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Ayotzinapa: sei anni di attesa, sei anni di impunità

Anabel Hernández * il . Corruzione, Criminalità, Giustizia, Informazione

AyotzinapaSono una giornalista d’inchiesta in Messico specializzata in casi di corruzione, narcotraffico, abuso di potere e violazioni contro i diritti umani.

In 26 anni di carriera giornalistica ho seguito vari casi e senza dubbio uno dei più dolorosi è stato quello dei 43 studenti della Scuola Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa desaparecidos il 26 settembre 2014 a Iguala, Guerrero.

Un fatto che ha segnato la storia moderna del Messico in maniera decisiva perché vi confluiscono tutti gli aspetti che distruggono il mio paese giorno dopo giorno: impunità, corruzione e complicità tra il governo ed il narcotraffico. Dopo sei anni ancora non si sa dove siano i 43 giovani. Dopo sei anni prevale l’ingiustizia. Dopo sei anni sono ancora liberi i mandanti, gli autori materiali e chi li ha coperti, gran parte erano funzionari pubblici del governo dello Stato di Guerrero e dell’amministrazione dell’allora governo di Enrique Peña Nieto: da militari, uomini della marina, polizia federale e statale fino ad ex ministri e allo stesso ex presidente Peña Nieto.

Da settembre 2014 ad oggi ho indagato sul caso senza sosta. Mentre il governo di Peña Nieto costruiva una versione ufficiale attraverso torture fisiche e sessuali perpetrate in uffici pubblici, ho svolto un’inchiesta sul campo e raccogliendo documentazione. Ho incontrato e intervistato decine di testimoni, anche gli studenti sopravvissuti a quella terribile notte. Le loro testimonianze evidenziavano che i fatti erano avvenuti in modi, tempi e scenari differenti da quello che diceva la versione ufficiale.

La Procura Generale della Repubblica (PGR) indicava che gli studenti erano andati a manifestare contro un evento politico a Iguala e che il sindaco, arrabbiato, aveva ordinato alla polizia municipale di attaccarli e far scomparire 43 di loro, per poi consegnarli ad una piccola banda di narcotrafficanti che operava nella regione, che in teoria li avrebbe portati ad una discarica, massacrati e bruciati fino a ridurre in cenere le ossa e disperdere i resti nel fiume. Secondo questa versione dei fatti, l’esercito messicano, la polizia statale di Guerrero, così come la Polizia Federale e nessuna altra autorità avevano saputo nulla se non dopo varie ore.

I mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali hanno ripetuto la versione ufficiale senza opporsi, anche se già dall’inizio sembrava illogica. La storia dei 43 ha fatto il giro del mondo e ha portato a proteste nelle piazze pubbliche più importanti del mondo. I presunti colpevoli venivano mostrati in conferenze stampe davanti ai media, alcuni visibilmente provati dalle violenze subite, altri neanche in grado di tenersi in piedi. Però nessuno si è fatto domande. Ho cercato di capire il perché. Per un paese che tipo di giustizia è quella che porta degli innocenti a pagare per un crimine che non hanno commesso mentre i veri colpevoli  restano a piede libero?

Ho seguito contemporaneamente il caso dei 43 desaparecidos e quello delle 100 persone e oltre arrestate, la maggior parte delle quali, secondo delle perizie mediche effettuate dalla stessa PGR, con evidenti segni di tortura. Le “confessioni” dei colpevoli non coincidevano su luogo, tempi e modalità  e nessuno ha aiutato per la localizzazione dei giovani desaparecidos, in gran parte provenienti dalle comunità più povere di Guerrero. Paradossalmente molti dei presunti autori del crimine erano poveri quanto le vittime. Sebbene la PGR li avesse catalogati come “i capi” della banda di narcotrafficanti coinvolta, è certo che vivessero quasi tutti in povertà.

Per 15 anni ho indagato sui grandi cartelli della droga messicani, potenti in tutto il mondo, particolarmente sul Cartello di Sinaloa. I presunti assassini dei 43 studenti non corrispondevano al profilo dei veri narcotrafficanti su cui ho fatto indagini e che ho intervistato. Se la versione ufficiale non era vera, perché il governo ha mentito? Che cosa è avvenuto realmente quella notte?

Ho scoperto che gli studenti sono arrivati a Iguala in due autobus di un’impresa privata che avevano preso clandestinamente giorni prima. Il loro obiettivo era di requisire altri autobus che avrebbero utilizzato per recarsi a Città del Messico e partecipare alla protesta che si tiene ogni anno per ricordare gli studenti massacrati dall’esercito messicano il 2 ottobre del 1968, durante il governo di Gustavo Diaz Ordaz. Gli studenti di Ayotzinapa non avrebbero mai pensato che il 26 settembre 2014 quelli massacrati dall’esercito sarebbero stati loro.

