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Nell’ingranaggio dell’informazione

Di Norma Ferrara il . Dai territori, Interviste e persone, Sicilia

Difficili da sfogliare, bianche e pesanti. Sono le pagine che raccontano un anno che in Sicilia ha sfiorato il minimo storico della libertà d’informazione. Le stesse nelle quali mancano i fatti che collegano, contestualizzano e raccontano; mentre si spendono fiumi d’inchiostro per le notizie che non danno fastidio le altre, quelle scomode, rimangono spesso nell’ingranaggio deviato dell’informazione. Pagine vuote di un giornalismo che trova nei libri lo spazio per restituire un senso ai lettori. Il prezzo da pagare però rimane alto perché, oggi più che mai, la mafia del post Provenzano e dei Lo Piccolo, braccata e svelata da magistratura, pentiti, pizzini e giornali, vuol mettere un freno a chi tenta di denunciarne il cuore economico affaristico e le connivenze politiche. Dal clima di tensione permanente in cui vive l’informazione palermitana al blitz delle forze dell’ordine nella redazione di Repubblica, sino alla mancata pubblicazione del pentimento di un uomo del clan Lo Piccolo da parte del direttivo del Giornale di Sicilia; il quadro della situazione con Enrico Bellavia, segretario regionale Assostampa Sicilia e capocronista de La Repubblica – Palermo:

E’ il 27 dicembre del 2007 e la testata di Repubblica Palermo decide di rendere noti i nomi dei commercianti “registrati” nel libro mastro dei Lo Piccolo, perché e cosa accade dopo?

La linea del giornale è chiara: noi non consideriamo il commerciante una vittima ma una persona che accetta il ricatto. E’ una linea discutibile ma è la nostra, ed è questa che ha portato alla decisione di pubblicare i nomi di questi commercianti, più volte invitati a denunciare. Il giorno seguente la Procura ha disposto la perquisizione della nostra sede, in particolare delle scrivanie dei colleghi Francesco Viviano e Alessandra Ziniti e del caporedattore D’Antona. Ha prelevato per 5 giorni 3 computer (i cui hard disk sono stati copiati) in una redazione di soli 13 collaboratori. Questo ha reso ardua la pubblicazione nei giorni seguenti.

Di cosa sono accusati i colleghi e cos’ è accaduto durante questa perquisizione?

Il procedimento a carico è di rivelazione di segreti d’ufficio. Insolita però, la scelta di prelevare anche il Pc del nostro caporedattore che non era presente durante la perquisizione e non lo era stato nei giorni della pubblicazione; un fatto unico nella storia dei numerosi blitz nelle redazioni di Repubblica. Equivale a dire al caporedattore: «stai attento a cosa supervisioni…e alle fonti». Considerate le difficoltà nel trovare i responsabili delle fughe di notizie dal Palazzo di giustizia è di gran lunga più semplice colpire e mettere alle strette il giornalista e il rapporto con le sue fonti. Segreto professionale che è invece a garanzia del giornalista.

E’ un fatto che pesa come un macigno in un anno già difficile durante il quale in molti hanno lavorato con il fiato sul collo…

Si, durante questo 2007 ci sono stati dei fatti gravissimi, c’è un percorso che parte dalle prime minacce al collega Lirio Abbate, cronista dell’Ansa e autore de “I complici” sino ad arrivare agli ultimi gravi fatti di fine anno. Tra questi le intimidazioni a carico del giornalista del Sole 24 ore, Antonino Amadore, al termine della presentazione del suo libro «La zona grigia». Ci sono libri che disturbano con le loro verità e questo è un buon risultato del giornalismo, ma se questo accade oggi solo nei libri è anche sinonimo del fatto che ci sono cronache che non fanno più paura.

La sottile linea della libertà d’informazione si spezza di nuovo negli stessi giorni dei fatti di Repubblica e questa volta nella redazione del Giornale di Sicilia, cos’è accaduto?

Un giornalista è in possesso in anteprima della notizia del pentimento di Antonino Nuccio, esattore clan Lo Piccolo. Il quadro dirigente del giornale chiede una conferma ulteriore della notizia, impossibile da ottenere, dunque ne impedisce la pubblicazione. Il Cdr insorge, poiché si tratta della seconda volta in pochi mesi, la notizia verrà pubblicata in seguito e si scopre che le condizioni per la pubblicazione (la messa in sicurezza dei familiari di Nuccio, ndr) c’erano; si proclama uno sciopero generale. L’adesione è quasi totale, arriva al cento per cento fra i precari, ma il giornale esce comunque grazie al lavoro del solito nucleo di giornalisti al “servizio del direttore”. Il risultato è un giornale colmo d’inserti pubblicitari, con pezzi non firmati dimostrando in un colpo solo come il quotidiano possa anche fare a meno di un’intera redazione.

Da tempo i giornalisti del quotidiano storico di Palermo non riescono a fare uno sciopero poiché il giornale va in stampa ugualmente con il lavoro di un ristretto nucleo di colleghi, come intende procedere Assostampa?

C’è un quadro dirigenziale che ritiene di non dover aderire agli scioperi e lo farà sempre. Abbiamo già provveduto a estrometterli dal sindacato. Oggi il Giornale di Sicilia ha un ottimo corpo redazionale, attivo e impegnato. Con loro si procederà allo sciopero delle firme.

Come si continua a fare informazione sulla mafia in un contesto in cui le autorità mettono in discussione alcune prassi del vostro lavoro e i mafiosi alzano il tiro per impedire che questo venga svolto?

Si continua. Certo, una situazione così, che quasi chiede il vaglio alle istituzioni prima di pubblicare, non si era vista nemmeno negli anni delle stragi. Facciamo questo lavoro da tempo, sappiamo dove siamo, sappiamo che ci sono tutta una serie di circostanze necessarie da valutare prima di pubblicare e le abbiamo sempre rispettate. Questi ultimi episodi accaduti segnano un precedente duro e dissonante rispetto al clima d’impegno civile che si respira nuovamente in città. I giornalisti sono tornati nel mirino di una mafia messa alle strette e fatti come questi indeboliscono, lasciano soli, circondando di tensione ulteriore. Sappiamo che ci sono anche cronache vendute, addomesticate, disoneste ma ci sono ogni giorno cronache coraggiose e che arrivano dentro i fatti. A queste non intendiamo rinunciare.

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