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“Mio padre e tutte le altre vite spezzate dalla mafia: dal ricordo alla memoria”

Marialuisa Rovetta * il . Diritti, Giustizia, Lombardia, Mafie, Memoria, Sicilia

Buongiorno e grazie per essere qui oggi a celebrare la 27esima Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Mi chiamo Marialuisa Rovetta e sono la figlia di Alessandro Rovetta assassinato il 31 Ottobre del 1990 a Catania insieme a Francesco Vecchio.

A quel tempo, non avevo ancora compiuto due anni e l’unica cosa che ho veramente compreso ad oggi è che a quell’avvenimento, a quel preciso istante, si rimane ancorati per il resto della vita.

Perciò non posso che parlarvi con il cuore e con lo sguardo di quella bambina, della figlia che sono, priva di ricordi di mio padre e privata della possibilità di coltivarne altri con lui.

È probabile che per molti di voi Alessandro Rovetta, la sua storia e gli avvenimenti di quel 31 Ottobre a Catania, siano sconosciuti. Vi confesso che fino all’età di 16 anni anche io ero ignara di cosa accadde quel giorno. Sì, ignoravo perché come si può raccontare ad una bambina di quasi 2 anni che suo padre è stato ucciso ma non si sa perché e chi sia stato.

Così gli anni passano, ma tutto tace, il fascicolo rimane “dormiente”, come le indagini archiviate più volte senza che i miei familiari fossero informati.

A questa famiglia proprio non è dato sapere e raccontare tutta la vicenda a questa ragazza è ormai diventato complesso.

Ma alla fine la verità una strada la trova sempre. Nel mio caso è stato un sms.

E quella verità portava con sé anche un altro importante messaggio: “l’uccisione di tuo padre rimane senza mandanti, senza esecutori.”

Un fatto che dopo più di 30 anni assume un peso preponderante nel mio vissuto e nel mio quotidiano ed in quello di tutti i familiari che attendono ancora una risposta.

È perciò necessario imparare a fare memoria perché questa forma di letargia della giustizia non prenda il sopravvento e non ci faccia credere che si può dimenticare.

Non è possibile dimenticare.

Più di 1000 sono i nomi che leggeremo oggi, ma non scordiamo che sono solo una piccola parte di tutte le vite realmente spezzate dalla mafia.

Quando i media e le istituzioni domani smetteranno di dare attenzione, di darci attenzione, è lì che ci sarà bisogno di memoria.

Quando smetteremo di ricordare ed inizieremo a fare memoria, arriverà il momento che auspichiamo per il futuro di un società che ancora è un ideale.

Poiché è nel domani che può e deve rimanere viva la memoria perché sia pilastro del nostro futuro.

* Intervento alla manifestazione di Libera Milano a Piazza Prealpi, 21 marzo 2022


Alessandro Rovetta

Catania, 31 ottobre 1990

Era un uomo intraprendente e innovativo, riusciva a guardare avanti, verso il futuro. E non lo spaventava l’idea di percorrere strade nuove, di cambiare, voltare pagina. E’ quello che decide di fare quando prende in mano le redini dell’azienda di famiglia. Lui bresciano, in un terra così diversa dalla sua come la Sicilia.

Alessandro Rovetta era nato a Brescia nel 1953. La sua era un famiglia di imprenditori che rappresentava bene il pragmatismo tipico dei bresciani, con  una gran voglia di fare e molto spirito di iniziativa.

Da due generazioni, infatti, la sua famiglia aveva investito in Sicilia, a Catania per la precisione. I Rovetta era azionisti di maggioranza delle Acciaierie Megara spa. Il più importante polo siderurgico della Sicilia, l’unico che produceva i tondini per il cemento.

Alessandro ha vissuto tra Brescia e Roma, dove conseguirà la laurea in Giurisprudenza diventando avvocato penalista per poi decidere di trasferirsi con la sua famiglia nella città etnea. Qui seguirà gli affari di famiglia.

Il lavoro nell’azienda di famiglia

Successivamente alla morte del padre Renato Rovetta, ancora giovane, prende in mano le redini dell’azienda di famiglia, diventando sul finire degli anni Ottanta il maggior azionista e l’amministratore delegato dell’azienda.

