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Aprire gli archivi non basta

Davide Mattiello * il . Istituzioni, L'analisi, Mafie

scopellitiCosì sono 30 anni che sappiamo di Gladio, e allora?

Sono passati giusto 30 anni da quando il presidente del Consiglio Giulio Andreotti decise che avrebbe parlato di Gladio e decise di farlo in Commissione Stragi, quella presieduta da Libero Gualtieri.

Pochi ricordano che Andreotti nell’Agosto del ’90 annunciò alla Camera che avrebbe risposto sulla questione “gladio” (anche se non la si chiamò così nell’occasione), a seguito di un Ordine del Giorno presentato da Violante ed altri, che Andreotti (stranamente?) decise di accogliere. La seduta fu quella del 2 Agosto dedicata alla strage di Bologna…

Andreotti ci andò per davvero in Commissione, ad Ottobre e disse qualcosa, ma di quel qualcosa la Commissione fece tesoro, ci lavorò e ne tirò fuori una relazione che ancora oggi merita di essere letta, perché c’è davvero molto di quel che serve per capire ciò che è successo in Italia almeno fino alla “caduta” del Muro di Berlino.

Colpisce trovare tante informazioni chiare e documentate su aspetti tornati alle cronache anche in tempi recenti e in riferimento ai rapporti tra Stato e mafia: penso alla descrizione puntuale dell’acquisto dei terreni a Capo Marrargiu in Sardegna per farne la prima base di addestramento dei gladiatori o all’apertura dei centri di addestramento speciali ancora a metà degli anni ‘80: ad Asti (Pleiadi) a Brescia (Libra) e a Trapani (Scorpione).

A me di quella relazione impressiona la data in cui venne votata e cioè nella seduta del 14/15 Aprile del 1992. Vuol dire che venne votata a Camere sciolte, con il nuovo voto politico che era già avvenuto il 4 aprile del 1992. Vuol dire che venne votata un mese prima della strage di Capaci: niente mi toglie dalla testa che uno dei motivi, non l’unico (!) per cui vennero organizzate le stragi di Capaci e di via D’Amelio fu quello di distrarre l’opinione pubblica ed intavolare una trattativa che andava ben oltre le pretese delle Mafie Unite Italiane (cioè non soltanto Cosa Nostra, come ha da poco dimostrato la sentenza di primo grado del processo denominato “’ndrangheta stragista” celebrato a Reggio Calabria e procurato dal dott. Lombardo).

Oggi sappiamo che dopo l’approvazione di quella relazione si fece di tutto per insabbiarla e che vennero spudoratamente decapitate le inchieste della magistratura penale militare che proprio allora avevano preso avvio.

Una situazione per molti versi simile a quella nella quale affondò l’eredità monumentale di un’altra Commissione parlamentare d’inchiesta, in qualche modo “madre” di quella Gualtieri: la Commissione Anselmi sulla P2 del 1981.

Sono convinto che avrebbe un enorme valore riprendere tutto quel lavoro e chiudere il cerchio, assumendosi la responsabilità morale, politica e storica in una sede Istituzionale come può essere quella della Commissione parlamentare Antimafia, di dare un giudizio preciso su quella stagione, che possiamo considerare conclusa con il “fallito” attentato all’Olimpico di Roma e l’arresto a Milano dei fratelli Graviano. Perché non esiste soltanto il giudizio penale e perché la verità è già una forma di giustizia.

Per questo credo che un buon primo passo sarebbe uscire dalla retorica degli “archivi aperti”: declassificare i documenti top secret affinché studiosi e società civile possano accedervi è un passo doveroso ma non è risolutivo e soprattutto porta cucito addosso un pesante fraintendimento.

Non basta che lo Stato apra la porta del pagliaio e dica: “cercate pure l’ago!”, visto che stiamo parlando di un ago che lo Stato stesso ha contribuito a seppellire. Bisogna che lo Stato si faccia carico della ricerca dell’ago, che è cosa ben diversa.

Lo ribadisco oggi, 9 agosto, anniversario dell’assassinio del giudice Scopelliti, ucciso l’estate successiva a quella delle dichiarazioni di Andreotti, l’estate del 1991, si dice per impedire che un giudice integerrimo rappresentasse la Pubblica Accusa in Cassazione per il Maxi-processo, così come era stato fatto nell’88 ammazzando il giudice Saetta, che avrebbe potuto presiedere l’appello del medesimo processo. E Scopelliti integerrimo lo era senza dubbio.

Dubbi invece restano sulla convenienza di tanto doloroso rumore: ad ottobre il presidente della Corte di Cassazione, Brancaccio, avrebbe assegnato la presidenza sul Maxi ad Arnaldo Valente, prendendo in contro piede l’abile Carnevale e il Maxi si sarebbe concluso con la conferma piena dell’impianto accusatorio proposto in primo grado e istruito dal pool Chinnici-Caponnetto, con Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta. Scrivendo libertatem servo.

* Consulente Commissione Parlamentare Antimafia

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