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“Il colpo di spugna” alla trattativa Stato-mafia e quel processo che non andava fatto

Nino Di Matteo, Saverio Lodato il . Costituzione, Giustizia, Informazione, Mafie, Memoria, Sicilia

Per gentile concessione degli autori, pubblichiamo alcuni passaggi tratti dal nuovo libro di Nino Di Matteo e Saverio Lodato intitolato “IL COLPO DI SPUGNA” uscito in questi giorni per Fuoriscena, il nuovo marchio editoriale RCS.

Nel corso dell’intervista realizzata da Saverio Lodato, tra i giornalisti più esperti del fenomeno mafioso, il magistrato si sofferma a più ripresi sui contenuti della sentenza della Corte di Cassazione sulla trattativa Stato-mafia che ha ribaltato l’esito dei precedenti gradi di giudizio, finendo per cadere nell’oblio della pubblica opinione e di una politica che, per istinto di conservazione, ha girato rapidamente pagina, evitando di trarre le dovute conseguenze dalle puntuali ricostruzioni fatte in sede processule, al netto dell’esito finale.


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Saverio Lodato – Come lei sa perfettamente, in Italia ci sono sentenze e sentenze. Alcune – per dirla con Orwell – sono sentenze più sentenze di altre. Questo è uno di quei casi in cui, a parlarne, si rischia di essere precettati, con parola che va di moda. Ma siccome l’opinione pubblica sulla vicenda vuole vederci chiaro, parlarne non guasta.

Direi di più: l’opinione pubblica ha capito tutto quello che c’era da capire e ci ha visto chiaro. Perché non proviamo a fare un sondaggio fra gli italiani chiedendo come la pensano su questo punto? In Italia, la sondaggite dilaga. Ma sugli eventuali
legami fra lo Stato e la Mafia, il cittadino italiano deve restare muto come un pesce.

Nino Di Matteo – La sentenza della Cassazione, che pretende di riscrivere i fatti, anziché limitarsi al controllo di legittimità della sentenza impugnata, rischia di costituire per il futuro un pesante e pericoloso monito per quei magistrati che di volta in volta saranno chiamati a indagare e giudicare fatti e delitti che non possono essere compiutamente accertati, se non debitamente collegati e valutati in un contesto storico e sociale più ampio.

In questo senso, alcuni passaggi della sentenza della Cassazione sono davvero preoccupanti.

Per esempio, si afferma che i giudici di Palermo avrebbero ricostruito i fatti «secondo un approccio metodologico di stampo storiografico». E ancora si fa riferimento all’asserita «eccessiva dilatazione» – così scrivono i giudici – delle motivazioni delle sentenze di merito.

pag. 42/44

S.L. – L’udienza di Napolitano: forse il momento più al «calor bianco» di tutto il processo di Palermo, nelle sue varie fasi. Insieme allo scontro istituzionale fra Quirinale e Procura di Palermo affinché non venissero rese pubbliche – anzi venissero addirittura distrutte – le telefonate di Napolitano.
E mi lasci dire, en passant, che l’informazione televisiva e della carta stampata non scrisse, in quell’occasione, una pagina molto edificante.

N.D.M. – Ma, alla fine, Napolitano accettò di essere interrogato dai giudici di Palermo.

E qui voglio riportare testualmente la mia domanda e la risposta di Napolitano che, all’epoca delle stragi del 1993, era presidente della Camera dei Deputati. Gli chiesi: «Presidente, quali furono ai più alti livelli istituzionali e politici le reazioni più immediate a quelle stragi? Quali furono in quelle sedi, cioè ai più alti livelli istituzionali, le valutazioni più accreditate sulla matrice e la causale di quelle stragi che tanto profondamente avevano scosso il Paese?».

Il presidente rispose: «La valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di governo in particolare, fu che si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della Mafia, si parlava allora in modo particolare dei corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via, si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante, per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut,
perché questi aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico-istituzionale del Paese».

S.L – Quindi chi doveva sapere sapeva. Chi doveva capire aveva capito. È questo che vuole dire?

N.D.M. – Sì. Le parole di Napolitano rimangono agli atti. La sua fu una risposta estremamente chiara e precisa, che evidenziava come, non solo il governo, ma tutte le più alte istituzioni dello Stato avessero ben compreso la minaccia e le finalità del ricatto. Altro che minaccia solo tentata e non consumata! Altro che conseguente assoluzione anche per i mafiosi!

