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Calvi fu ammazzato, le ombre restano

Luca Tescaroli * il . Chiesa, Corruzione, Giustizia, Mafie, Memoria

Sono trascorsi quarant’anni – Il banchiere piduista fu trovato “suicida” sotto il ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982. Tra le cause dell’omicidio i rapporti del suo Banco Ambrosiano con Ior e mafia

Era il 18 giugno 1982 quando Roberto Calvi, dal 19 novembre 1975 al vertice del Banco Ambrosiano, veniva trovato impiccato a una impalcatura – collocata sul greto del fiume Tamigi in corrispondenza di una riva sempre ricoperto da melma e da acqua alta dai 50 ai 90 centimetri, sotto il ponte di Black Friars di Londra, in un angolo seminascosto piuttosto buio.

Indossava due paia di mutande, più orologi, quattro paia di occhiali, sul suo corpo venivano trovate lire e valute straniere. Il solo equivalente in dollari corrispondeva a circa quindici milioni di lire. Sul cadavere erano stati rinvenuti nelle tasche e all’altezza del ventre cinque mattoni per un peso di circa cinque kg. La pietra, rinvenuta all’interno dei pantaloni, veniva introdotta con forza, tanto da far cadere un bottone, e non dall’alto come sarebbe stato più logico.

Era sin troppo evidente come apparisse piuttosto difficile immaginare una persona di quell’età (aveva poco più di 62 anni), con quella corporatura tutt’altro che atletica, con cinque chili addosso, nel cuore della notte che si potesse essere autonomamente portata sull’impalcatura e suicidata.

Bastò un giorno d’udienza al Coroner di Sua Maestà per la City di Londra, sir David Paul, incaricato di definire la prima inchiesta per assumere sommariamente le prove raccolte e ottenere dalla giuria un verdetto di suicidio, ponendo così fine al simulacro di indagini già il 23 luglio 1982.  Una successiva inchiesta, davanti ad altro Coroner, avviata nel 1983, aveva portato a un verdetto aperto.

Frattanto, le procure della Repubblica di Milano, di Palermo e di Roma avviarono autonome indagini. L’autorità giudiziaria milanese aveva portato a privilegiare l’ipotesi suicidiaria del banchiere, senza escludere l’omicidio, alla stregua di una consulenza collegiale medico legale. A seguito di risoluzione di conflitto di competenza da parte della Corte di Cassazione, nel 1992, le investigazioni vennero concentrate alla Procura di Roma.

L’assassinio di Roberto Calvi si colloca in un periodo oscuro del nostro passato, caratterizzato da grande tensione sociale, attraversato dall’attentato al Sommo Pontefice il 13 maggio 1981.

A livello internazionale, era nel suo pieno la c.d. guerra fredda, con la contrapposizione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e i rispettivi alleati. Nel dicembre 1981 un colpo di stato in Polonia, guidato dal generale Jaruzelski, aveva dichiarato fuori legge il sindacato Solidarność.

All’interno del Paese, diretto da una compagine governativa poliedrica, costituita da più forze politiche, coordinate da Giovanni Spadolini, era innescata una spirale di violenza terroristica e mafiosa, nel quadro di ibridi connubi tra i centri del potere e appartenenti alla criminalità organizzata. Al Nord e al centro erano in azione le brigate rosse. In Campania, la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e di Vincenzo Casillo stava espandendo la propria influenza in un intreccio di nuove alleanze con i gruppi mafiosi e camorristici insediati su quel territorio.

A Palermo e dintorni stava per entrare nella fase cruenta l’ultima guerra di mafia. Dall’inizio dell’anno, in Sicilia erano stati una settantina i morti ammazzati. Il 30 aprile 1982 venivano uccisi il segretario del PCI, Pio La Torre. Appena due giorni prima dell’omicidio del banchiere, il 16 giugno, sulla circonvallazione a Palermo, toccò al boss Alfio Ferlito e a quattro carabinieri che lo scortavano per accompagnarlo a un interrogatorio, mentre impazzava il delirio per il campionato mondiale di calcio e per la speranza di una vittoria finale dell’Italia.

Nel panorama a tinte fosche di quegli anni si era assistito, dopo l’assassinio di Aldo Moro, all’invadenza della loggia massonica P2 nei più delicati gangli degli apparati statali e militari e al consolidarsi di cointeressenze finanziarie, soprattutto in società offshore alle Bahamas, tra il piduista Calvi, la banca vaticana, guidata da Paul Marcinkus, e la criminalità mafiosa.

È in tale contesto storico che si colloca l’omicidio di Roberto Calvi, preceduto dall’attentato del 27 aprile 1982, nei confronti di Roberto Rosone, il Direttore Generale e vicepresidente del Banco Ambrosiano.

È stato celebrato un processo che ha cercato di rimuovere il lenzuolo del tempo che aveva ricoperto una storia giudiziaria inquietante del nostro passato e ha contribuito alla ricerca di una porzione di verità, che prima di allora era apparsa per sempre perduta e irraggiungibile. Il processo iniziò nell’ottobre del 2005 e l’iter terminò nel mese di novembre 2011, con la pronuncia della I sezione della Corte di Cassazione.

