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Magistratura Democratica sugli esiti dello sciopero del 16 maggio

Daniele Cappuccio e Rita Sanlorenzo * il . Brevi, Giustizia, Istituzioni, Politica, Società

Apparteniamo a quella minoranza di magistrati che ha scioperato il 16 maggio scorso negli Uffici di legittimità. Siamo consapevoli della negatività di un dato già di per sé non soddisfacente a livello nazionale, che dovrebbe spingere ognuno di noi, soprattutto se impegnato a livello associativo, a riflettere sulle ragioni spese dall’ANM a sostegno della sua proclamazione e, ciò che più preoccupa, su un esito che mette in pericolo la rappresentatività di quella che consideriamo la casa comune di tutti i magistrati.

Pur nella difficoltà di ogni analisi che si proponga di leggere meglio questo fatto, respingiamo con forza quelle letture secondo cui esso evidenzierebbe la presenza di una frattura tra le magistrature “superiori” (alludendosi, evidentemente, anche a quella di legittimità) e quelle che operano nei gradi inferiori, e soprattutto, la sostanziale acquiescenza delle prime ad una riforma che esalterebbe null’altro che il carrierismo e la struttura gerarchica dell’ordinamento giudiziario, contro la visione costituzionale di una magistratura ove ci si distingue solo per funzioni.

Abbiamo parlato con tanti colleghi, anche a noi molto vicini idealmente, che non hanno inteso scioperare ritenendo questa scelta, in un momento di grave caduta di credibilità della magistratura, un errore, tale da rendere ancora più difficile il dialogo con la politica ed il rapporto con la pubblica opinione. Ne abbiamo colto non certo lo spirito di corporazione, ma la sincera ed altruistica attenzione alla necessità di denunciare i rischi della riforma non con gesti radicali a costo della regolarità del servizio, ma con la capillare mobilitazione al fine di spiegare perché questa riforma è sbagliata, ed è inutile ed anzi dannosa ai fini di un recupero di efficienza.

Abbiamo avuto modo soprattutto di sperimentare che la magistratura della cassazione in larga parte, e indipendentemente dalle differenti adesioni ideali, non solo opera giornalmente “in frontiera”, in condizioni di lavoro estreme, rischiando di essere travolta dai numeri elevatissimi che è chiamata a fronteggiare, ma ciononostante continua a vivere la propria funzione secondo un modello di chiara e convinta ispirazione costituzionale: senza cedimenti alle suggestioni del potere, senza cessioni interessate della propria autonomia ai fini di remunerazioni di carriera, ancora e sempre disposta a difendere strenuamente la propria indipendenza nel giudicare.

Per questo dissentiamo da ogni lettura che a partire dai dati di adesione allo sciopero contrappone una magistratura “alta”, non contraria ad una nuova conformazione verticistica dell’ordinamento, e quelle magistrature “inferiori” a cui starebbe maggiormente a cuore la difesa della giurisdizione come potere diffuso, orizzontale e paritario e come strumento di legalità e di eguaglianza. Non solo perché questa visione ignora un dato di realtà, che nasce dalla diretta conoscenza di come si lavora in Cassazione e dell’ispirazione che muove la maggior parte delle colleghe e dei colleghi nello svolgimento della funzione di legittimità: senza alcuna intenzione di ergersi a giudice della professionalità dei colleghi, ma secondo il compito di assicurare, pur nelle evidenti difficoltà, quella nomofilachia che è garanzia di efficienza e di esercizio democratico della giurisdizione.

In un momento di crisi, anche di immagine, della magistratura, ci sembra errato porre l’accento su divisioni che, a nostro avviso, non trovano riscontro nei fatti, quando mai come ora la magistratura ha bisogno di restare e di apparire unita intorno alla sua Associazione.

* I Segretari della Sezione Cassazione di Magistratura democratica

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