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Un’ insicurezza pubblica così diffusa e mai registrata prima

Piero Innocenti il . Giovani, SIcurezza

baby gangDa otto anni, ormai, non presto più servizio attivo nella Polizia di Stato. Posso, quindi, fare qualche considerazione sulla sicurezza pubblica con maggiore distacco “ambientale” ripensando ai quarantaquattro anni trascorsi nella Istituzione dove ho maturato preziose esperienze di servizio in vari settori, come dirigente, dalla Scuola, alla Stradale, alla polizia giudiziaria, all’antidroga nazionale, per concludere la carriera come Questore in tre città.

Quando andai nel 1994, a Bogotà (Colombia) per un periodo di quattro anni come esperto antidroga della DCSA, rimasi stupito vedendo militari dell’esercito che pattugliavano, giorno e notte, alcune zone della capitale e di altre città (Medellin, Cali, Cartagena), con molte abitazioni munite di robuste grate in ferro alle finestre e vigilanti armati di guardia nelle case di chi poteva permettersi il servizio a pagamento. Troppe le rapine e i furti, troppe le aggressioni in strada. Era problematico anche fare delle passeggiate che non fossero nei centri commerciali. In Italia non avevo mai visto una situazione del genere, mi riferisco alla criminalità diffusa e predatoria.

Qualcosa del genere, alcuni anni dopo, si è registrata in diversi Stati messicani dove, innanzi alla violenza e alle scorribande di ladri e spacciatori, in molti villaggi e paesi si sono costituiti “gruppi di autodifesa”, con cittadini armati a presidiare le strade e a fare posti di controllo lungo le via di accesso. “Ronde” che si sono formate anche per l’inerzia, in alcuni casi la complicità, delle polizie municipali a fronteggiare la delinquenza.

In Italia, non siamo (ancora) a quei livelli di delinquenza e di violenza diffuse e,tuttavia, ci sono troppi episodi di criminalità giornaliera in molte città che debbono indurre la classe politica dirigente, le autorità nazionale e provinciali di pubblica sicurezza alla adozione di adeguate contromisure.

Quando si parla di queste cose, di solito, si fanno riunioni con i vertici delle forze di polizia nelle singole province e si esaminano i dati sulla delittuosità che risultano negli archivi informatici. Quasi sempre i comunicati ufficiali tendono ad essere “tranquillizzanti” e se non ci sono elementi sufficienti si fa di tutto per rassicurare con le solite dichiarazioni che si “potenzieranno i  servizi” o “che aumenterà la sinergia tra i vari corpi per un livello di sicurezza maggiore”. Difficile, però, potenziare se si hanno poche risorse umane a disposizione.

Così, negli ultimi anni, anche da noi si è tentata la strada di coinvolgere di più nel controllo del territorio ed in altre attività di pubblica sicurezza, le polizie municipali (che non hanno la specifica preparazione per tali funzioni) o sollecitando “accordi di vicinato” tra i cittadini (dopo che si andavano autonomamente organizzando in diverse città come “sentinelle di quartiere”) con il beneplacito, in alcuni casi, di sindaci e prefetti (fino ad arrivare, al riconoscimento di tali “accordi” del Ministro dell’Interno, auspicati nel contesto di una “casereccia” strategia antidroga).

In realtà, come ripeto da un po’, i delitti sono diminuiti perché la gente non va più sempre a denunciarli, come in passato. Quello, poi, che più sconcerta sono le modalità (e gli autori) con cui molti fatti criminosi vengono compiuti.

Si pensi, ad esempio, solo per citarne alcuni di questi ultimissimi giorni, ai due ragazzini che, a Bergamo, rapinano in pieno centro un ventunenne o, per restare nell’ambito dei giovani, ai due minorenni picchiati a sangue,a Rimini, da un gruppo di una decina di ragazzini. Ed ancora ad una baby gang che, ad Imola, devasta le fermate degli autobus e a Roma dove, sempre un gruppo di giovanissimi, rimproverati giustamente dal conducente di un bus per il disturbo che arrecavano ai passeggeri, lo hanno aggredito rompendogli il naso e danneggiando a calci la carrozzeria del veicolo. Per arrivare all’incredibile episodio di una novantenne stuprata, a Messina, da minorenni amici del nipote.