Se gli imputati sono stati assolti (Giuseppe Calò, Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor, ex 530 II co, c.p.p., perché le prove sono state ritenute insufficienti o contraddittorie) e gli sforzi investigativi rivolti in altre direzioni si sono rivelati non adeguatamente fruttuosi, dopo quarant’anni possiamo dire che si è provato, con certezza che: Roberto Calvi è stato assassinato, “mediante impiccagione” e “simulazione di suicidio” nella notte tra il 17 e il 18 giugno 1983, in un orario compreso tra le 3 e le 4 del mattino; Cosa Nostra, “nelle sue varie articolazioni, impiegava il Banco Ambrosiano e lo IOR come tramite per massicce operazioni di riciclaggio” che “avvenivano quanto meno anche ad opera di Vito Ciancimino, oltre che di Giuseppe Calò”, facendo confluire nelle casse dell’Ambrosiano i proventi del sequestro di persona in danno di Pietro Torielli (avvenuto a Vigevano il 18.12.1972); Ernesto Diotallevi è risultato strettamente collegato a Calò da solidi rapporti anche economici, a Flavio Carboni da cointeressenze finanziarie; nell’esito del giudizio “hanno pesato i ritardi nelle indagini dovuti all’iniziale ipotesi che si trattasse di un suicidio” e “l’ambiguità di apporti dichiarativi la cui veridicità non sempre è stata possibile verificare, forse specchio dello scontro di non sopiti interessi forti intesi ad evitare l’emersione della verità” (i riferimenti sono tratti dalle motivazioni dalla sentenza della I sezione della Corte di Cassazione, la cui motivazione è stata depositata il 26 gennaio 2012).

Il 10 giugno 1982 Calvi fuggì dall’Italia, utilizzando un falso passaporto procurato da Ernesto Diotallevi, peregrinò attraverso l’Europa per giungere a Londra, ove pernottò al Chelsea Cloister, le ultime persone che, con certezza, incontrò la sera del 17 giugno 1982 furono Flavio Carboni e Silvano Vittor.

Il collaboratore di giustizia Claudio Sicilia, per primo, accusò Vincenzo Casillo (luogotenente di Raffaele Cutolo, legato a esponenti dei Servizi segreti, assassinato il 29 gennaio 1983) di aver eseguito l’omicidio, accusa che poi gli fu rivolta da Pasquale Galasso, da Carmine Alfieri e da altri collaboratori di giustizia. Segretamente passato dalla parte del clan Nuvoletta, legato ai Corleonesi, Casillo e gli appartenenti a cosa nostra volevano uccidere Calvi perché si era appropriato del loro denaro. Calvi era divenuto pericoloso, aveva finanziato tutti i maggiori partiti politici italiani, aveva minacciato alti prelati della Chiesa Cattolica, cosa nostra non era riuscita a recuperare integralmente il denaro che aveva investito suo tramite. Una sua collaborazione con la giustizia sarebbe stata dirompente.

A oggi non sappiamo chi volle il suo omicidio e come venne eseguito a Londra e numerosi quesiti sono rimasti senza risposta.

Chi è il “Sergio” che risultava annotato nell’agenda di Carboni, tenuta da Anna Pacetti, il 9 giugno 1982, con riferimento a telefonate di Ernesto Diotallevi, relative all’arrivo di tale “Sergio” (e, in particolare, al suo arrivo)? Sussistono legami tra Sergio Vaccari, appartenente alla massoneria, assassinato nel suo appartamento a Londra il 16 settembre del 1982, il Sergio annotato nell’agenda e l’esecuzione dell’omicidio di Calvi? Chi è il fantomatico “biondino” che aveva viaggiato con Diotallevi, allorché portarono il falso passaporto e del denaro al banchiere?

Da chi provenivano i 211,9 milioni di dollari, individuati dagli ispettori della Banca d’Italia, guidati da Giulio Padalino, che avevano contribuito tra il 1971 e il 1977 a far lievitare i depositi della Cisalpine Overseas Banck Ltd, poi trasformata in Banco Ambrosiano di Nassau e chi ottenne, poi, le restituzioni prima dell’omicidio del banchiere? Molteplici voci di appartenenti a più strutture criminali hanno sostenuto che Calvi, il Banco Ambrosiano e il prelato Paul Casimir Marcinkus hanno riciclato denaro di provenienza illecita, e che Calvi è subentrato in tale ruolo a Sindona, ricevendo da questi cospicue somme di denaro.

E, ancora, perché lo Ior si è determinato a versare 241 milioni di dollari alla liquidazione del Banco Ambrosiano e a rinunciare alle sue pretese verso il banco? È stato effettivamente erogato denaro mafioso da Calvi per impedire l’avanzata comunista nei Paesi dell’America Latina e contrastare l’egemonia dei regimi marxisti nell’Europa orientale?

Come mai la fonte Podgora, identificata in Eligio Paoli, venne tratta in arresto quando aveva iniziato a fornire importanti indicazioni sull’omicidio? Come mai Ugo Flavoni si recò con un aereo privato a Londra, all’aeroporto di Gatwich il 18 giugno 1982 per incontrare Flavio Carboni, preferendo patteggiare una pena per il reato di falsa testimonianza?

Speriamo che un giorno si possa arrivare a conoscere la verità.

* Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Firenze

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 15/06/2022

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