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Trapani, ventitre anni dopo

Di Rino Giacalone il . Dai territori, Interviste e persone, Sicilia

0001pt; line-height: normal;”> A Trapani non era più
tornato perché, racconta, credeva che nulla potesse cancellare lo «sgomento»
che continuamente dice di avere avuto sempre negli occhi. E invece?
«Ho
scoperto che esiste una voglia di riscatto, i miei occhi possonovedere altro». È tornato a Trapani
dopo 23 anni Carlo Palermo, avvocato, ex magistrato a Trento e a Trapani, il 2
aprile 1985 era la vittima che i mafiosi volevano uccidere con un’autobomba
piazzata a Pizzolungo. L’esplosione dilaniò invece una donna e i suoi
figlioletti, Barbara Rizzo,34 anni, Giuseppe e Salvatore di sei, la loro auto
si frappose al momento della deflagrazione tra quella imbottita di tritolo e la
blindata Fiat 132 sulla quale c’era il pm Carlo Palermo da 40 giorni aTrapani.
Con Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime, Carlo Palermo ha preso
parte alla cerimonia di ricordo voluta dall’amministrazionedi Erice che in quel
luogo vuole adesso fare un «parco della memoria».

«È la prima volta che
sono tornato –dice l’ex pm – e dico la verità è stata una grossa emozione e una
grossa sorpresa in quanto non ritenevo vi fosse ancora una sensibilità così
grossa da parte dei trapanesi. Quando io arrivai a Trapani ero uno sconosciuto
e così trattato. Oggi non trovo più diffidenza e non sono più un estraneo».

Ventitré anni dopo
restano le domande sul perché. Arriveranno le risposte?


«La speranza – dice
Palermo – è che queste domande trovino delle risposte. Voglio pensare che non è
un caso che abbia avuto la fortuna di sopravvivere, conseguentemente c’è la
utilizzazione di questo tempo per continuare a cercare. Mi è stata data questa
fortuna e intendo sfruttarla sino a quando ne avrò la possibilità».

Sullo sfondo
dell’attentato restano le ombre dei cosiddetti «poteri occulti», assieme ai
legami tra le mafie, italiane e turche, i traffici di armi e droga, la gestione
delle «casseforti» del riciclaggio, dei denari di Cosa Nostra e di una serie di
investimenti illeciti. Le sentenze di condanna sono vaghe sulle motivazioni ma
ugualmente i giudici sono riusciti ad infliggere l’ergastolo a Totò Riina, al
capo mafia di Trapani Vincenzo Virga, ai loro gregari Balduccio Di Maggio e
Nino Madonia, una condanna per ricettazione per il castellamarese Gino Calabrò,
dalla sua officina passò una delle auto usate per la strage, lui poi si è
dimostrato esperto di esplosivi e di strategie terroristiche, è a scontare
l’ergastolo anche per gli attentati del 1993.

Tornato a Trapani
Carlo Palermo è stato un paio di ore in Procura, nel suo ex ufficio,
incontrando chi, come il pm Andrea Tarondo, ha idealmente ereditato i fascicoli
anche delle sue indagini. Le ombre di un tempo grazie ad una serie di indagini
hanno preso le forme di uomini che a Trapani sono stati condannati per essere
chi capimafia, altri complici dei mafiosi, o ancora riciclatori, imprenditori e
pubblici funzionari, e politici, corrotti e collusi.

«Mi rendo conto –
svela CarloPalermo – che quel periodo storico di Trapani degli anni ’80 non è
rimasto accantonato, dimenticato e trascurato».

La verità su quel 2
aprile 1985 potrà mai essere«afferrata»?


«Oggi c’è il sole che ci incoraggia – dice
Margherita Asta – forse è il segnale che mandano i miei, contenti di essere
stati così ricordati e ricordati qui con Carlo Palermo. C’è in corso una
rinascita ed una voglia di riscatto che vengono fuori da questa terra e da chi
questa terra aveva deciso di non venire più a trovare. Oggi è un giorno di
primavera, di primavera per l’impegno che rinascerà».

«Un impegno –
aggiunge don LuigiCiotti, presidente di Libera – che invito a raccogliere come
se fosse un fiore». Non a caso le celebrazioni per il 23° anniversario della
strage organizzate dal Comune di Erice portano il nome di in fiore, «non ti
scordar di me». «È bello dover
constatare – osserva Carlo Palermo – che quello che sta accadendo sta
succedendo per l’impegno che ci ha messo in questi anni Margherita Asta, lei
per prima ha sollecitato la rilettura di quel periodo, oggi, finalmente, una
parte della popolazione sta assumendo la consapevolezza che l’attentato di
Pizzolungo appartiene alla storia di Trapani, e della Sicilia».

Già, l’attentato.
Raccontiamo quelle settimane a Trapani.


«Nell’85 scelsi di
venire a Trapani per proseguire un’attività avviata 5 anni prima a Trento.
L’attentato ritengo sia da inquadrare in un progetto preventivo». Palermo ha poi
ricordato: «Nonostante la chiedessi in continuazione, non vi era alcuna
vigilanza sulla mia abitazione (una villetta al Villaggio Solare, in territorio
di Valderice), nè fu mai eseguita un’attività di bonifica lungo il percorso che
facevo ogni mattina». Per l’ex magistrato, «l’assenza di un controllo
preventivo ha concorso nell’attentato».Ventitrè anni dopo
riaffiorano nella memoria di Palermo «l’isolamento, sia da parte delle
istituzioni che della popolazione che mi pesò veramente molto. Oggi la
situazione è cambiata, margherita asta ne ha molti meriti».Parlando delle
indagini, Carlo Palermo, ha rimarcato la «contraddizione» legata al fatto che
il processo a carico dei presunti esecutori materiali, «svoltosi a poca
distanza dai fatti, sfociò nelle assoluzioni» e che «la condanna dei presunti
mandanti avvenne molti anni dopo e solo per le dichiarazioni rese da
collaboratori di giustizia, questi ultimi neppure ascoltati organicamente».


Ed oggi, qual’è la
sua visione?


«Pensare – risponde
Palermo – che la mafia si sconfigga con l’arresto di qualche referente locale
di Cosa nostra significa avere una visione parziale del fenomeno. Ancor’oggi
combattiamo contro le ombre del passato: chi ha fornito l’esplosivo per gli
attentati a Chinnici, Falcone e Borsellino? Chi ha fornito e l’esplosivo utilizzato a Pizzolungo? L’ex
magistrato ricorda che «in tutti i delitti eccellenti c’è sempre l’agenda che
scompare, come in via D’Amelio, o la cassetta che non si trova più, come nel
delitto Rostagno, avvenuto a Trapani».
Ricordando i tanti
»misteri« di Trapani, »come la foto di Aldo Moro trovata nel centro Scontrino –
dove è stata scoperta negli anni Ottanta la loggia massonica ‘Isidè -, l’ex pm
ha detto che «a Trapani lavoro per i magistrati ce n’è». E lui a questo lavoro
vuole contribuire.

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