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Giustizia e comunicazione. Il linguaggio giuridico nell’Accademia

Marina Castellaneta il . Cultura, Giustizia, Informazione, Società

La rubrica della Rivista Giustizia Insieme sul tema Giustizia e comunicazione, proseguendo nel percorso annunciato nell’editoriale del 18 maggio 2021, dopo aver ascoltato la voce della magistratura di legittimità e di merito nei contributi di Gianni CanzioGiovanni MelilloClaudio Castelli, ospitato il punto di vista della comunicazione professionale di Rosaria Capacchione e Giovanni Bianconi, discusso del valore della parola quale strumento chiave dell’emancipazione dell’individuo e della società nel contributo di Francesco Messina, affronta il tema del linguaggio dell’Accademia.

Nello scritto che segue, la Professoressa Marina Castellaneta, esperta di  linguaggio giuridico e degli atti processuali, offre un quadro lucido e disincantato della lingua delle aule universitarie, evidenziandone  criticità e carenze. La giurista sofferma poi l’attenzione sull’interazione tra lingua parlata e scritta, stigmatizzando lo scarso valore riconosciuto a quest’ultima  soprattutto in ambito accademico, mettendo in luce le falle di un sistema in cui si arriva alla tesi di laurea senza aver mai scritto nulla prima, ed in cui, invece, sarebbe massimamente opportuno che il futuro avvocato, giurista, magistrato o altro professionista conosca e applichi le regole del linguaggio chiaro sintetico e preciso, evitando stereotipi a vantaggio della qualità.

L’elaborato affronta inoltre il tema della tecnica di redazione degli atti legislativi, non risparmiando di enfatizzare la differenza tra il legislatore attuale e quelli passati.   


Periodi lunghi, giungla di subordinate, profluvio di parole superflue, aggettivi roboanti, gerundi a più non posso. Rendere oscuro ciò che è chiaro e non far comprendere ciò che è oscuro. E, poi, mai far mancare “atteso che”, “di guisa”, “talché”, “ed invero”, qualunque cosa vogliano dire nello specifico contesto di un discorso (lezione, conferenza, consigli di organi collegiali, verbali di concorso, saggi). Si aggiunga un linguaggio stereotipato, zeppo al tempo stesso di termini arcaici e usati in modo inappropriato e ricorso massiccio all’inglese, anche quando esiste una parola italiana ancora più chiara. È questo in diversi casi il linguaggio giuridico che esce dall’accademia e talvolta travolge gli studenti che sin dalle aule universitarie si confrontano con scritti di difficile comprensione non solo per il contenuto, ma anche per la scrittura utilizzata. E, di conseguenza, poi ripropongono quei riti di scrittura. E questo vale anche per il linguaggio nelle aule universitarie con buona pace di ciò che è realmente l’insegnamento: non monologhi con pubblico, ma trasmissione e scambio del sapere.

Il linguaggio nell’accademia malgrado i cambiamenti epocali non fa molti passi avanti e non riesce ad evolversi malgrado i mutamenti nella comunicazione e malgrado interventi, appelli di giuristi e dell’Accademia della Crusca per evitare anglicismi e complessità inutili che trasformano degli scritti scientifici, che dovrebbero servire a divulgare lo stato delle conoscenze e fare avanzare le ricerche in un settore, a messaggi in codice comprensibili solo a una determinata categoria di persone di riferimento. Un linguaggio per un circolo ristretto che si riproduce e che impedisce anche la diffusione della cultura scientifica.

Mentre tutto cambia i riti del linguaggio giuridico, almeno in molte aule universitarie, rimangono gli stessi. E che in pochi vogliano davvero cambiare è evidente dalla circostanza che, mentre si discute di modificare i corsi di studio in giurisprudenza, non risultano proposte per rendere obbligatorie materie come linguaggio e scrittura giuridica. Né ci si interroga più di tanto sulla necessità di prevedere aggiornamenti sulle modalità della didattica per gli stessi docenti, a partire dal linguaggio e dalla comunicazione, che pure sarebbe necessaria per favorire la diffusione anche di verifiche scritte.

