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Don Ciotti vittima di quel negazionismo sulla mafia che scredita chi lancia un allarme

Tonio Dell'Olio il . Calabria, Chiesa, Criminalità, Istituzioni, Mafie, Politica, Sicilia

La denuncia del fondatore di Libera non è una boutade estiva e tantomeno una provocazione all’indirizzo di Salvini ma di una denuncia che chiede vigilanza e attenzione. La risposta sarcastica dell’attuale ministro alle Infrastrutture appare del tutto fuori luogo e assolutamente impropria perché il tema è drammaticamente serio: le mafie non si sono mai rassegnate a perdere un treno nella corsa agli appalti pubblici e ancora meno in territori che conoscono bene e tendono a controllare come la Sicilia e la Calabria.

Si era nell’agosto 2001 quando Pietro Lunardi, ministro delle infrastrutture e dell’industria del secondo governo Berlusconi, nel corso di una maldestra intervista, proferì le famose parole: “I problemi della mafia e della camorra ci sono sempre stati e sempre ci saranno, purtroppo ci sono, bisogna convivere con questa realtà. (…) Questo problema però, non ci può impedire di fare le infrastrutture.” Secondo il ministro della Repubblica, pertanto, con le mafie bisogna convivere, ovvero questo Paese è fatalmente destinato a non riuscire nell’operazione di scrollarsi di dosso il peso soffocante della malavita organizzata.

Era la resa dello Stato. Ma se tutti ricordano, e talvolta citano, quelle parole, non tutti forse ricordano il contesto in cui furono proferite. Quel governo aveva scelto la grande opera della costruzione del ponte sullo stretto di Messina, come fiore all’occhiello della rinascita infrastrutturale della nazione e con determinazione degna del più intraprendente degli imprenditori, il Cavaliere si era infilato quel fiore al bavero del suo doppiopetto e non perdeva occasione per ostentarlo.

Le cose erano andate avanti, si era costituita una società ad hoc ed era stata indetta una prima gara per un concorso di idee progettuali. Alcuni operatori della Direzione Investigativa Antimafia nella loro relazione semestrale tra le altre cose resero nota un’intercettazione telefonica che partiva dal Canada da parte di un boss del clan Caruana-Cuntrera in cui si affermava che non sarebbe stato difficile aggiudicarsi l’appalto per la progettazione e la direzione dei lavori per la storica realizzazione.

Fu a quel punto che, di fronte all’incalzare della stampa, il ministro rispose come abbiamo visto.

La denuncia di Luigi Ciotti non è una boutade estiva e tantomeno una provocazione all’indirizzo del ministro degno erede di Lunardi. Si tratta piuttosto di una messa in guardia, di una denuncia che chiede vigilanza e attenzione. La risposta sarcastica dell’attuale ministro alle infrastrutture appare del tutto fuori luogo e assolutamente impropria perché il tema è drammaticamente serio: le mafie non si sono mai rassegnate a perdere un treno nella corsa agli appalti pubblici e ancora meno in territori che conoscono bene e tendono a controllare come la Sicilia e la Calabria.

Per questo, in qualche modo la risposta sarcastica quanto piccata del ministro, suona come un’eco di conferma delle parole del 2001 e tenta di gettare fango sull’azione dell’antimafia sociale che Luigi Ciotti rappresenta da tanti anni in questo Paese e non solo. Non ha bisogno di difensori d’ufficio ma di chi possa fare piuttosto chiarezza rispetto agli appetiti mafiosi che non si sono mai spenti.

Il progetto del Ponte sullo stretto rappresenta un piatto troppo ricco perché le cosche possano restarne estranee spettatrici. Siamo tutti pronti a scommettere che le società fittizie sono già costituite, che i migliori esperti dell’ingegneria dei ponti siano già cooptati e che i certificati antimafia siano stati prodotti da tempo a comprovare una pseudoverginità di scatole cinesi imprenditoriali. Quello di don Ciotti è un richiamo e un monito, un grido d’allarme e uno scotimento di coscienze. Evidentemente persiste nel Belpaese un negazionismo mafioso retrivo e storicamente dimostratosi connivente o complice, che nel migliore dei casi cerca di delegittimare la fonte della critica senza entrare nel merito della questione sollevata e nel peggiore cerca di rispondere cucendo una toppa che è peggiore del buco!

Credo che non ci sia nessun italiano onesto, laddove d’accordo con la realizzazione di quell’opera, che voglia consegnarla nelle mani dei mafiosi e allora pensino – le istituzioni preposte – di dimostrare quali misure si siano messe in atto per arginare o disinnescare quel pericolo. Così risponde un ministro che ha giurato fedeltà alla Repubblica e non parlando dell’abbigliamento presunto, e peraltro mai visto indossare, di chi solleva un’obiezione e da cittadino di un Paese democratico manifesta la propria opinione.

Fonte: Famiglia Cristiana, 27/07/2023

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