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In ricordo di Giuseppe Tallarita, l’eroe dei semplici

Rosy Tallarita * il . L'analisi, Lombardia, Mafie, Memoria, Sicilia

tallarita_con_la_nipoteCiao Nonno, hai visto il potere della memoria?

Che potere incredibile, riesce ad abbattere il muro dell’indifferenza e arriva dritto alla coscienza dei più.

Nonno, mio caro Nonno, che dire..

Dopo la tua morte nulla è stato come prima, anche se ti abbiamo custodito preziosamente nel cuore. Nessuno è stato più quello che era prima. E per questo ci siamo fatti una promessa solenne: viverti nel ricordo tutti i giorni.

Certo non sei morto volendo dimostrare di essere un eroe, e certo non avresti mai immaginato di trovarti sulla bocca di tanti.

Però, Nonno, per me sei l’eroe dei semplici, l’eroe di un ideale vero e sincero di dignità e integrità. Sei l’eroe della moralità, sei l’eroe della sensibilità, sei l’eroe della tua famiglia.

E anche se so che la parola eroe allontana, nell’immaginario comune, dall’idea del fare alla portata di tutti, non rischierò certamente di essere fraintesa, dopo avertelo ripetuto tante volte..

Ti ricorderemo con tenacia oggi e sempre, a partire da qui, dalla inaugurazione e dalla intitolazione a te di un luogo, che vuole essere di ammonimento per tutti.

Sì perché la memoria parte dai cuori e arriva ai luoghi.

Così noi partiamo da qui, dal nostro luogo di memoria che oggi diventa il punto di partenza di un nuovo progetto di memoria dei semplici.

Perchè qui, possano essere custodite speranze, sogni, impegni, con la promessa di non dimenticare mai.

Di non dimenticarti mai, perché solo così, sarai davvero, per sempre, l’eroe dei semplici.

Lo scorso 19 settembre a Peschiera Borromeo (MI) si è tenuta la “Marcia danzante della Legalità” al termine della quale è stato inaugurato l’Albero della Legalità insieme all’associazione costituenda Vedo Sento Parlo in memoria di Giuseppe Tallarita e del Presidio di Libera Sud Est Milano. Giuseppe Tallarita è una vittima innocente di mafia uccisa il 28 settembre 1990 a Gela (CL). Nel giorno dell’anniversario, lo ricordiamo con le parole della nipote, Rosy Tallarita e con lo scritto letto dai ragazzi all’apertura della manifestazione che racconta, in una prima persona ideale, la storia di Giuseppe Tallarita.

Leggi la storia di Giuseppe Tallarita

Pagina FB: Vedo Sento Parlo in memoria di Giuseppe Tallarita

Una grande emozione per questa prima iniziativa che ha portato alla titolazione dell’albero della legalità alla memoria…

Pubblicato da Vedo Sento Parlo in memoria di Giuseppe Tallarita su Domenica 20 settembre 2020

*****

“Ero un pensionato di 66 anni, un pensionato come tanti altri.

Il lavoro all’Enichem, per tanti anni, era stato tutta la mia vita insieme alla mia meravigliosa famiglia, e lo avevo sempre affrontato con un impegno costante e una serietà tipica dei lavoratoti dei miei tempi.

Ero un marito: la mia amata moglie, custode premurosa del nostro focolare domestico, fu l’unica donna che riuscii ad amare per tutta la mia vita. La amai da subito, da quando ancora bambina quel legame familiare ci costrinse ad un’amicizia unica e rara, destinata a durare per sempre.

Era mia moglie, era la mia più cara amica, era la madre dei miei figli, e mai avrei pensato che un gesto sconsiderato, motivato da futili motivi e crudeltà, avrebbe per sempre tentato di cancellare il noi che nel tempo eravamo riusciti a costruire.

Ero un padre: di cinque stupendi figli, tre maschi e due femmine. Con ciascuno di essi avevo sviluppato un rapporto unico e tipico, e quel Vossia che consentiva loro di rivolgersi a me, contribuiva a costruire quell’immagine di padre severo e preciso che certamente ciascuno di loro custodirà ancora oggi affettuosamente nel cuore.

Ero un nonno: 9 nipotini scadenzati di biennio in biennio, dal più grande alla più piccolina, che di certo di me non conserva che qualche lontano ricordo, forse spesso frutto dei racconti degli altri.

