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Illeciti agrolimentari, approvare la legge agli onesti conviene

Gian Carlo Caselli * il . Ambiente, Economia, Giustizia, Mafie, Società

A tanti, soprattutto fra coloro che possono e contano, “troppa” legalità dà l’orticaria. Basta e avanza quel poco o niente che serve per far bene gli affari propri (affari nel senso tecnico- finanziario); e che gli altri se la cavino da soli, se ci riescono….

Questa tendenza vale anche nel settore agroalimentare, dove i “grandi” interessi, dei “grandi” produttori e distributori, sono assai robusti e agguerritissimi. Ed ecco che può persino andare in scena il teatro dell’assurdo. Si chiede (perché occorre) una radicale riforma che aggiorni la normativa in tema di reati agroalimentari? Neanche per sogno, meglio un colpo di mano per cancellare anche quel pochino che funziona.

Quelli a cui la legalità dà l’orticaria

Le mozzarelle blu, i frutti di bosco congelati risultati positivi al virus dell’epatite A, l’olio vergine fatto passare per extravergine sono stati combattuti  in forza di una legge del 1962  (art. 5),  riguardante i  casi di detenzione e vendita di alimenti adulterati o mal conservati. Evidentemente non a tutti era gradita, perché qualcuno, piuttosto potente (o furbo…), è persino riuscito a farla abrogare. E voilà: ecco comparire, ben nascosta tra le pieghe del decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021, una norma che crea un pericoloso buco. La legge del ’62 assicurava una tutela anticipata, vale a dire che è sufficiente la non conformità del prodotto alle regole igienico sanitarie (senza bisogno di dimostrare un pericolo effettivo e concreto) per far scattare una denunzia penale.

Per contro, abrogata questa legge, se un locale è sporco, se le regole igienico sanitarie non sono rispettate, se i cibi sono scaduti o mal conservati, non c’è più spazio per il “penale”, si rischia solo una sanzione amministrativa di pochi euro. Da notare che l’abrogazione è stata una vera sorpresa. Nessuno degli studiosi della materia ne sapeva niente e per di più essa è stata inserita in un decreto legislativo (di adeguamento della nostra normativa a quella comunitaria) col quale non c’entrava un bel nulla.

Inserimento che ben si può dire operato di soppiatto, posto che a cose fatte ciascuno dei tre ministeri interessati (salute, giustizia e agricoltura) ne ha disconosciuto la paternità, così da alimentare il cattivo pensiero che l’abrogazione possa essere figlia una  sconosciuta “manina”. Per fortuna, non appena segnalato il “misfatto” si è subito cercato di porvi rimedio varando (prima del 26 marzo, data di entrata in vigore dell’abrogazione) un decreto legge di segno contrario, del quale si deve ora  attendere la conversione in legge. Sperando che non saltino fuori altre  sgradite sorprese.

E’ dunque in tale contesto che va inserito il progetto di riforma dei reati in materia agroalimentare che forma oggetto principale di questo mio intervento. Del resto, l’iter stesso del progetto dimostra come ci siano resistenze simili a quelle che abbiamo appena visto parlando dell’abrogazione, cioè forze “lato sensu” ricollegabili a quanti sembrano avere a cuore non tanto la tutela della sicurezza dei consumatori quanto piuttosto gli interessi della “cordata” cui appartengono.

Occorre premettere che la normativa vigente (a causa di una disordinata stratificazione delle fonti e di depenalizzazioni inefficaci), anziché garantire una buona tutela ai beni della salute e dell’economia pubblica, ha finito per indebolirla creando anche incertezze interpretative tra disposizioni del codice e leggi speciali. Ne è derivato un quadro obsoleto e del tutto inadeguato a reprimere gli attuali fatti che destano allarme sociale, tanto da risultare addirittura “criminogeno”: nel senso che può incoraggiare chi intende agire nell’illegalità, grazie ai risultati di un calcolo, anche approssimativo, tra costi e benefici.

Legge-illeciti un lungo percorso

Facendosi carico di questi problemi, il ministro Orlando aveva costituito (con DM 20.4.15) una Commissione per l’elaborazione di un progetto di riforma della materia. La Commissione, presieduta dal sottoscritto, era formata da un autorevole gruppo di esperti qualificati (rappresentanti delle forze dell’ordine, della magistratura, dell’avvocatura, del mondo accademico, del settore produttivo). In pochi mesi ha elaborato un articolato, presentato al ministro nell’ottobre 2015 in occasione della chiusura di “Expo”. Dopo un lungo “congelamento”, il progetto è stato approvato dal Consiglio dei ministri nel dicembre 2017, con un paio di anni di ritardo non facilmente spiegabili. Ma quel che è peggio – persino strano, a dire davvero poco… –  è che l’approvazione del CdM è intervenuta il giorno prima dello scioglimento del Parlamento, con trasmissione a questo il giorno dopo lo scioglimento stesso!

Nella nuova legislatura  l’iter del progetto è ricominciato e  il  6 marzo 2020, su proposta dei ministri Bonafede e Bellanova, il CdM ha varato un disegno di legge (AC 2427 –  Nuove norme in materia di illeciti agroalimentari).  Dopo un ciclo di audizioni, la Commissione Giustizia della Camera lo ha approvato. Il testo recepisce gran parte del progetto di riforma elaborato dalla citata Commissione del  2015.

