Sicurezza pubblica: il ruolo delle istituzioni e la prevenzione
La conoscenza di quello che accade nelle singole realtà territoriali e l’indicazione di obiettivi chiari del sistema della sicurezza pubblica dovrebbero servire per elaborare più efficaci strategie anticrimine.
Se veramente si vuole disporre di una ipotesi razionale su quanto succede sul fronte della sicurezza è necessario basarsi non solo sul dato statico, ma anche su quello dinamico, ossia il trend dei reati riferito ad un periodo medio di almeno cinque anni. E’ quanto affermava, alcuni anni fa, il sociologo Maurizio Fiasco, attento studioso delle problematiche sulla criminalità, chiedendosi, tra l’altro quale direzione stesse prendendo il fenomeno dell’insicurezza nel nostro Paese dove “oltre il 50% dei reati(..) non viene affatto denunciato”, particolare dipendente anche “dalla disponibilità sul territorio, nei pressi del cittadino, di un ufficio o di una struttura di polizia cui chiedere aiuto”.
Misurare la criminalità reale è il vero problema e quella di cui abbiamo conoscenza è solo quella “apparente”, ossia quella fetta del fenomeno che le forze di polizia intercettano nelle città. Resta “oscura” la cifra dei reati di cui non si viene a conoscenza e sulla questione criminale ci si può basare soltanto sui dati statistici (statici) che vengono rilevati dalle forze di polizia. Certo che un sistema aggiornato di dati e di informazioni strutturate sulle quali basare un’analisi obiettiva è fondamentale per la polizia di prevenzione.
Sarebbe importante, poi, poter contare su un sistema più flessibile nei servizi di controllo del territorio che, almeno per quelli assicurati dalle Questure, si articolano, di norma, in turni di sei ore, secondo quadranti giornalieri prestabiliti e servizi pianificati settimanalmente, con una serie di “paletti” stringenti fissati da accordi nazionali quadro con le organizzazioni sindacali e da una contrattazione periferica decentrata.
Intendo dire che se in un contesto territoriale si verificano, per esempio, più furti nelle abitazioni nella fascia serale o si registrano assalti ricorrenti ai bancomat (come sta accadendo in questi giorni in diverse città), occorre intensificare la presenza dei servizi in quell’arco temporale. E questo non sempre riesce possibile attuare, perché tale punto deve essere oggetto di informazione preventiva con i sindacati locali che possono chiedere l’esame congiunto e, se non si concorda, incombe sempre il fattore “turbolenza” sindacale che non giova all’ambiente.
Senza contare che, sulle già scarse risorse umane attualmente di molte Questure, incidono, non poco, le tante altre situazioni connesse alle varie pur legittime esenzioni dai servizi come, ad esempio, quelle per motivi di studio, per i turni notturni dopo i cinquanta anni di età, per le cure termali, per cariche elettive, per allattamento (anche maschile) ecc..
I poliziotti operativi, alla fine, almeno nelle città medio piccole, sono davvero insufficienti rispetto alle esigenze reali di prevenzione che si evidenziano ogni giorno e fanno già miracoli, aspettando che i “cantastorie” della politica assicurino quegli arruolamenti straordinari di poliziotti (e carabinieri) che sentiamo ripetere da anni.
Nel frattempo apprendiamo che anche il Ministro dell’Interno si è accorto alcuni giorni fa (question time alla Camera) del dilagare degli stupefacenti nelle città ed in particolare a Roma, diramando una circolare il 28 ottobre scorso a tutti i Prefetti per assumere iniziative “in materia di sicurezza urbana per il contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti”.
Ci auguriamo, però, che ci si renda conto, una volta per tutte, della necessità di modifiche alla legislazione sulle droghe per non vanificare i risultati dei tanti servizi antidroga svolti da poliziotti, carabinieri e finanzieri.
Gli ultimi episodi sconcertanti sono del 2 novembre scorso con un nigeriano, incallito spacciatore di eroina e cocaina, arrestato a Reggio Emilia dagli agenti tre volte in un mese e di un italiano, pluripregiudicato spacciatore, che, ai domiciliari nella sua abitazione a Trapani, continuava la sua redditizia “attività” vendendo hashish (la polizia ne ha sequestrato una decina di chilogrammi oltre a 25mila euro proventi dello spaccio).