E così mentre la Scuola Superiore della Magistratura prevede tra le attività formative corsi e incontri sulla scrittura giuridica e la Scuola Superiore dell’Avvocatura ha attivato analoghi percorsi[1], l’anello debole di un cambiamento non più rinviabile è proprio all’interno dell’università perché il contributo dell’accademia al miglioramento del linguaggio e della scrittura giuridica è limitato e lasciato alla buona volontà di pochi. Se poi si leggono talvolta sentenze incomprensibili, atti legali che puntando su un linguaggio aulico mettono da parte ogni forma di chiarezza, non si può non individuare tra i responsabili anche l’università.

Tutti d’accordo sul degrado del linguaggio e sulla necessità di sradicare quella che la giurista autrice del saggio imperdibile “Prontuario di punteggiatura” Bice Mortara Garavelli chiamava i “fossili lessicali”, ma pochi pronti a rendere il cambiamento strutturale[2]. Anche perché, come al solito, ci sono in ballo crediti formativi che poi contano per la programmazione, l’invenzione di un algoritmo e la programmazione dei posti.

In molti Dipartimenti di giurisprudenza delle università italiane, nonché nelle associazioni scientifiche il tema non sembra appassionare e in effetti non risultano proposte particolarmente innovative neanche da contesti collettivi come le conferenze dei direttori e la Conferenza delle Associazioni Scientifiche di Area Giuridica (CASAG) che raccoglie le società scientifiche di diversi settori disciplinari. Si procede così in ordine sparso: alcune università hanno compreso, infatti, la necessità di un insegnamento ad hoc sul linguaggio e sulla scrittura giuridica e hanno attivato dei percorsi, in taluni casi favorendo anche la formazione dei docenti. Ancorati a un linguaggio quasi rituale e talvolta quasi funzionale a rendere complesso ciò che è chiaro, costituito da frasi fatte e da “formule” ripetute che danno sicurezza, non sono pochi quelli che trascurano l’importanza di esempi e modelli chiari per accantonare finalmente una lingua stereotipata[3]. Che talvolta è frutto di un vuoto di contenuti con le parole utilizzate non per chiarire ma per soffocare o nascondere ciò che non c’è.

Tra le diverse iniziative, si può ricordare l’Università di Trento che ha un corso opzionale su “Le abilità del giurista” curato dal professore Giovanni Pascuzzi che nel programma prevede anche una parte dedicata alla redazione di testi, saggi giuridici, tesi, atti normativi, atti del processo e pareri[4].

Il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Bari aveva previsto per l’anno accademico 2019/2020 l’attivazione di un Laboratorio innovativo di pratica del diritto “Abilità retoriche per giuristi” affidato allo scrittore Gianrico Carofiglio, ma l’avvio è stato rinviato a causa della pandemia. Questo laboratorio nasce quasi come uno spin-off di un ciclo di incontri attivato nel dottorato di ricerca “Principi giuridici tra mercati globali e diritti fondamentali” (coordinato dal prof. Vito Sandro Leccese), avviato nel 2019/2020 e oggi al secondo anno di attività. Il corso ha potuto contare sulla partecipazione, tra gli altri, degli scrittori Gianrico Carofiglio e Francesco Caringella, del Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini e di altri relatori[5].

Le iniziative post-laurea sono in effetti più diffuse. Così il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Firenze ha un Corso di perfezionamento in “Professioni legali e scrittura del diritto. Tecniche di redazione per atti chiari e sintetici” (direttori i docenti Federigo Bambi, Paolo Cappellini, Ilaria Pagni e Marco Biffi) giunto ormai alla VII edizione, ma riservato a laureati e, in particolare, a professionisti del diritto e dell’amministrazione pubblica[6]. L’Università di Pavia ha attivato da diversi anni un Master di II livello sulla lingua del diritto, coordinato dalla professoressa Giulia Rossolillo, proprio partendo dal presupposto che il “diritto ha bisogno di un linguaggio appropriato e dei professionisti della scrittura”[7].

Incontri, iniziative, corsi master sono destinati ad aumentare perché la richiesta è in aumento. Ma quello che serve è iniziare a confrontarsi con la scrittura giuridica e il linguaggio chiaro sin dalle aule universitarie. E oggi più che nel passato tenendo conto che i due anni di didattica a distanza nelle scuole a causa della pandemia ha in molti casi impedito lo svolgimento di prove scritte, con un possibile peggioramento nella preparazione.