Nonostante sia ancora molto giovane, Alessandro ha le idee ben chiare sul suo ruolo e su ciò che vuole mettere in campo. Sotto la guida di Alessandro, la Megara intraprende un’opera di riconversione tecnologica degli impianti, ottenendo un finanziamento di 60 miliardi di lire dalla Regione Sicilia. Alessandro cerca di trovare dei validi collaboratori, tra loro individua subito Francesco Vecchio, il direttore del personale. Non solo un’opera di ammodernamento degli impianti, ma un maggiore controllo interno delle risorse umane e delle ditte e cooperative dell’indotto.

Tanti erano gli interessi che gravitavano intorno all’Acciaieria e Alessandro stava cercando di vederci chiaro, di allontanare quelle cooperative dell’indotto in odor di mafia. Rovetta si rifiuta di cedere a compromessi e nell’agosto del 1990 allontana il direttore tecnico, Severo Robolini, che si occupava della verifica dei lavoratori e delle aziende dell’indotto. Investe di questa responsabilità Francesco Vecchio, che diventa responsabile non più soltanto del personale interno, ma anche della ristrutturazione dei reparti la gestione dell’indotto.

È in questo periodo che entrambi, sia Alessandro e sia Vecchio, iniziano a ricevere chiare minacce nel tentativo di fermare la loro azione di “pulizia”. Alessandro denuncia alla polizia e ai Carabinieri il fatto di aver ricevuto delle chiamate minatorie e la sua villa viene messa sotto sorveglianza.

Il pomeriggio del 31 ottobre 1990

Quella giornata era stata impegnativa, come le altre. Alessandro e Francesco non si erano fermati davanti alle minacce e avevano continuato a lavorare. Intorno alle 18 erano andati via insieme con l’auto di Francesco Vecchio. Mentre attraversavano la zona industriale di Catania, una pioggia di proiettili li travolse, mettendo fine alle loro vite. Questo spietato assassinio aprì una nuova fase a Catania.

Il funerale di Alessandro fu celebrato a Brescia, nella sua città natale, pochi giorni dopo e un intero pullman di operai della Megara era partito da Catania per prendere parte alla celebrazione.

Pochi mesi dopo la famiglia Rovetta, chiusa nel proprio dolore, decide di lasciare Catania e ritornare in Lombardia.

Vicenda giudiziaria

Le indagini furono indirizzate, già in prima battuta, verso la pista mafiosa. Le modalità dell’agguato, la ferocia con cui era stato compiuto e la sua platealità indicavano chiaramente che si stava lanciando un messaggio al mondo imprenditoriale sano di Catania.

Per anni il fascicolo sul duplice omicidio resta però “dormiente”, un delitto senza mandanti e senza esecutori. Finché nel 2007, Salvo Vecchio decide di indagare da solo e scopre che le indagini erano state archiviate nel 1998 senza che le famiglie fossero mai state informate. Ma nel leggere il fascicolo si accorge di tante incongruenze, di piste investigative non approfondite e dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia non verificate.

L’indagine viene riaperta, ma non hanno portato a nessun risultato nonostante siano state percorse tre diverse piste investigative: la prima porta al clan Santapaola – Ercolano; la seconda pista porta direttamente alla cupola palermitana; la terza direttrice investigativa invece porta agli Sciuto. Il caso giudiziario viene archiviato nuovamente nel 2016 e la famiglia di Ciccio Vecchio ha presentato ricorso in Cassazione contro l’archiviazione, che ha accolto la richiesta della famiglia.

Memoria viva

Il nome di Alessandro è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi.

Per noi Alessandro ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa ad Alessandro che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.

Vorrei poter trovare le parole dopo trent’anni ma sono ancora qui a cercarle.

Vorrei parlarti piano senza parlare, senza per forza sapere da dove iniziare.

Ho sempre cercato parole per te che non conosco, non accorgendomi che le parole le avrei dovute trovare per chi è rimasto e per coloro che non sanno.

Una storia, dopotutto, rimane una storia e per quanto ti chiedano di raccontarla non arriverà mai, noi l’abbiamo vissuta.

Noi i primi ad aver esperito ed i primi a non comprendere il nostro stesso dolore, come possiamo pretendere che possa arrivare in terra straniera.

Questo ormai non posso dimenticare.

Marialuisa – figlia di Alessandro

Fonte: Vivi – Libera

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Milano 21 marzo, in Piazza Prealpi per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie

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