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Quando Palermo ancora si indignava

Saverio Lodato il . Forze dell'Ordine, Giustizia, Mafie, Memoria, Sicilia

Una cerimonia d’altri tempi. Quando Palermo ancora si indignava. Quando la Cattedrale era l’unico Palazzo che si apriva alla gente buona, che non ci stava, che si rivoltava al malaffare, agli efferati crimini di mafia, incredula, al cospetto di una ferocia insensata che colpiva gli uomini migliori.

Eccola l’antimafia dei fatti, quella che ormai non ti immagineresti più.

Che rifugge dalla retorica delle passerelle a data fissa, dei convegni usa e getta, persino dei finanziamenti statali generosi, a patto che si rispettino le regole; l’antimafia delle parole roboanti, pronunciate solo per nascondere verità drammaticamente solari che da che mondo è mondo mettono paura al Potere.

Eccola l’antimafia che in un giorno solo zittisce l’antimafia di facciata.

Ma che per quanto sia di facciata, non rinuncia mai a falsificare i fatti, nascondere evidenze e prove, con un accanimento tanto revisionistico quanto negazionista sul quale le persone per bene avrebbero tanto da interrogarsi.

Ma veniamo a oggi.

Vincenzo Agostino se n’è andato, senza il conforto di quello Stato che tanto avrebbe voluto al suo fianco in un calvario durato 35 anni, da quell’indimenticabile 5 agosto 1989, ma accompagnato dalle sofferte parole pronunciate, in sua memoria, da Corrado Lorefice, l’arcivescovo di Palermo. Meglio di niente, verrebbe da dire. Eppure, sia le parole del cardinale, sia quelle, assai dure contro lo Stato, di Nino Morana, il nipote di Vincenzo Agostino, sono destinate – da sole – a colmare un vuoto immenso.

Le parole, quando sono autentiche e sentite, servono. Eccome se servono.

Certo.

Non lo Stato, ma la Chiesa, ha sentito il bisogno di far sentire la sua voce. Quella Chiesa – osservava Kafka – che ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai. E ora Vincenzo Agostino se n’è andato per sempre.

Se ne è andato privo – e privato – di quella verità agognata su ciò che accadde: lo scempio, a colpi di pistola, di suo figlio Nino e di Ida, incinta, quando entrarono in azione i sicari mafiosi inviati dall’alto, ma inviati chissà da chi.

I processi – sia detto per cronaca – vanno avanti nell’individuazione dei killer, ma, come da copione in storie del genere, vanno a vuoto, quando si affronta il nome dei mandanti.

Ha detto il cardinale Lorefice: “Vincenzo Agostino, insieme alla sua amatissima moglie Augusta Schiera (che se n’era andata qualche anno fa, ndr) era una vedetta, una sentinella, un vegliardo”.

E ricordato, in proposito, la figura del vegliardo Simeone, dal Vangelo di Luca, che “vegliava nella notte”.

Vegliare di giorno e di notte: che altro si potrebbe fare in una città come Palermo con gli orrori del suo passato che i retori dell’antimafia di facciata vorrebbero fossero archiviati senza i colpevoli individuati?

Aggiunge ancora il cardinale Lorefice: “E’ finita la fatica di Vincenzo. Ora ci è chiesto di assumerla, di portarla avanti noi. Il testimone passa a noi. Siamo qui per questo, per continuare a vegliare nella notte”.

L’Antico Testamento dedica molto spazio alla necessità che il buio venga sempre diradato.

Non è forse scritto nel Libro del profeta Isaia: “Và, sii la vedetta Notturna Quello che vedi grida?”.

Eccola l’antimafia per la quale è morto, con barba lunghissima, un padre che non smise mai di vegliare e gridare tutto ciò che di indegno, anche da parte di questo Stato, gli era toccato vedere.

Ancora per la cronaca: la Cattedrale, fra l’altro, era piena di donne e uomini di polizia. I rappresentanti dello Stato, invece, li contavi sulle dita di una mano.

La rubrica di Saverio Lodato

Fonte: AntimafiaDuemila

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In migliaia a Palermo per l’ultimo saluto a Vincenzo Agostino

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