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Ddl Zan. Lo stato laico e le pressioni della curia romana

Pierluigi Ermini il . Chiesa, Istituzioni, Politica, Società

Il disegno di legge Zan sta animando il dibattito politico di questi giorni, ancor di più nelle ultime ore dopo la presa di posizione della Santa Sede con una propria missiva indirizzata al governo italiano.

Tante sono le prese di posizione al riguardo tra chi vede l’entrata in scena del Vaticano come un’ingerenza nella politica del nostro paese e chi invece ritiene la legittimità della richiesta avanzata dalla Curia della Chiesa Cattolica perché la legge Zan rischia di ledere la libertà di pensiero e di espressione e limitare l’azione educativa svolta per esempio nelle scuole parificate.

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha ieri chiarito cosa si intende per laicità dello stato italiano.

L’Italia è un paese che tutela tutte le professioni religiose, dando quindi un senso ampio al termine di laicità, non in senso restrittivo, ma ampliandone il valore e anche la responsabilità che lo Stato Italiano si assume verso i cittadini e le diverse confessioni religiose che professano.

Proprio per questi motivi, oltre alla firma del Concordato, esistono altri patti sottoscritti dallo Stato Italiano con molte altre confessioni al fine di garantire la tutela del diritto a tutti della professione religiosa, nel rispetto delle leggi del nostro paese.

E qui si arriva al nodo più importante, che emerge chiaramente  da quanto sta avvenendo in queste ore, ovvero il troppo potere che la Curia Cattolica ha nei confronti delle altre organizzazioni religiose in Italia, un potere che deriva da un Concordato che molto probabilmente, nella nostra società attuale deve essere riletto e aggiornato, se lo scopo principale del nostro ordinamento laico, è quello di dare pari dignità a tutte le professioni religiose.

Il primo punto che dimostra che il nostro non è un vero stato laico è dato dall’insegnamento scolastico, dove l’ora di religione cattolica (anche se non più obbligatoria) è chiaramente una forma di privilegio rispetto alle altre professioni religiose.

L’insegnamento della religione cattolica a mio parere dovrebbe essere sostituita dall’insegnamento di storia delle religioni (che dovrebbe essere invece obbligatoria), perché conoscere come sono nate, si sono formate e sviluppate le tradizioni e le culture religiose nelle varie parti del mondo, diventa fondamentale per capire la complessità della società di oggi.

Inoltre aprirebbe la mente e l’intelligenza degli studenti all’accettazione della diversità, alla tolleranza e forse nel tempo darebbe meno spazio alle forme di integralismo religioso.

Sarebbe un primo passo verso una maggiore equità tra le varie professioni religiose, considerato comunque che nel nostro paese l’insegnamento della religione cattolica avviene già all’interno delle Parrocchie nelle attività di catechismo.

Inoltre per ogni ragazzo/a  che frequenta le scuole parificate l’insegnamento della religione cattolica potrebbe rimanere come materia aggiuntiva (in quanto i genitori scelgono di iscrivere in tali scuole i loro figli), le quali comunque, nel rispetto delle scelte delle materie di insegnamento decise dallo stato laico italiano, dovrebbero essere obbligate a portare avanti l’insegnamento della materia di storia delle religioni.

Ci sono poi i gruppi giovanili parrocchiali, gli scout, un mondo legato all’esperienza religiosa che comunque svolge un ruolo educativo importante a cui tanti dei nostri ragazzi partecipano. Tutti elementi positivi su cui la Chiesa può contare per svolgere il proprio ruolo.

Sono tra coloro che pensano che la trasmissione e l’educazione ai valori avviene principalmente attraverso una conoscenza e un percorso personale, anche attraverso l’incontro con quelli che per noi diventano dei veri e propri maestri di vita, soprattutto sul temi religiosi.

La scelta di una fede e di una professione religiosa avviene in età adulta e matura.

L’insegnamento scolastico deve dare spazio alla conoscenza di come una religione è nata, si è sviluppata, cosa propone; poi il vento dello spirito agisce là dove ciascun uomo e donna apre il suo cuore e la sua mente.

La prerogativa della visione dell’insegnamento scolastico di uno stato laico deve aprire alla diversità, così come le leggi di uno stato laico devono salvaguardare le diversità presenti nella nostra società.

In fondo è questo il principio ispiratorio che sta alla base anche del Concilio Vaticano II, quello di un popolo in cammino con gli altri popoli, e non quella di un popolo eletto rispetto agli altri.

E’ anche il senso del cammino che ci sta dando Papa Francesco in questi suoi anni di Pontificato, con l’idea del Dio unico che agisce nel mondo in modi e tempi diversi, in un cammino di crescita che coinvolge tutta l’umanità verso l’incontro finale con la sorgente della vita e dell’amore.

Una concezione che lo ha portato alla firma del patto di Fratellanza ad Abu Dabhi, alla sua recente visita nella Terra di Abramo e della Mesopotamia, là dove l’uomo ha iniziato il suo cammino di fede e le grandi religioni sono nate.

Una concezione che invece stride con la presa di posizione della Curia di questi giorni.

C’è un ridimensionamento della Chiesa nella sua gestione del “potere temporale” che passa anche da un ridimensionamento politico, che è già nelle cose e nel nostro modo di essere e di sentirsi parte della società.

Uno stato che si considera laico non dovrebbe aver paura anche di rivedere un Concordato, se quello attuale non è più al passo con i tempi che stiamo vivendo.

Per questo le parole di Draghi in Parlamento sulla laicità dello stato non sono un punto di arrivo, ma un punto di partenza per costruire nuovi rapporti anche tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica, salvaguardando non solo ogni professione religiosa, ma dando spazio al Parlamento di approvare leggi che abbiano come unico faro il rispetto della nostra Costituzione.

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