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Le nomine dei presidenti del Parlamento, gli abusi del potere

Rocco Artifoni il . Diritti, Istituzioni, Politica, Società

Sandro Pertini, Pietro Ingrao, Nilde Iotti, Giorgio Napolitano. Mentre i partiti di centrodestra trattano per chi debba presiedere i due rami del Parlamento, tornano in mente i nomi dei presidenti della Camera dei Deputati tra il 1968 e il 1994.

In quel periodo era prassi consolidata eleggere alla presidenza della Camera un esponente delle minoranze (ovviamente anche con i voti della maggioranza). A partire dal 1994, con l’elezione di Irene Pivetti, questa consuetudine è stata abbandonata.

Così oggi sembra una cosa normale che le presidenze del Parlamento vengano spartite tra i gruppi di maggioranza. Dato che i partiti che compongono la coalizione di maggioranza sono tre, mentre i posti disponibili sono soltanto due, non mancano le tensioni.

Vale la pena di ricordare che di recente anche del terzo posto si è parlato, cioè della presidenza della Repubblica. Non a caso alla proposta di introdurre l’elezione diretta del capo dello Stato, c’è chi ha aggiunto una postilla: se cambia il metodo di scelta, occorre anche cambiare il prescelto.

In altre parole un esplicito invito alle dimissioni dell’attuale Presidente della Repubblica, per rendere disponibile il terzo posto. Insomma, anche chi dovrebbe rappresentare tutta la nazione, diventa oggetto della spartizione dei posti tra i partiti.

Di fronte a questo scenario la tentazione di rimpiangere la cosiddetta “prima Repubblica” è davvero forte. In passato – giustamente – venne aspramente criticata la partitocrazia, ma oggi che cosa dovremmo dire? L’occupazione delle istituzioni da parte dei partiti non è diminuita, anzi.

La conferma si può trovare anche nel fatto che la trattativa tra i partiti della coalizione del centrodestra non riguarda soltanto le presidenze del Parlamento, ma anche i posti nel Governo. In realtà sono due istituzioni distinte, con compiti diversi. Tra i compiti del Parlamento c’è anche la funzione di controllo dell’operato del Governo. Questo sarebbe un motivo in più per evitare che le presidenze della Camere siano ricoperte da esponenti della medesima coalizione che sostiene il Governo.

Piero Calamandrei ha detto: «Il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza». È sufficiente questa frase per cogliere la distanza incolmabile tra una profonda cultura costituzionale e la banalità della pratica politica di oggi.

Ad aggravare la situazione è l’ipotesi di modifica della Carta Costituzionale indicata nell’accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra. Sorvolando sul fatto che la Costituzione non dovrebbe rientrare nei programmi di Governo, resta da chiarire quali siano i compiti di un Governo, cioè di un potere esecutivo.

Montesquieu, il teorico della divisione dei poteri, ha scritto: «Se il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di persone tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe più libertà, perché i due poteri sarebbero uniti, le stesse persone avendo talvolta parte, e sempre potendola avere, nell’uno e nell’altro».

Il giurista francese era consapevole che il potere tende ad abusare, a prendersi tutto, ad occupare ogni posto, a controllare ogni istituzione. La Costituzione serve proprio ad evitare questo abuso. Se venisse applicata…

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