Spetta alle Istituzioni la tutela della sicurezza e il controllo del territorio
Mentre il ministro dell’interno Lamorgese, a Napoli, durante il recente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, annunciava “altri 400 agenti nel 2020 tra polizia, carabinieri e guardia di finanza” che consentiranno un ulteriore controllo del territorio (ottimismo ministeriale) continuano a proliferare, in gran parte del paese, comitati e gruppi di quartiere nel tentativo, illusorio, di migliorare le condizioni di sicurezza.
Almeno questo è l’obiettivo che si pongono nel quadro di quella concezione di “sicurezza partecipata” che si è diffusa da qualche anno a questa parte e che è stata pure sollecitata da autorità locali ed alti esponenti istituzionali.
Si sono venute, in tal modo, formando gruppi “para-polizieschi” di decine di migliaia di cittadini volenterosi in diverse zone del Paese che, organizzati in turni di “servizio” e con propri capi squadra referenti e coordinatori, vigilano nel quartiere, nelle strade o semplicemente “sbirciano” dalle finestre, annotando e segnalando persone e veicoli ritenuti sospetti.
Tutte iniziative territoriali con il suggello anche di prefetti, stimolati in questo da una circolare del Ministro dell’Interno del passato Governo, che aveva invitato a quegli “accordi di vicinato” per una sicurezza che vedesse sempre più vicini i cittadini alle forze di polizia.
Non sono mancate iniziative politiche stravaganti come in Veneto, dove alla fine di luglio scorso il Consiglio regionale ha approvato una legge regionale sulle “norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo del vicinato”, provvedimento subito impugnato dal Consiglio dei Ministri in quanto la Regione non è legittimata a legiferare sul tema della sicurezza.
Iniziative strampalate anche a Milano dove pure si parla di un progetto della Regione che prevede l’impiego di pattuglie con ex agenti di polizia e carabinieri in congedo su mezzi di trasporto e aree a rischio.
Illusioni, poi, quelle secondo cui i reati sono in calo grazie al controllo di vicinato (così il prefetto di Vicenza agli inizi di ottobre, pochi giorno dopo il suo insediamento) o che la rete di vicinato abbia determinato un “calo maggiore dei furti in abitazione” (il prefetto di Belluno, sempre ai primi di ottobre scorso).
Nessuno che avanzi qualche dubbio a parlando di un calo dei delitti denunciati che si rileva già da almeno tre anni e attribuibile a minore fiducia dei cittadini.
La sicurezza è un tema secondario rispetto agli altri dell’agenda politica italiana, salvo, poi, diventare il “problema” quando capitano gravi fatti di sangue nelle grandi città o ci s accorge di inquietanti e ripetuti atti intimidatori come sta accadendo nella Capitale, per esempio a Cinecittà, a Centocelle, dove è prevista nei prossimi giorni una nuova “passeggiata per autodifesa” decisa dai cittadini. Una espressione che dovrebbe preoccupare non poco le varie autorità deputate a garantire a tutti sicurezza nella sua accezione più ampia.
Ed invece si ricorre all’autodifesa, vocabolo che richiama inevitabilmente alla memoria il Messico, con tutta la sua violenza in molte zone e la nascita, timida all’inizio, di gruppi di autodifesa sorti in molti villaggi con cittadini, uomini e donne armati, a pattugliare strade e a controllare veicoli e persone sospetti.
Niente a che vedere con la situazione italiana ma vorremmo tanto che oltre alla lotta all’evasione, alle riforme istituzionali, ai beni culturali e al turismo, alla problematiche dell’ambiente e a quelle dell’istruzione, all’abolizione del superticket sanitario, si parlasse, con maggiore concretezza, di cosa fare per migliorare il livello della sicurezza pubblica mettendo di lato, almeno per un po’, il tema dell’immigrazione e dei rimpatri.
Più poliziotti e carabinieri in strada, arruolamenti immediati e straordinari, questo avremmo voluto leggere da qualche parte sulle carte della manovra all’esame del Parlamento.
I problemi della sicurezza non si risolvono certo con i 48 milioni di euro in più per pagare gli straordinari alle forze di polizia né, tantomeno, con le ronde cittadine o le passeggiate di autodifesa.
Trackback dal tuo sito.