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“Se vuoi la pace conosci la guerra”, ovvero come smontare le fake news sui conflitti mondiali

Nico Piro il . Cultura, Diritti, Giovani, Guerre, Informazione

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo un abstract dal nuovo libro di Nico Piro intitolato “SE VUOI LA PACE CONOSCI LA GUERRA”, uscito pochi giorni fa per HarperCollins Italia e pensato soprattutto per i più giovani, anche se il testo è utile alla riflessione di tutti.

Dopo tante inchieste in giro per il mondo, l’inviato speciale del Tg3, basandosi sui tanti episodi di vita vissuta (e rischiata) e anche sulla ricca documentazione raccolta lungo il suo lavoro, racconta gli orrori delle guerre e la falsità della propaganda che alimenta l’industria bellica, fino a farsi promotore di un accorato appello in favore della pace, “unica salvezza per il mondo”.

La pace non ha sponsor, la guerra sì

A questo punto della vostra lettura, credo vi sia chiaro il fatto che la guerra è una cosa brutta, che fa tanto male alle persone e distrugge l’ambiente. Ma allora perché l’essere umano continua a fare la guerra? I motivi sono tanti, io preferisco concentrarmi su quello che credo sia il più importante: si fanno guerre perché conviene, cioè perché qualcuno, dalla guerra, ci guadagna.

Ma proviamo a camminare al contrario, così forse le cose le vediamo meglio. A chi non conviene la guerra?

Alle persone normali: a chi lavora, a chi va a scuola, a  chi resta a casa a occuparsi della famiglia. Ai civili, cioè quelli che non sono né soldati né poliziotti, che non hanno armi, che non combattono ma vengono colpiti lo stesso.

Si calcola che in una guerra, su dieci vittime (morti e feriti), ben nove siano civili.

La guerra non conviene nemmeno ai soldati, che spesso sono obbligati a combattere anche se non vorrebbero farlo perché non vogliono morire. Come si obbliga una persona a diventare un soldato? In alcuni paesi il governo manda a tutti gli uomini di una certa età (per esempio dai 18 ai 50 anni) una “cartolina” che ordina loro di andare in una caserma e diventare soldati, altrimenti finiscono in prigione (la “leva” di cui vi ho già parlato). In altri casi, a obbligarti a diventare un soldato è un capo locale (per esempio del tuo villaggio) che non ti lascia scelta: o combatti per me o ti ammazzo.

A volte in guerra ci si va volentieri, per colpa di una cosa che si chiama propaganda. Immaginate di essere cresciuti in un piccolo villaggio, nel deserto o sulle montagne di un paese poverissimo, senza aver mai letto un libro, senza essere mai andati a scuola, e qualcuno (i potenti del posto oppure quelli che parlano alla radio, in tv) ti ripete che il nemico è il male assoluto e che va ucciso. È una specie di lavaggio del cervello che ti porta a credere che l’unica cosa giusta da fare sia combattere, per cui vai al fronte con gran convinzione, e spesso capisci che orrore sia la guerra troppo tardi, quando non puoi più tornare indietro.

Ci sono poi i mercenari, negli ultimi anni li chiamiamo anche “security contractor” con un termine inglese che suona meno brutto. I mercenari sono persone che vanno a combattere senza crederci. Non vanno a far la guerra perché pensano sia utile a migliorare le cose, possa servire al proprio paese o sia un modo per rispettare la propria religione. Non diventano soldati perché obbligati da un ordine del loro governo. Lo fanno per soldi, offrono le loro capacità di soldati al miglior offerente. In alcuni casi passano da una parte all’altra a seconda di chi li paga di più.

Se i mercenari fanno la guerra per mestiere, spesso spostandosi per il mondo, c’è chi la guerra deve farla perché non ha altro modo di guadagnare. Quando le guerre durano tanti anni (e durano quasi sempre molto a lungo) succede che in quel paese non c’è più lavoro, per esempio non ci sono più clienti per il tuo negozio: non arrivano più turisti e nessuno ha più i soldi per comprare i mobili che produci o per venire al tuo ristorante. A quel punto combattere è l’unico lavoro rimasto, per cui si lasciano a casa gli attrezzi del proprio mestiere e si imbraccia il fucile. Si diventa soldati o guerriglieri in cambio di uno stipendio mensile.