Divenni nonno anche dopo il 28 settembre 1990, e i nipoti divennero 10, ma non potei godermeli più.

Avevo una passione, la mia casa. Con tanti e tanti sacrifici avevo investito tutto ciò che avevo in un appezzamento di terra.

Amavo la mia terra, la amavo tantissimo, era la mia, la nostra, e con fatica tutta la famiglia aveva fatto si che diventasse anche la loro, di quei nipoti che la vivevano come punto di ritrovo durante le vacanze.

Eravamo una famiglia normale, anche se nessuna famiglia, in realtà, è normale; e la nostra quotidianità custodiva il segreto della nostra felicità.

Mi capitava spesso di andare in campagna, da solo, con mia moglie, con i miei figli, e soprattutto con i miei nipoti.

Capitava spesso durante queste gite, di notare che un pastore, transitando davanti alla mia proprietà, mi domandasse di far pascolare all’interno del mio campo il suo gregge di pecore.

Che richiesta irriverente.

Era la mia casa, era la mia terra, e far pascolare le pecore voleva dire accettare che in un attimo, tutti i sacrifici fatti per la realizzazione di quel nostro piccolo angolo di paradiso, sfumassero nel nulla.

Fare pascolare le pecore significava accettare la richiesta prepotente di uno sconosciuto di entrare in casa mia, come se fosse casa sua, e lasciare che calpestasse i nostri ricordi più intimi.

Era la mia casa, e fu per me normale rifiutare qualsiasi tipo di richiesta.

Pensavo che tra gli uomini domandare fosse lecito, e rispondere fosse cortesia, e che certamente quello sconosciuto avrebbe capito e accettato il mio no; non avevo calcolato che esistono uomini e uomini, e che quel rifiuto avrebbe cambiato inesorabilmente il corso delle vite di tante persone.

Quel 28 settembre del 1990 doveva essere una giornata di festa.

Mi alzai, come sempre di buon ora, per andare in campagna a svolgere qualche lavoro di manutenzione; mia moglie insisteva per venire con me, ma quel giorno festeggiavamo il suo compleanno, e il nostro anniversario di matrimonio, e certamente sarebbe stato più utile che lei rimanesse a casa per dedicarsi ai preparativi.

Me ne andai da solo, la salutai come sempre, mentre avrei dovuto salutarla come se fosse l’ultima volta.

Se solo avessi saputo che non avrei più rivisto quel bel viso che avevo scelto per la vita, almeno l’avrei salutata degnamente; mi sarei raccomandato, le avrei ricordato di tutto il mio amore, in modo da darle la forza di guardare al futuro con gli occhi di entrambi.

La salutai come sempre, convinto di rivederla dopo qualche ora.

Non la rividi più, insieme ai miei affetti più cari: era il 28 settembre 1990.

Arrivai in campagna, e cominciai come di consueto a lavorare; dopo poco fui destato dal rumore di un’auto che bruscamente si fermava sul ciglio della strada.

Vidi venire verso di me due uomini armati, non capii, o almeno non in tempo per salvarmi.

Avevo pagato con la vita, quel lontano rifiuto al pastore di far pascolare le pecore nella mia casa. Lo avevo pagato caro e dopo anni, forse perché lui, ormai divenuto figura di rilievo della criminalità organizzata della zona, quel rifiuto non lo aveva mai accettato.

Così, tristemente, mi puniva, senza rispetto alcuno della mia persona, della mia vita, dei miei figli, dei miei nipoti, e di tutto quello che ero stato. Mi punì, e mi abbandonò alla mercé di chiunque, ignaro del fatto che le vite non si cancellano e i legami restano per sempre”.

Certo, il nonno, me l’avrebbe raccontato così, tra le lacrime, mi avrebbe dato quel suo bacio con lo schiocco e mi avrebbe detto: “Non ti preoccupare, anche da qui, è facile continuare ad amarvi”.

Un grazie ai nostri bambini che ieri sono stati testimoni di memoria, e lo hanno fatto con grande serietà e determinazione. Siamo fieri di voi. #lamemoriadeisemplici

Pubblicato da Vedo Sento Parlo in memoria di Giuseppe Tallarita su Lunedì 21 settembre 2020

#lamemoriadeisemplici

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