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Processo Eternit bis. Sentenza fondamentale, una pietra miliare sulla strada per i diritti

Gian Carlo Caselli il . Ambiente, Diritti, Economia, Giustizia, Lavoro, Piemonte, Salute

L’Italia è l’unico Paese al mondo in cu si fanno processi come questo. Sicurezza sul lavoro, siamo indietro ma qualcosa finalmente si muove. Servono magistrati senza timori, l’opposto dell’obiettivo di alcune riforme in arrivo.

Mercoledì scorso la Corte d’assise di Novara ha condannato l’imprenditore svizzero Schmidheiny (omicidio con colpa cosciente) per i 392 morti causati dall’amianto dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato: 62 i lavoratori dipendenti, gli altri “semplici” cittadini vittime di “esposizione ambientale”.

La condanna è di primo grado e quindi la partita (mi scuso per la parola inadeguata rispetto alla tragedia) è ancora tutta da giocare. In ogni caso è assai importante: ci dice che l’Italia continua ad essere l’unico Paese al mondo in cui si fanno processi Eternit; e soprattutto rappresenta una pietra miliare del percorso verso una nuova sensibilità e cultura sul piano della tutela investigativo/giudiziaria di quei fondamentali diritti dei cittadini che sono la sicurezza sul lavoro e la salute.

Siamo nel terzo millennio, ma in Italia il problema della sicurezza sui posti di lavoro è ancora terribile, quasi fossimo all’inizio della società industriale. Siamo tutt’ora in cima alle statistiche europee, con l’aggravante che da noi stranieri e minori hanno ancor più probabilità di infortunarsi di quella – già elevata – dei lavoratori  “indigeni”.

Ovviamente non siamo più a quando fior di Procuratori generali facevano a gara nel presentare gli infortuni sul lavoro come mere fatalità, dovute al destino cinico e baro se non  proprio alle tendenze suicide di  sprovveduti lavoratori. Faticosamente (sia pure a macchia di leopardo sul territorio nazionale) si è avviato appunto un nuovo percorso, ancora debole ed incerto e tuttavia significativo. Lo provano, dopo i processi di Torino per il rogo della Thissen Krupp, proprio quelli per i reati causati dall’amianto.

La storia di questi processi è tormentata.

Il primo processo Eternit fu per “disastro ambientale”. La condanna pronunciata il 3 giugno 2013 dalla Corte d’Appello di Torino fu annullata il 19 novembre 2014 dalla Cassazione, stabilendo che il reato si era estinto per prescrizione. Fu una sorpresa. L’alternativa era fra due opzioni. Configurare il disastro ambientale come reato di pericolo cessato con la chiusura delle fabbriche (1986), ancorando a questo fatto la prescrizione. Oppure definire la fattispecie come reato a consumazione prolungata o permanente, considerato che anche dopo la chiusura delle fabbriche permangono gli effetti mortali dell’amianto in esse prodotto, tant’è vero che tali effetti si registrano ancora oggi.

In precedenza la Cassazione, ad esempio nel caso di Porto Marghera, aveva detto che il disastro può essere un fatto che si esaurisce in un arco di tempo assai ristretto (ad es. un crollo), ma può anche realizzarsi in un arco di tempo molto prolungato. E dunque i giudici di Torino dell’Eternit ne avevano dedotto che nel caso di specie si trattava di un disastro a consumazione prolungata o permanente.

Il contrario avviso della Cassazione suscitò polemiche: a molti sembrò che esso fosse rimasto chiuso esclusivamente nel perimetro delle “carte”, considerate asetticamente e soppesate con criteri burocratico-formalistici. Proprio per questo distacco dalla realtà concreta parve un caso di “summum  jus, summa iniuria”, cioè di “mancata capacità di affermare un diritto che non oltraggia la giustizia”(Vladimiro Zagrebelsky).

Intervenne però la Corte Costituzionale (31 maggio 2016) escludendo che il processo per disastro possa precludere il processo per omicidio. E infatti il 29 novembre 2016 il GUP ha disposto il rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Torino per alcune vittime, mentre per altre gli atti sono stati trasmessi per competenza territoriale a varie procure. Di qui la sentenza di Novara per i tanti morti di Casale Monferrato.

È la prova che i diritti alla sicurezza sul lavoro e alla salute, scolpiti come tanti altri nella Costituzione, possono non rimanere scatole vuote, ma trasformarsi in realtà vivente, quando funzionano gli strumenti che la stessa Costituzione prevede a loro tutela. Primo presidio – fra i tanti – è la magistratura, purché davvero autonoma ed indipendente, capace cioè di fare il suo dovere senza timori reverenziali per questo o quel potente.

Proprio il contrario di ciò che vorrebbero i proponenti di alcune (contro)riforme  in arrivo.

Fonte: La Stampa

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