La differenza con i mercenari è che questi ultimi, spesso, vengono da paesi in pace: non sono obbligati a combattere perché la guerra ha distrutto l’economia e quindi non c’è più lavoro, lo fanno solo per guadagnare più soldi di quelli che intascherebbero facendo altri mestieri a casa propria.

La guerra non conviene ai poveri perché li rende ancora più poveri. La guerra ferma il commercio, fa chiudere i negozi, rende difficile trasportare i prodotti, impedisce ai contadini di coltivare frutta e verdura. Così diventa difficile trovare da mangiare. Chi non era povero prima della guerra, spesso diventa povero. Chi povero lo era già, diventa ancora più povero.

La guerra non conviene a chi è malato perché rende più difficile trovare le medicine, raggiungere un ospedale, trovare un medico. La guerra, inoltre, fa ammalare molte più persone, per esempio perché le bombe diffondono sostanze tossiche o perché colpiscono fabbriche come impianti chimici facendone uscire gas velenosi. I feriti spesso diventano disabili: anche se guariscono, si portano addosso per il resto della loro vita dei segni che nessuno potrà cancellare. Non riescono più a camminare e sono in sedia a rotelle, hanno perso una gamba, un braccio, a volte una gamba e un braccio. Si muovono a fatica, non possono lavorare.

La guerra non conviene ai bambini perché vedono la morte da vicino, vivono nella paura come non dovrebbe succedere a nessuno, nemmeno a una persona grande. Subiscono dolori e sofferenze che li segneranno per tutta la vita.

In guerra i bambini devono rinunciare alla scuola, quindi ai loro sogni di diventare, da grandi, medici, professori, calciatori, disegnatori di moda, artisti. I bambini in guerra non possono giocare perché non hanno giocattoli o perché è tutto troppo pericoloso, anche uscire in cortile per giocare a nascondino. Spesso devono lavorare per aiutare la famiglia a mangiare. Se la loro famiglia decide di fuggire, devono affrontare un viaggio pericoloso che li porta lontano da casa e dagli amici, che non rivedranno mai più. In alcune guerre i bambini sono persino costretti a prendere le armi e a combattere al fianco dei grandi. Accade perché una milizia – cioè una banda di combattenti – non riesce a reclutare, cioè a costringere a diventare soldati, un numero sufficiente di uomini. A quel punto, pur di avere guerriglieri, rapisce i bambini, li toglie ai genitori e li trasforma in macchine per uccidere. Anche se hanno solo dieci anni.

Invece la guerra conviene ai potenti, quelli che non sono persone comuni ma che hanno del potere sulle persone comuni.

Ci sono potenti “piccoli”, come chi fa la “borsa nera”, cioè vende a prezzi raddoppiati o triplicati prodotti che non si trovano più nei negozi, per esempio la farina o la cioccolata, e per comprarli devi per forza andare da loro.

Ci sono i trafficanti di esseri umani, i “passatori”, quelli che ti fanno passare dall’altra parte di un confine anche se non hai i documenti necessari, e per farlo questi personaggi chiedono migliaia e migliaia di dollari a persona.

Si tratta di una cifra che spesso è il doppio o il triplo di uno stipendio mensile medio, considerando un paese come il nostro, ricco e in pace, figurarsi quanti soldi può rappresentare in un paese in guerra. Ci sono famiglie che vendono tutto quello che hanno (anche la casa o la terra) per pagare i trafficanti e far partire uno dei propri figli – di solito il più bravo, quello che ha studiato di più – sperando che arrivi in Europa, negli Stati Uniti o in Canada per costruirsi un futuro migliore.

Ci sono poi i potenti “grandi”. Sono presidenti, ministri, insomma quelli che governano un paese. Per loro le guerre possono essere molto utili perché, caricando le persone di odio per il “nemico”, fanno dimenticare alla gente tutte le cose che avevano promesso di fare e non hanno fatto (più ospedali, strade migliori, lavoro per tutti!). Inoltre quando c’è una guerra è più facile controllare le persone e quello che pensano: chiunque dica che non è d’accordo con chi comanda viene definito un traditore, cioè un amico del nemico!