È necessario rimediare perché non è più ammissibile che, proprio in un settore in cui le parole sono così importanti lo studente di giurisprudenza riprenda a scrivere solo per la tesi di laurea. In quel momento l’apporto del docente non può che essere limitato e, quindi, è indispensabile intervenire per fare sì che il futuro avvocato, giurista, magistrato o altro professionista conosca e applichi le regole del linguaggio chiaro (che certo richiede più tempo rispetto a quello complesso), sintetico e preciso, evitando stereotipi a vantaggio della qualità. Il progressivo peggioramento del linguaggio e della scrittura giuridica ha una manifestazione concreta proprio nella produzione legislativa: basta leggere il testo della Costituzione del 1948 mettendo a confronto le norme scritte all’inizio e quelle modificate nel corso degli anni (si veda per tutti l’articolo 117 che ha creato e continua a creare un contenzioso proprio per la difficile interpretazione della norma, scritta in modo sciatto). Per non parlare di testi legislativi che, frutto del determinante contributo degli uffici legislativi, dimenticano che le leggi devono essere chiare a tutti, a ogni individuo che solo così può partecipare concretamente alla vita democratica[8].

C’è da chiedersi se l’accademia sia finalmente pronta a un cambiamento come quello che ha portato alla lenta ma progressiva diffusione delle cliniche legali nei corsi di studio in giurisprudenza. Anche in questo caso i ritardi sono stati imperdonabili. Basti pensare che Francesco Carnelutti sin nel 1935 aveva pubblicato un saggio in cui invocava l’ingresso tra gli insegnamenti delle cliniche legali. L’illustre giurista scriveva: “Eppure noi continuiamo a vivere in questo assurdo, quanto alla giurisprudenza. Se non ci hanno provveduto da sé, i nostri discenti diventano dottori, senza aver mai veduto un caso vivo del diritto”[9]. Analogo discorso per la scrittura: non si può arrivare alla tesi di laurea senza aver scritto nulla.

È così arrivato il momento, soprattutto in questa fase in cui si sta procedendo alla modifica del corso di studio per acquisire la laurea magistrale in giurisprudenza, di rendere obbligatorio l’insegnamento sul linguaggio e sulla scrittura, anche per salvaguardare la lingua italiana e non cedere a una diffusione di anglicismi che non ha riscontri in Francia o in Spagna. Se non si cambia e se non si iniziano a formare laureati con un consolidato bagaglio anche linguistico si dovrà ricorrere a un sistema di intelligenza artificiale per tradurre i testi legislativi e le sentenze da italiano a italiano.

Note

[1] Cfr. D. Cerri, La scrittura degli atti processuali e il Protocollo d’intesa C.N.F., in Questione Giustizia, 2016, nel sito https://questionegiustizia.it; D. Borri, Il Programma di gestione della Cassazione per il 2021: chiarezza e concisione nel linguaggio del giudice (e delle parti), 9 giugno 2021, in Giustizia e insieme, 2021.

[2] Cfr. anche B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia, Torino, 2001.

[3] I. Calvino, Lezioni americane, Milano, 1993; M. Ainis La legge oscura. Come e perché non funziona, Bari, 2010; G. Carofiglio, La manomissione delle parole, Milano, 2010; B. Pozzo e F. Bambi (a cura di), L’italiano giuridico che cambia, Accademia della Crusca, Firenze, 2012; A. Mariani Marini e F. Bambi, Lingua e diritto, Accademia della Crusca, 2013.

[4] Si veda il programma nel sito

[5] Ci permettiamo di segnalare che il corso è coordinato da Marina Castellaneta. Per dettagli sul corso si veda la pagina web

[6] Si veda il sito

[7] Ulteriori informazioni nel sito http://lalinguadeldiritto.unipv.it.

[8] P. Caretti, Discutere del linguaggio dei giuristi per riflettere sul loro ruolo oggi: qualche considerazione a conclusione del convegno “La lingua dei giuristi”, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2015

[9] Così F. Carnelutti, Clinica del diritto, in Rivista di diritto processuale, 1935, I, 169 ss.

Fonte: Giustizia Insieme

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