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Lacune nel sistema normativo antimafia a livello internazionale

Piero Innocenti il . Criminalità, Mafie, Politica, Società

Anche se l’esistenza di norme giuridiche adeguate può sembrare problema secondario puramente formale ai fini di una lotta efficace alla criminalità organizzata, in particolare a quella mafiosa, in realtà – considerando che le istituzioni,a tutti i livelli, compreso quello del rapporto tra gli Stati sovrani, agiscono in base a regolamenti e normative – l’adeguamento e il coordinamento legislativo e giuridico sono un obiettivo prioritario e, comunque, quello che può fornire la base per ogni altro tipo di azione e d’iniziativa comune in positivo.

Ora, proprio qui si incontrano ancora lacune rilevanti  e, in prospettiva, le soluzioni appaiono lontane. Su questa situazione ha pesato, per lungo tempo, il fatto che molti governi non si sono accorti del pericolo e della consistenza che la criminalità organizzata andava prendendo nell’ambito delle rispettive società. In questo, l’Italia doveva invece avere un ben triste primato, avendo dato i natali a una delle prime e più famose organizzazioni di questo tipo, Cosa nostra, con la sua propaggine americana.

In ambito europeo ed occidentale, anzi, i governi hanno spesso pensato che la criminalità organizzata locale fosse un’articolazione di quella italiana e hanno faticato a riconoscere i connotati nazionali (pur con le relative proiezioni ormai internazionali) di una criminalità che non ha più molto a che vedere con la vecchia immagine un po’ folcloristica della mafia italiana.

Ci sono, poi, i problemi relativi alla definizione dei crimini di organizzazione e di associazione (e alle differenze che sono connesse ai due profili di reato,che si distinguono per il grado e la continuità o meno della partecipazione, per la marginalità o centralità del ruolo svolto rispetto all’organigramma) e, ancora, dei reati di tipo economico in connessione con questi.

Partendo, infatti, dal principio che la responsabilità penale è personale, risulta difficile (anche perché arduo reperirne le prove) stabilire i tratti identificativi del crimine meramente associativo, valutare la correità, la complicità, oltre le semplici intenzioni, al di là delle responsabilità puramente morali, che non competono all’autorità giudiziaria. Ci sono da mettere in conto anche le resistenze politiche ad arrivare alla definizione di un reato (quello associativo appunto) che va a colpire comportamenti ambigui e molto produttivi, diffusi a livello di ceto politico e burocratico che, su questo stare ai limiti, su questo fiancheggiare le organizzazioni criminali, ha costruito spesso la propria fortuna e ricchezza.

Se a livello interno, locale, le remore per l’adeguamento delle norme penali (ma anche di quelle amministrative e finanziarie, che potrebbero intralciare seriamente la criminalità)possono essere del tipo suddetto (oltre alle normali lentezze dei procedimenti di riforma in democrazia), a livello internazionale si aggiungono le differenze di tradizione, di cultura, di sensibilità al problema, a rendere ancor più difficile l’omogeneizzazione relativa non soltanto alla definizione ma anche alla sanzione dei reati collegati al fenomeno della criminalità organizzata.

Spesso, anzi, via via con maggiore frequenza e facilità, si stipulano tra i governi trattati bilaterali o multilaterali per regolare anche le questioni giuridiche in tema di lotta alla criminalità organizzata, ma non sempre si arriva a concordati dal contenuto soddisfacente (spesso si tratta di testi generici, poco più che dichiarazioni di buona volontà) oppure ne risulta difficile l’attuazione pratica.

Lo stesso vale per alcuni documenti elaborati in sede Onu, cui aderiscono molti paesi,ma che rimangono dichiarazioni di principio non proprio calate nella pratica di governo. Queste differenze di legislazione e di funzionamento degli apparati giudiziari, le falle del sistema penale dei vari paesi, vengono ampiamente sfruttate dai criminali più accorti per garantirsi ulteriori privilegi e impunità.

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