La sicurezza pubblica e il Ministro dell’Interno “tuttofare”
Il Ministro dell’Interno anziché interessarsi “anima e corpo” al tema della sicurezza pubblica – per nulla tranquillizzante – nel nostro Paese, continua a metter naso anche negli affari di competenza di altri Ministri e dello stesso Presidente del Consiglio, utilizzando impropriamente sedi istituzionali (il recente incontro con le parti sociali al Viminale, sui temi di politica economica), suscitando, così, forti perplessità e legittime doglianze dello stesso Premier che ha parlato, garbatamente, di “scorrettezza istituzionale”.
Sbaglia ancora il Ministro quando asserisce di voler dare soltanto una mano al Governo (senza interpellare nessuno) anche nella sua veste di “vice premier vicario”, funzione che proprio perché “vicario” può esercitare, appunto, quando il “premier” è impedito temporaneamente, per esempio per ragioni di salute, per missioni all’estero ecc.. nell’esercizio delle sue funzioni.
Tutta questa “esuberanza” (e invadenza) contribuisce ad alimentare il disagio nella compagine governativa mentre il Ministro dell’Interno bene farebbe a dedicare più tempo e attenzione all’ambito di sua specifica competenza che è quello della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza.
Ambito che appare, ogni giorno, sempre particolarmente problematico, come si può facilmente rilevare dalle notizie di molti quotidiani locali (razzie nelle abitazioni in molte province, rapine in strada, assalti a portavalori ecc..) e da rapporti istituzionali.
Tra questi ultimi vanno segnalati quelli di questi giorni e cioè la relazione annuale (274 pagine) sul contrasto al narcotraffico della DCSA (Direzione Centrale per i Servizi Antidroga), svolto dalle forze di polizia e dalle dogane nel 2018, ed il “IV Rapporto sulle mafie nel Lazio” (297 pagine), curato dall’Osservatorio Tecnico-Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio.
Resoconti preziosi, analitici, molto curati nel dettaglio che, anche ad una lettura veloce (che auspichiamo possano fare i parlamentari e i responsabili nazionali e locali della sicurezza), offrono un quadro, in parte noto, ma ulteriormente aggravato e sempre drammatico sul traffico/spaccio di stupefacenti e sulla invadenza delle mafie tradizionali e delle altre “piccole” mafie e clan minori nella regione e in particolare nella Capitale.
Una situazione che, se vivessimo in un Paese normale, con un Ministro dell’Interno più presente al Viminale e, soprattutto, più attento alla situazione criminale in continua espansione, richiederebbe l’adozione di adeguate contromisure, sia in termini di risorse umane da impiegare (anche pattugliamenti misti militari-forze di polizia), che di ritocchi al sistema processual-penale e alla legislazione sugli stupefacenti.
Continua, così, la “vocazione romana” dei “siciliani di Cosa nostra” che si alternano “fra una piena autonomia e una continua relazione” con la ‘ndrangheta e la camorra nella Capitale diventata per queste mafie “città aperta” in particolare per “le potenzialità che la capitale può offrire”.
Presenze criminali che a Roma sono una realtà “da decenni”, con personaggi che sono riusciti “a coagulare altri soggetti e hanno dato luogo a vere e proprie strutture criminali stabilizzate” privilegiando il traffico di armi e di stupefacenti.
In quest’ultimo ambito le indagini nella Capitale hanno evidenziato “centinaia di piazze di spaccio operative h24” gestite da vari clan, tra cui quello di Filippone di Melicucco, della famiglia Sgambati nell’area di Montespaccato, dei Casamonica, degli Esposito a Nettuno e San Basilio, dei Gallace ad Anzio, Nettuno e Ardea.
Una presenza di tante organizzazioni criminali, come si sottolinea nel rapporto, resa ancor più complicata per la disomogeneità dei vari soggetti che operano in uno “scenario criminale complesso” dove, accanto a organizzazioni mafiose “operano organizzazioni che non hanno nulla delle caratteristiche mafiose ma sono egualmente pericolose e trovano spazio su questo territorio”.
Insomma, nella Capitale ci sarebbe davvero un gran bisogno di una vasta azione di bonifica criminale che, tuttavia, non si riesce ancora a intravedere.
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