I contenuti della legge approvata alla Camera

Sono previste alcune nuove figure di reato:

  • Il disastro sanitario, nel caso di possibile diffusione di pericoli con conseguenze di portata illimitata sui consumatori, in relazione a situazioni di avvelenamento, contaminazione o corruzione di acque o di sostanze alimentari; quando tali situazioni  richiedano una sanzione  indipendentemente dagli effetti concreti, sia nel breve che nel medio-lungo periodo, in quanto derivanti da condotte pericolose per la sicurezza alimentare, spesso riconducibili a soggetti che operano al di fuori della filiera agroalimentare.
  • Il reato di omissione nel ritiro di prodotti alimentari concretamente pericolosi, configurato a carico dei soggetti che sono inseriti professionalmente nel ciclo produttivo o distributivo commerciale, i quali –  venuti a conoscenza della pericolosità – non intervengano a neutralizzarla, ritirando il prodotto dal mercato o informando l’autorità competente.
  • il reato di agro-pirateria, volto a contrastare gli illeciti messi a punto da soggetti che, pur agendo in modo organizzato e sistematico, non siano riconducibili alla fattispecie associativa mafiosa; illeciti che riguardano la frode in commercio di prodotti agroalimentari o la vendita di prodotti con segni mendaci (con previsione di aggravanti nel caso di uso di falsi documenti di trasporto o di simulazione del  metodo di produzione biologica).

In generale il quadro dei meccanismi di tutela previsti dalla proposta di riforma persegue un triplice obiettivo: conservare un elevato livello di tutela della salute pubblica; garantire maggiore coerenza alla tutela contro le frodi commerciali; estendere i casi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche quale strumento di prevenzione contro la commissione di reati alimentari. Il tutto superando l’inadeguatezza della normativa ancora attualmente vigente, calibrata su fenomeni circoscritti e non sugli eventi criminosi caratteristici dell’oggi, che spesso ledono anche interessi diffusi a danno del mercato, della concorrenza e del pubblico dei consumatori. E’ anche previsto il ricorso a più incisivi strumenti di indagine e a misure cautelari personali in caso di rischio immediato di prosecuzione di gravi  attività illecite.

Sintetizzando a mo’ di slogan, il progetto di riforma  mira ad un diritto  penale della vita quotidiana, capace di accompagnare il consumatore, rafforzandone la fiducia, dal campo allo scaffale e infine alla tavola.

Nel progetto è di tutta evidenza la consapevolezza che il tema delle frodi agroalimentari riguarda, in particolare, le caratteristiche intrinseche del prodotto, essenziali per la scelta di acquisto: sia di per sé sia per la garanzia della denominazione protetta o di specifiche modalità di produzione (si pensi al biologico). Anche il marchio del produttore ha una sua importanza, ma molto minore rispetto ai prodotti diversi da quelli alimentari, dove il marchio, come attestazione della provenienza da un dato imprenditore, esercita una funzione  più suggestiva che non le caratteristiche del prodotto.

Il progetto di riforma ha perciò ben presente la diversità tra i  fenomeni delle frodi agroalimentari e quelli della contraffazione legata ai diritti di proprietà industriale ed intellettuale. Di conseguenza si propone di separare e calibrare diversamente i rispettivi precetti e sanzioni penali. In altri termini, la tutela dei prodotti alimentari é  disposta in un ambito distinto da quella dei titoli della proprietà industriale ed intellettuale e deve tener conto del ruolo del consumatore finale nel mercato.

La codifica del patrimonio alimentare come valore

Ne deriva che  la  frode alimentare viene sanzionata nei confronti del destinatario ultimo del prodotto, tenuto conto anche del maggior valore assunto progressivamente dalla «identità» del cibo quale parte irrinunciabile ed insostituibile della cultura dei territori, delle comunità e dei piccoli produttori locali, che insieme definiscono il “patrimonio agroalimentare”, un valore che nel progetto di riforma si trova espressamente “codificato”.

Approvare la riforma (ovviamente perfettibile in sede di discussione parlamentare) conviene. Perché una filiera che in tutti i suoi segmenti sia presidiata dalla legalità rappresenta la garanzia migliore per ottenere un cibo non soltanto buono, ma anche sano e giusto: capace di tutelare gli interessi del consumatore (la sua salute) e di assicurare un funzionamento regolare del settore che non penalizzi gli operatori onesti (che sono la stragrande maggioranza). Nello stesso tempo, l’agricoltura “buona” cura, difende e mantiene l’ambiente, per cui la vera sostenibilità alimentare si fonde con la cultura del territorio. Tutti profili  che la riforma della normativa vigente può consolidare e sviluppare.

La strada per l’approvazione definitiva della riforma è per altro ancora lunga. La speranza è che non prevalgano coloro che rifiutano un modello di sviluppo orientato al benessere della collettività e alla distintività dei prodotti. Oppure quelli che preferiscono le resistenze corporative ad un’onesta e trasparente collaborazione per il bene comune.

La posta in gioco è alta: di certo, non si può pensare di governare il Paese con armi spuntate, come quelle che offre l’attuale normativa di contrasto ai fenomeni di frode alimentare.

* Fonte: Rocca n°8 – 15 aprile 2021

Rocca è la rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi

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