E così ancora, con il decimo assalto in un bar tabacchi a Modena, con il record di furti subiti (36 in otto anni) di un barista a Firenze, con un ottantenne rapinato da un ultrasessantenne a Prato, con diversi omicidi in strada a Scampia e nei Quartieri Spagnoli (Napoli), a San Pio (Bari). Senza contare le centinaia di furti e truffe nelle case in molte città degli ultimi tre giorni.

La sicurezza dei cittadini è la priorità per il nostro Paese. Continuare a sottovalutarla costerà caro alla politica e, purtroppo, a molti cittadini.

La violenza di gruppo dei  giovani

Sono molti e anche allarmanti gli episodi di violenza che si sono registrati in diverse città e che vedono protagonisti giovani e giovanissimi.

Per non parlare di rapine a ripetizione compiute da giovani in diverse zone di Napoli che hanno indotto molte mamme di minori vittime di atti predatori ad organizzare una manifestazione di protesta in piazza.

Già nei mesi passati brutti segnali si erano avuti con una banda di giovanissimi romani, arrestati dalla Polizia, ai quali erano stati attribuiti una quarantina di rapine da Acilia all’Eur mentre un’altra baby gang, a Milano, aggrediva le vittime per rapinare smartphone o  per bottini di scarsa consistenza.

Le cronache degli anni passati ci avevano fatto conoscere fatti di violenza, anche gravissimi, da parte di bande (maras, pandillas) di giovani sudamericani ed è davvero triste rilevare come ci sia il pericolo che si possano diffondere nelle nostre periferie, tra i nostri giovani, questi modelli di sopraffazione.

Se, tuttavia, le bande di strada sudamericane rappresentano un fenomeno che non riguarda soltanto gli ambiti della criminalità e della devianza giovanile ma anche quello dell’integrazione dei migranti e delle seconde generazioni, l’adesione ad un gruppo di strada di giovanissimi italiani sembra più collegato alla carenza di modelli di riferimento buoni, al vuoto di valori, ad una povertà culturale che sta causando un profondo malessere soprattutto per chi vive nelle periferie dove, in generale, è ben nota la mancanza di strutture e servizi di base.

In alcuni casi l’adesione di un giovane ad un gruppo di strada può rappresentare una via di fuga da situazioni familiari complicate, da carenze affettive, dalla mancanza di opportunità educative e lavorative, da una bassa autostima. Nel gruppo i giovani trovano le risorse per compensare le carenze affettive che sono mancate dalla famiglia, dalla scuola. Nel gruppo si condividono esperienze e si può contare sull’appoggio degli amici, si è compresi, ci si sente protetti.

C’è un gran bisogno, allora, di un serio investimento culturale che possa contribuire a recuperare la centralità di idee e valori in una società diventata tutta periferica e dove è forte la tentazione di avere più visibilità con la violenza, contrapponendosi agli altri. Diventa, allora, fondamentale, fornire buoni esempi ai giovani, prestare ascolto, suggerire percorsi per evitare i pericoli di assorbimento in modelli culturali violenti. Ed è grande la responsabilità che si devono assumere le istituzioni, la società, la scuola, le famiglie, la Chiesa. E sono altrettanti gravi i ritardi e le sottovalutazioni di tutti che si annotano sul tema.

Questi episodi di violenza perpetrata dai giovani potrebbero essere anche la manifestazione di problemi strutturali più profondi raggruppabili in quei tre gruppi di fattori (individuali, domestici/familiari, comunitari e sociali) definiti dalla Banca Mondiale una decina di anni fa.

Potrebbe, tuttavia, trattarsi anche di una enfatizzazione dei media sul tema baby/gang in cui far confluire tutti i fatti di cronaca legata ai giovani determinando, così, la crescita della importanza della notizia nella gerarchia dell’informazione.

Si vedrà nei prossimi mesi se ci troviamo innanzi ad un fenomeno criminale sovradimensionato e, quindi, ad una sua rappresentazione errata.

L’unitarietà del sistema sicurezza in Italia

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