Il Giorno della memoria della Shoah: silenzi rivelatori
La legge 20 luglio 2000, n. 211 che istituisce il Giorno della memoria fu approvata all’unanimità, pochissimi gli astenuti.
L’art.1 ne definisce la data il 26 gennaio, giorno «dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz». E nei due articoli che la compongono ricorrono le parole «persecuzione», «nazisti» «ebrei», ma è inutile cercare fascismo o fascisti in quelle righe.
La legge dichiara come suo scopo quello di preservare « la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa», ma evita di alludere alle idee dei persecutori fascisti, al processo che portò dal regime alla Repubblica Sociale Italiana rinsaldando l’alleanza italiana col Terzo Reich e facendo dei fascisti italiani i «volenterosi carnefici» dei loro concittadini ebrei e degli oppositori politici.
Perché non si era indicata una data e un luogo italiani? Così aveva fatto la Francia che aveva scelto la data del 16 giugno, giorno del grande rastrellamento di ebrei francesi al velodromo di Parigi, poi noto come la Gran Rafle. In tal modo si era proiettato un fascio di luce sulla corresponsabilità delle autorità francesi integrandola senza incertezze alle colpe della Germania nazista occupante. Era dunque una scelta carica di profonde valenze interpretative.
In Italia si preferì identificare in Auschwitz il luogo simbolo dell’«oscuro periodo della nostra storia» da ricordare, fuori e lontano dai confini del paese, dove le responsabilità e gli aguzzini erano tutti e soli nazisti e gli italiani/e comparivano nella veste drammatica di vittime, non di carnefici.
Più volte dopo l’entrata in vigore della legge si evocarono convincenti alternative per quella data: basti citare il 16 ottobre, che nel 1943 all’alba vide il rastrellamento casa per casa di 1259 ebrei romani, tra cui 207 bambini. 1024 di loro furono deportati, 16 sopravvissero. La «razzia» degli ebrei romani raccontata in uno dei classici della nostra letteratura (Giacomo Debenedetti) avrebbe certo aiutato a capire di più l’Italia dell’«oscuro periodo».
Ma il silenzio sulle parole fascismo/fascisti si spiega anche col fatto che si può meglio glissare in tal modo sul fatto che la deportazione è un fenomeno complesso: accanto al progetto genocida antiebraico, vi si progettò l’annientamento dell’Italia antifascista e antinazista. Per restare alla sola Italia gli studiosi hanno identificato i nomi di 23.826 italiani (22.204 uomini e 1.514 donne) arrestati e deportati nei lager nazisti per motivi politici. Erano oppositori in armi e senz’armi, partigiani/e o civili antifascisti. Di questi 10.129 non tornarono. E’ un bilancio che integra quello delle 6.806 vittime italiane della deportazione ebraica.
Insomma le scelte lessicali e contenutistiche del testo istituzionale, le omissioni soprattutto, la dicono lunga sulla mancanza di volontà del nostro paese di fare i conti onestamente col proprio passato, razzista e fascista.
E anche quest’anno scorreranno fiumi di retorica a coprire continuità ideali e lealtà politiche non smentite con il fascismo persecutore del secolo scorso.
Fonte: Articolo21
Trackback dal tuo sito.