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La “contagiosità” e l’espansione del fenomeno criminale tra i giovani

Piero Innocenti il . Criminalità, Giovani, SIcurezza, Società

L’emergenza pandemica da Covid-19 che va avanti, con le sue contagiose varianti, da più di due anni e le annesse restrizioni alla mobilità delle persone (adottate a fasi alterne e in alcuni periodi particolarmente stringenti), la grave crisi sociale ed economica che stiamo attraversando, le paure e le ansie collegate alla guerra in Ucraina (che ci viene proposta in diretta, con immagini terrificanti, ogni giorno dalla televisione) hanno notevolmente condizionato la vita di tutti, in numerosi ambiti, influendo, in modo particolare, sul modo di pensare e di agire delle nuove generazioni, sul loro percorso di crescita e di sviluppo, con diversi effetti anche sul piano psicologico.

Questo, probabilmente, spiega la maggiore diffusione  di molteplici forme di condotte antisociali, spesso penalmente rilevanti, tenute da giovani e giovanissimi e attuate anche in forma aggregata, con o senza utilizzo dei social.

Un primo fenomeno è l’aumento del consumo di droghe tra i giovani e il conseguente passo verso lo spaccio. Sono, così, aumentati, per esempio a Torino, in questi primi cinque mesi del 2022, i casi di giovani detenuti, perlopiù stranieri di seconda generazione che non sono riusciti a integrarsi e che finiscono in carcere, già sovraffollato, per rapina e spaccio di stupefacenti. Rispetto al biennio 2019-2020 quando si registrò una generale diminuzione di reati riferiti ai minori denunciati/arrestati dalle forze di polizia (29.625 nel 2019, 26.271 nel 2020), nel 2021 (oltre 27mila) e in questo scorcio di 2022, se ne rileva un aumento preoccupante (oltre a quelli concernenti gli stupefacenti) con una incidenza dei minorenni sul totale degli autori che si aggira intorno al 4% e che è di circa il 44%, se riferita ai minori stranieri di nazionalità marocchina, tunisina, romena, albanese, senegalese, bosniaca, egiziana (Fonte: Direzione Centrale della Polizia Criminale).

La “solitudine” in cui molti giovani si sono ritrovati con l’avvento della didattica a distanza adottata in passato, la chiusura dei locali di intrattenimento e delle palestre hanno determinato il cambiamento delle abitudini di vita quotidiane dei giovani e del modo di relazionarsi tra loro e ciò ha contribuito a disagi psicologici, di depressione, persino ad episodi di autolesionismo.

Lo “smarrimento” che ne è derivato ha indotto molti giovani ad un maggiore utilizzo di personal computer, smartphone e tablet per “rivivere” nella realtà virtuale la socialità spenta dalla pandemia.

Si è diffusa così, come annota il Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, “la pratica c.d. del “Zoombombing” (..) che consiste nell’esercitare azioni di disturbo attraverso l’introduzione nelle riunioni a distanza con la pubblicazione di contenuti e messaggi di diverso tipo (..) a contenuti di tipo offensivo, pornografico, razzista o estremista”.

La cronaca quotidiana da conto di molti episodi di violenza come, tra gli ultimi, quello di La Spezia, dove, dopo la scuola, un gruppo di ragazzi armati di coltello ha aggredito un quattordicenne per rapinare lo smartphone e trenta euro o a Napoli dove un sedicenne, nel corso di una lite, ha accoltellato due coetanei a Marechiaro, a Milano dove un giovanissimo, al rifiuto di consegnare venti euro, è stato colpito ancora con due coltellate al petto e all’addome inferte da un altro ragazzo spalleggiato da un compagno.

E non sono affatto episodi isolati come segnalano i “mattinali” della delittuosità dei vari uffici e comandi delle forze di polizia dislocati su tutto il territorio nazionale. Ho avuto già modo di parlare delle incredibili liti collettive organizzate via social con il puro intento di fare a botte senza nessun motivo particolare ossia per puro divertimento.

La recrudescenza delle espressioni di violenza giovanile ha indotto il Governo ad adottare alcune strategie di intervento preventivo (per esempio il c.d. “daspo Willy” introdotto con il decreto legge 2020/230, in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici e locali di pubblico intrattenimento) che, tuttavia, sono risultati, in generale, di scarsa efficacia come emerge dalla esperienza quotidiana di poliziotti e carabinieri.

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