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Stranieri: il punto su Cpr, riammissioni, rimpatri

Piero Innocenti il . Migranti, SIcurezza, Società

cpr migrantiNel 2020, alla data del 2 novembre, i rimpatri degli stranieri irregolari sul territorio nazionale sono stati 2.200, pochi secondo le valutazioni dell’Assessore alla Sicurezza della Lombardia secondo cui il “sistema delle espulsioni non funziona e chi delinque deve scontare la pena ed essere immediatamente rimpatriato” (Il Giornale, 2 novembre u.s.).

I rimpatri, in realtà, non sono così semplici da effettuare così come non sempre riesce possibile “trattenere” uno straniero destinatario di un provvedimento di espulsione in un Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr). La percentuale dei rimpatriati rispetto al totale dei provvedimenti di allontanamento è sempre stata percentualmente bassa mentre, negli anni passati, si era ritenuta di primaria importanza, per l’efficacia dell’azione di “rimpatrio”, l’ampliamento dei posti disponibili (mai conseguito), anche attraverso l’apertura di nuovi Centri (in questo senso il decreto legge 113/2018), con l’ulteriore previsione di costruirne altri, in un arco temporale di tre anni, attraverso procedure semplificate.

L’obiettivo di ampliare la rete dei Cpr, di capienza limitata (un tetto massimo di 100 posti per ogni Centro), privilegiando siti e aree esterne ai centri urbani è rimasto lettera morta soprattutto per le forti resistenze alla realizzazione di tali strutture da parte di amministratori e comunità locali.

Così, oggi, la situazione è quella di nove Cpr attivi in tutto il territorio nazionale concentrati in sette regioni (la Sicilia e la Puglia ne hanno due rispettivamente), spesso senza posti disponibili e con il problema di richiedere un notevole dispendio di risorse umane della Polizia di Stato nelle ipotesi, ricorrenti, di accompagnamenti di stranieri in località molto distanti dalla sede della Questura che ha adottato il provvedimento.

Non poche difficoltà sono legate, poi, all’accertamento dell’identità delle persone trattenute nei Cpr. Per l’identificazione ai fini dell’espulsione, infatti,è necessario il riconoscimento dello straniero da parte della Rappresentanza diplomatica consolare del paese di provenienza dello straniero e, successivamente, il rilascio del documento di viaggio (cosiddetto lasciapassare) per effettuare il rimpatrio.

Su quelle autorità, allora, si dovrebbe intervenire per una più sollecita collaborazione oltre che a stipulare accordi di riammissione con i paesi di provenienza che, a volte, non ne vogliono proprio sentir parlare di rimpatri di loro connazionali considerati “problematici” per l’ordine pubblico. Senza contare che gli accordi (politici) bilaterali di riammissione vigenti tra il nostro paese con i paesi africani – da dove provengono la maggioranza degli stranieri – sono soltanto cinque: Algeria, Egitto, Nigeria, Tunisia e Gambia. Con la Tunisia, in particolare, è prevista una “procedura semplificata” con la possibilità di rimpatrio con voli charter effettuabili due volte a settimana per un massimo di 40 stranieri su ciascun volo.

Oltre agli accordi bilaterali ci sono quelli stipulati dall’Unione Europea con alcuni paesi terzi per disciplinare procedure biunivoche di rimpatrio e transito di cittadini UE e del paese interessato. Ci sono, infine, le “buone prassi” o “procedure operative standard” che seppur non giuridicamente vincolanti sono sempre uno strumento funzionale per sviluppare la cooperazione tra paesi (ad un livello inferiore si collocano semplici intese tra paesi, accordi tecnici, memorandum). Insomma, come si comprende, non è poi tanto semplice procedere speditamente (cioè immediatamente) ai rimpatri come qualcuno vorrebbe fare infischiandosene di norme nazionali e comunitarie che disciplinano la materia.

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Ignoranza e malafede sull’immigrazione

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