Per sostenere la propria tesi la Cassazione ha dovuto ignorare perfino le dichiarazioni testimoniali di un presidente della Repubblica!

pag. 57/58

S.L. – Alla fin fine, mi sentirei di dire che tutto è dipeso dalla lente attraverso la quale la Cassazione ha voluto guardare ai fatti. Mi consenta una digressione che forse aiuta a capire.

Torna in mente il cosiddetto paradosso di Zenone, un filosofo dell’antica Grecia che si insegnava a scuola. E che allora, come oggi, suscita lo stupore divertito dei ragazzi. Il paradosso si riferiva ad Achille «piè veloce» e alla tartaruga, che invece è lenta per definizione. Zenone sosteneva che se la tartaruga fosse partita dal punto «A1» e Achille, invece, leggermente distanziato, dal punto «A2», Achille non sarebbe mai riuscito a raggiungere la tartaruga. Perché – sosteneva ironicamente
Zenone – prima di raggiungere il punto «A1», Achille avrebbe dovuto colmare la distanza compresa fra i due punti. E così via all’infinito, considerato che la tartaruga, pur se lentamente, avrebbe continuato a muoversi. Ma tutti sanno che, in realtà, Achille non avrebbe difficoltà a battere la sua avversaria. Viene considerato il prototipo del «ragionamento per assurdo».

In altre parole, a furia di ridurre al lumicino la visione dei fatti a carico degli imputati, la Cassazione quei fatti se li è perduti per strada? È azzardato?

N.D.M. – Il paradosso ha una sua indubbia efficacia. Mi limito a rilevare che se tutti i fatti fossero stati valutati con una visione d’insieme, non si sarebbe arrivati a una decisione così liberatoria per gli imputati.

La sentenza sembra invece risentire di un antico vizio che troppe volte in passato aveva caratterizzato l’approccio giudiziario alle più complesse vicende di Mafia. E in proposito, esistono purtroppo precedenti negativi illustri.

Qual è la sostanza della questione? La sostanza è che isolare i fatti l’uno dagli altri, parcellizzare la valutazione, ridurre e sfoltire per principio, concentrarsi sul particolare perdendo di vista il contesto, è prassi diffusa quando non si vogliono assumere decisioni delicate che rischiano di diventare dirompenti. Ed è purtroppo quello che sta accadendo anche in altri ambiti.

pag. 63

N.D.M – Non mi sento sconfitto. Ho cercato solo di fare il mio dovere, mettendo da parte ogni calcolo opportunistico e ogni ambizione di facile carriera. Per questo ancora oggi ho la serenità di chi, con tutti i limiti e i possibili errori, è consapevole di avere contribuito, con altri valorosi colleghi, a far emergere fatti gravi e importanti, a cercare di portare un po’ di luce nei labirinti più oscuri della nostra storia recente.

Abstract: Nino Di Matteo e Saverio Lodato, “IL COLPO DI SPUGNA”, Fuoriscena 2024


Gli autori

Nino Di Matteo, già sostituto procuratore della Repubblica a Caltanissetta e Palermo, è attualmente alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. È stato consigliere togato indipendente del Csm. Con i colleghi Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e, prima ancora, con Antonio Ingroia, ha istruito il processo «trattativa Stato-Mafia», avviatosi nel marzo del 2013 con i relativi rinvii a giudizio. Pm in innumerevoli processi a carico dell’ala militare di Cosa nostra, negli anni ha indagato, tra l’altro, sulle stragi dei magistrati Chinnici, Falcone, Borsellino e delle loro scorte.

Saverio Lodato è tra i più autorevoli giornalisti e scrittori di mafia, antimafia e Sicilia. Per trent’anni inviato de «l’Unità», oggi scrive su «Antimafiaduemila.com». Tra i suoi libri: Quarant’anni di mafia, La linea della palma (con Andrea Camilleri), Rizzoli; I miei giorni a Palermo (con Antonino Caponnetto), Garzanti; La mafia ha vinto (con Tommaso Buscetta), Mondadori; Il ritorno del Principe (con Roberto Scarpinato), Un inverno italiano e Di testa nostra (con Andrea Camilleri), Chiarelettere. Con Nino Di Matteo ha scritto I nemici della giustizia per Rizzoli.

Sulla trattativa Stato-Mafia, Di Matteo e Lodato hanno pubblicato sempre per Chiarelettere il bestseller Il patto sporco (2018), uscito in una nuova edizione aggiornata con il titolo Il patto sporco e il silenzio.


Il colpo di spugna

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