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Bcc Terra d’Otranto, l’ombra dei clan – 2

Fabiana Pacella il . Corruzione, Criminalità, Economia, Politica, Puglia

terre otrantoIl peso del clan Tornese della sacra corona unita nell’elezione dei vertici della banca. Gli inquirenti documentano una presenza profonda, sottile, radicata, che balza meno agli occhi dello Stato.

“…Tanto ci teniamo le mani tra di noi è un cerchio e diventeremo sempre più forti”.

Con queste parole Giancarlo Mazzotta, sindaco di Carmiano in provincia di Lecce, sancisce secondo gli inquirenti, il modus operandi di un gruppo nutrito di persone, collegate tra loro in maniera circolare e unite dal fine comune di consegnare la governace dell’istituto di credito, a Giancarlo Mazzotta e suo fratello minore Dino.

Mazzotta, primo cittadino di Carmiano, è stato raggiunto pochi giorni fa, con altri 7, da un avviso di conclusione delle indagini della Procura di Lecce. L’indagine riguarda i contesti e il clima nei quali maturò l’elezione del nuovo CdA della Banca di Credito Cooperativo di Terra d’Otranto, a maggio 2014, che decretò la vittoria del fratello minore Dino Mazzotta (anche lui tra gli otto).

Gli inquirenti percorrono tutte le strade possibili.

Il collegamento tra politica, finanza, imprenditoria e criminalità organizzata è documentato da una lunghissima attività dai Carabinieri, che portò in prima battuta ad accendere il faro della Procura su almeno 35 elementi. Attualmente, in uno dei tronconi dell’inchiesta mastodontica, quello su estorsione aggravata da modalità mafiose, violenza privata, tentata concussione e mala gestio dell’istituto delle deleghe di voto, figurano otto nomi.

Tutti raggiunti da avviso di conclusione delle indagini, il che significa in soldoni: presentazione di memorie e verifica della possibilità di stralciare altre posizioni o di procedere col rinvio a giudizio.

Al “cerchio” il compito di raccogliere deleghe su deleghe. Lo stessa sistema illegale fatto di pressioni, promesse truffaldine, intimidazioni e ricatti, sarebbe stato adottato anche nella campagna elettorale 2011, come evidenziato ad esempio, da alcune conversazioni in cui uno degli otto indagati, impiegato di banca, rivolgendosi al primo cittadino, sostiene: “Senti Giancarlo, allora, se non si muove nessuno a Monteroni, è meglio ancora! Credimi! Perché più gente si mette in mezzo e peggio è! Se non si solleva polverone come l’altra volta, me la vedo io e 90% le prendo!”, facendo in qualche modo riferimento, sempre secondo l’ipotesi formulata dagli inquirenti, anche ad interventi di soggetti legati all’ambiente criminale monteronese.

Di certo, al momento, gli atti. E le verifiche degli investigatori, che delineano un quadro inquietante a conferma che la sacra corona unita è attiva, la quarta mafia ha solo cambiato pelle: poco clamore e più eleganza, attenzione chirurgica alla gestione dei rapporti con politica e finanza cui si lega o è legata, braccia e menti che lavorano insieme mantenendo un profilo basso per non suscitare clamore. Così l’infiltrazione è più profonda, sottile, radicata e balza meno agli occhi dello Stato.

O almeno, questo è l’intento.

Il primo cittadino del Comune a nord di Lecce, dove fu eletto con maggioranza bulgara per la seconda volta, viene ritenuto dagli inquirenti di fatto il vero dominus della BCC Terra d’Otranto.

Il suo nome compare nel fascicolo, come protagonista diretto o avvalsosi di terzi, in ipotesi di  estorsione aggravata da metodo mafioso, raccolta di deleghe in bianco per favorire lì elezione del fratello, violenza privata, tentata concussione.

L’azione della consorteria mafiosa denominata “clan Tornese”, federata alla frangia leccese della sacra corona unita, viene documentata in maniera varia e pedissequa, in numerose circostanze.

Minacce, minacce per tutti. Anche per politici finiti nelle stanze della Procura, e ascoltati come vittime. Un clima di paura circolato di bocca in bocca tra coloro i quali in qualche modo, sembravano uniti dallo stesso destino: essere prima o poi raggiunti da quelle ritorsioni mascherate da consigli.

Minacce e paura. Per se stessi ma anche per i propri familiari, tanto che qualcuno spontaneamente andò in viale De Pietro (dove è la sede della Procura), a raccontare quanto stesse accadendo, senza sapere che l’autorità giudiziaria aveva già avviato la sua macchina.

Ancora più inquietante il quadro della situazione fornito da un imputato che ha iniziato a collaborare con la giustizia, finito in carcere per un’altra pesante inchiesta della Procura di Lecce: secondo la versione fornita da questo nuovo collaboratore (ma non ancora pentito) vi era evidente contiguità tra il clan Tornese di Monteroni e i fratelli Mazzotta di Carmiano.

Peraltro, durante la presidenza di Dino Mazzotta, è stata riscontrata l’attivazione di rapporti quali apertura di conti correnti, concessione di fidi e mutui ipotecari tra personaggi riconducibili a famiglie criminali e Bcc di Terra d’Otranto.

L’accerchiamento dei soggetti “pericolosi” che avrebbero potuto minare il disegno finalizzato alla presidenza Mazzotta-bis, è totale. Telefonate, incontri privati, messaggi, ricatti, rinfrescate alla memoria di chi avesse ottenuto anche un mutuo in Bcc, sono stati i punti di forza della campagna elettorale per il rinnovo del Cda del 2014, secondo gli investigatori.

Gran parte delle persone ascoltate sono state concordi nel denunciare una serie di irregolarità ed illegittimità verificatesi nel corso di quella campagna elettorale prima delle elezioni del 4 maggio 2014, anche con il concorso – si diceva in precedenza – di esponenti della Scu.

2/ LA STORIA DELLE DELEGHE

Secondo gli investigatori, Giancarlo Mazzotta avrebbe rivestito il ruolo di “leader nella campagna elettorale del nuovo cda della BCC Terra d’Otranto, guidando più volte le scelte amministrative del fratello presidente”.

Il gioco era studiato in questa maniera: farsi sottoscrivere la delega dai soci interpellati o comunque vicini, per poi esprimere la preferenza per la lista n. 1 facente capo a Dino Mazzotta. Così sarebbe stato scongiurato il pericolo di un cambio di idea in occasione della votazione di fatto.

Il ruolo di amministratore pubblico del fratello del presidente di Bcc, sarebbe stato un punto a favore di questo congegno.

L’uomo avrebbe contattato più volte anche esponenti politici leccesi, già soci della BCC Terra d’Otranto, in maniera pressante, chiedendo loro di appoggiare la campagna elettorale del candidato presidente Dino.

Episodi finiti subito sul tavolo della Procura.

E se qualcuno in generale, era riottoso, sarebbe bastato minacciare – come di fatto è accaduto -, interruzione di rapporti in essere con Bcc, trasferimenti e altre difficoltà.

“Una pagliacciata, sono indignato, mi vergogno di essere cittadino italiano”, le parole del primo cittadino, all’epoca dell’esplosione dell’inchiesta, a chi gli chiedeva lumi su quanto stesse accadendo.

Fonte: Il tacco d’Italia

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