroco di Brancaccio.

In questi giorni ho riflettuto molto sull’emergenza educativa in cui si trova il nostro paese: l’ho fatto mentre preparavo le iniziative in ricordo di Don Pino che prima di tutto era un educatore di coscienze. È una figura che manca nella Chiesa, come nel resto della società: ci si affida alle forze di polizia o alla giustizia umana che può fallire, invece di impegnarsi per offrire dei modelli di riferimento.

Don Pino mirava alle persone, puntava alla loro coscienza per questo teneva molto alla formazione. Voleva fosse un impegno costante: dedicava tempo ed energie alla preparazione dei ragazzi dell’Azione Cattolica che sarebbero diventati a loro volta educatori. Era per lui fondamentale che si lasciasse un segno. Mi guardo intorno e vedo un deserto: rare le anime che hanno a cuore gli altri, mentre cresce il numero degli egoisti e degli egocentrici.

Avverto le stesse criticità nella chiesa: sono molto pochi i sacerdoti che riescono a richiamare i giovani. Sono stata contenta dell’incontro del Papa con la gioventù a Lisbona: i ragazzi e le ragazze erano entusiasti, ma dopo, dove sono, soprattutto, c’è un dopo?

I fatti avvenuti a Palermo e a Caivano mi fanno interrogare. Don Pino era un sacerdote e si definiva un educatore dei piccoli passi: far dire “grazie”, “chiedere scusa”, o domandare “per favore” erano i suoi primi grandi risultati laddove, nel contesto mafioso, non è concepibile il significato sotteso a queste espressioni, al punto che i ragazzi cresciuti nel rispetto di tale codice, si disabituano a pensarle e si vergognano a dirle. Era un successo quando anche solo uno di coloro che frequentavano il centro a Brancaccio imparava ad usare gesti e parole proprie di una sana convivenza civile.

Erano semi: noi, nel suo segno, continuiamo ad essere semplici seminatori.

La giornata del suo ricordo è nata in maniera naturale con questo spirito. Non vogliamo imporre, ma provare ad allettare i giovani a partecipare, ognuno secondo le proprie scelte personali. Alla messa chi vorrà venire troverà, nel momento dell’offerta, i lavoretti fatti dai bambini ai laboratori, porteremo a far conoscere le attività che svolgiamo ogni giorno, dai corsi d’arte alle partite di pallone. Ci sarà il torneo di pallavolo e la sera si potrà vedere insieme il film. Nessuno è obbligato ad esserci, ma ci sono varie opportunità per scegliere di farlo.

Un vescovo, un giorno ci disse che siamo come i seminatori delle palme da datteri: impiegano tantissimi anni a mostrare i frutti, chi le semina difficilmente li potrà vedere. Importante è però seminare, come è scritto nel Vangelo sia nel terreno fertile, sia in quello sassoso. Non sempre i frutti sono visibili, ma bisogna esserci per capire quando iniziano anche solo a sbocciarne i fiori.

Le ragazze e i ragazzi che frequentano il nostro centro, magari saltuariamente, mi chiedono quando sarà la messa, si sono interessati, molti di loro sanno chi era Don Pino perché hanno voluto conoscere la sua storia e se lo sono ricordato. Nel 2013 quando è stato nominato Beato abbiamo piantato un albero di pepe rosa, sotto abbiamo posto una targa con il suo nome, attaccati agli alberi ognuno ha attaccato un bigliettino arrotolato con un proprio pensiero, alcuni sono ancora lì. È stata proprio una bella celebrazione per tenere viva la memoria!

C’è molta attenzione per la sua figura, ho ricevuto diverse chiamate e messaggi anche da persone che non conosco personalmente, affascinate dalla sua storia. È un segnale che mi fa ben sperare sulla possibilità che il suo modo di vivere le tante responsabilità di cui si era fatto carico, non cessi di essere di esempio.

Don Pino era sempre solare, amava scherzare, nonostante i numerosi impegni che seguiva per la Diocesi e i timori che non nascondeva, si fermava a parlare perché gli interessava ascoltare, confrontarsi e raccontare con il sorriso. È un altro dei ricordi e dei segni che porto di lui: anche io se mi trovo in difficoltà, quando sono tesa, vado a cercare motivi per sorridere e riprendere il buonumore necessario.

È la gioia che manca a tanti: i problemi restano, tanto vale trovare il modo di affrontarli con un atteggiamento positivo. Don Pino era un prete gioioso, così lo ricordiamo tutti i giorni, non solo il 15 settembre.

* Collaboratrice di Don Pino Puglisi, fondatrice del Centro Don Pino Puglisi di Bovalino

Bovalino, le iniziative per il 30° anniversario

Fonte: Avviso Pubblico. Enti locali e regioni contro le mafie

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