In quella notte caotica, un centinaio di studenti hanno requisito altri tre autobus nella stazione centrale di Iguala. Si sono distribuiti casualmente nei cinque veicoli con l’intenzione di imboccare l’autostrada e tornare ad Ayotzinapa, ma sono stati coinvolti in una sparatoria nella quale li attaccavano sia civili armati che poliziotti in uniforme. Il saldo è stato di 3 studenti uccisi e 43 scomparsi.

Non lo sapevano ma, cinque ore prima dell’inizio della sparatoria, le autorità federali e del governo dello stato di Guerrero gli avevano teso una trappola, come dimostrano i documenti riservati del governo che ho ottenuto attraverso la mia indagine, che ho reso pubblici in diversi articoli dal 2014, e poi nel mio libro “La vera notte di Iguala. La storia che il governo ha cercato di nascondere”.

L’obiettivo dell’attacco era recuperare gli stupefacenti che erano nascosti in due degli autobus, quelli con i quali avevano lasciato la scuola nel pomeriggio. Tutti gli studenti che occupavano quei due autobus sono scomparsi, tranne uno che è rimasto ferito ed è stato ricoverato in ospedale. La droga apparteneva a un importante capo del cartello di Beltrán Leyva che per anni era riuscito a corrompere tutti i livelli di governo, l’unico con il potere di ordinare all’esercito e alla polizia federale di attaccare gli studenti.

Il governo di Enrique Peña Nieto ha coperto i responsabili commettendo un crimine di stato, in cui varie istituzioni federali si sono coordinate per torturare e identificare falsi colpevoli, nonché per manipolare le prove. Un’operazione di depistaggio di Stato.

Negli anni successivi, i tribunali del Messico e degli Stati Uniti sono giunti alle mie stesse conclusioni. Nel 2018 molti dei detenuti hanno iniziato a essere rilasciati, non solo perché è stato dimostrato che erano stati torturati, ma perché la PGR (Procura Generale della Repubblica) non era in grado di presentare altre prove che li collegassero al crimine, tranne la loro stessa confessione fatta sotto tortura. Nel 2020, nell’ambito di un procedimento per l’ottenimento dell’asilo politico tenutosi in un tribunale dell’Arizona, il giudice Molly S. Frazer ha emesso una sentenza storica: “La Corte concorda con la conclusione dell’esperto, signora Hernández, che la verità storica ufficiale, creata dal governo del Messico è stata confutata, che numerosi testimoni sono stati torturati dal governo del Messico e che le prove sono state fabbricate o depositate sulla scena del crimine dal governo del Messico per sostenere una falsa verità storica”.

La sentenza emessa dal giudice Frazer afferma inoltre che “(La Corte) contesta che un dipartimento di polizia municipale avrebbe il potere politico e le risorse per pianificare un intricato insabbiamento e la scomparsa dei 43 studenti messicani. È molto più plausibile che il governo federale del Messico e la polizia federale siano stati responsabili di questo orribile incidente”.

Lo scorso 26 settembre, l’attuale presidente della repubblica Andrés Manuel López Obrador ha finalmente annunciato che erano pronti i mandati di arresto nei confronti di membri dell’esercito, della polizia federale e della polizia del Pubblico Ministero, per la loro partecipazione nella scomparsa degli studenti, senza però fornire alcuna spiegazione delle motivazioni di tale atto criminale. Fino ad oggi i mandati di cattura non sono stati eseguiti.

Uno dei principali responsabili di quanto accaduto quella notte e del successivo insabbiamento è un uomo di nome Tomás Zerón, che all’epoca dei fatti era a capo dell’Agenzia per le Indagini Criminali, il quale, fin dal 2014, ho indicato nelle mie indagini come co-responsabile degli eventi. Dal marzo di quest’anno è stato emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti, ma è fuggito e si trova in Israele, un paese che non ha un trattato di estradizione con il Messico.

Mentre questa figura chiave nel caso Ayotzinapa, accusato di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui brutali torture, beneficia di questa protezione internazionale, i genitori dei 43 continuano ad aspettare con il cuore inaridito, gli occhi stanchi di piangere e le braccia aperte in attesa del ritorno a casa dei loro amati figli.

Luigi Ciotti legge la lettera ricevuta durante Contromafie 2014  di un giovane messicano sui fatti dei 43 studenti di Ayotzinapa   – Estratto da “Silencio” (documentario di Attilio Bolzoni e Massimo Cappello)

* Fonte: Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

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Non sono solo i 43 studenti di Ayotzinapa

Verità e Giustizia per Ayotzinapa

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