Le guerre sono grandi affari. Prima di tutto c’è bisogno di fornire armi ai soldati. C’è bisogno di aerei che sganciano bombe, di elicotteri che trasportano soldati, di navi che lanciano missili, di proiettili, di fucili, di razzi anticarro, di carri armati. Servono giubbotti antiproiettile, elmetti, uniformi e scarponi. Ma non è finita qui. La guerra distrugge tutto, case, ospedali, strade ma anche le armi, e quindi c’è sempre bisogno di nuove armi, ogni volta che viene abbattuto un elicottero o distrutto un fucile d’assalto bisogna comprarne altri perché la guerra deve continuare.

La ricostruzione delle case, delle scuole, delle strade – di tutto quello che serve ai civili, alle persone comuni – deve attendere, perché ricostruire sarebbe inutile se si continua a combattere. Gli operai rischierebbero di essere uccisi tirando su un nuovo palazzo che poi potrebbe essere abbattuto poco dopo da un missile. E chi tornerebbe a vivere in un palazzo nuovo nel mezzo di una zona in cui si spara ancora?

La ricostruzione è parte degli affari che si fanno dopo la guerra, un fiume di miliardi per nuove case, nuove strade e nuove scuole, ma prima del mercato dei mattoni e del cemento viene quello delle armi.

La guerra è un grande affare per i produttori di armi, ma è un grande danno per noi persone comuni, perché i soldi che un paese dedica ad acquistare armi vengono tolti ad altre cose. Più si comprano armi, meno asili si aprono, più ospedali si chiudono, meno spese si possono sostenere per aiutare i più poveri e le famiglie.

Peccato che queste cose non le dica nessuno. I potenti dicono sempre che le armi servono a difenderci, ma se da decenni investiamo in armi e le guerre continuano a scoppiare vuole dire che non è vero che le armi servono a farci stare più sicuri. I potenti poi non dicono mai che lo Stato è come una famiglia, che se spende soldi per una cosa non può spenderli per un’altra. Se compri casa non puoi comprare l’auto nuova. Se compri un vestito non puoi comprare un giocattolo. Se spendi per distruggere, non puoi costruire.

La guerra conviene a poche persone che guadagnano tantissimo e quindi possono spendere per fare “pubblicità” ai conflitti, per dire che sono utili e giusti. Per questo diciamo che la guerra ha degli sponsor, solo che, diversamente dagli sponsor delle squadre sportive, i loro nomi non li troverete in bella vista sulle magliette. A chi guadagna dalla guerra conviene che la guerra continui, e quindi lavora – senza farsi notare – affinché la gente venga convinta che alla fine combattere è l’unica soluzione possibile e giusta. E a convincere la gente ci pensano politici e giornalisti, a loro volta convinti da quelli a cui la guerra conviene e che hanno tanti soldi a disposizione.

È una bugia, perché l’unica vera soluzione non è la guerra ma la pace. La pace conviene a tutti e quindi non ha sponsor. È come il giardino pubblico, lo usano tutti ma non se ne prende cura nessuno, perché ognuno di noi pensa: “Lo farà qualcun altro, non io”.

Purtroppo in guerra si dicono tante bugie e diventa difficile capire cose che sono invece molto semplici. La guerra è una scelta, e la scelta della guerra non aiuta le persone comuni.

Abstract: Nico Piro, “SE VUOI LA PACE CONOSCI LA GUERRA”, HarperCollins Italia, Milano 2024


L’autore

Nico Piro pluripremiato inviato del Tg3, da giornalista, documentarista e scrittore è stato sempre in prima linea nelle aree di crisi (epidemie, migranti, rifugiati, catastrofi naturali) e nelle zone di guerra. In tantissime reportage per la Rai ha seguito da vicino le vicende dell’Afghanistan e ha trasformato la sua esperienza diretta nei documentari “Un ospedale in guerra” e “Oggi voglio vivere”, e in preziosi libri sul tema tra cui i recentissimi “Maledetti pacifisti” (2022) e “Kabul, crocevia del mondo” (2022), entrambi editi da People. Con Gino strada, di sé dice: “non sono pacifista sono contro la guerra”.



Se vuoi la pace conosci la guerra

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