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Ilva, le condanne sono una vittoria dei cittadini che hanno lottato. Ma non c’è nulla di cui gioire

Valentina Petrini il . Ambiente, Economia, Giustizia, Puglia, Salute

“Non c’è nulla da gioire, c’è solo da piangere”.

Amedeo Zaccaria è il papà di Francesco, il giovane gruista morto a 29 anni il 28 novembre 2012 nell’ex Ilva. Tre mesi prima dell’incidente, la perizie chimica ed epidemiologica ordinata dal gip, Patrizia Todisco, aveva delineato le prove a carico del “disastro ambientale” e certificato un eccesso di mortalità causato dall’inquinamento. Aveva anche disposto il sequestro degli impianti dell’area a caldo, senza facoltà d’uso. Ma sappiamo com’è andata a finire, la fabbrica fu riaperta per decreto. Da allora non c’è governo, tra quelli che si sono passati il testimone che non abbia aggiunto una pagina di vergogna in questa enorme tragedia. Lasciando il disastro li dov’è ancora.

Dissero che Francesco era morto per colpa del vento, ma la Corte d’Assise dopo nove anni ha deciso che non è andata così. Ha condannato gli imputati. La Procura aveva motivato le sue richieste di condanna parlando di: “Omessa valutazione dei rischi…dotazione di apparecchiature di sollevamento inefficienti e inidonee ai lavori da svolgersi… la predetta gru versava in pessimo stato di conservazione e presentava una differente conformazione del respingente di fine-corsa rispetto al progetto esistente… mancato utilizzo del fermo anti-uragano previsto sulla cabina della gru DM5… omissione dell’attività di formazione, informazione e addestramento dei lavoratori”. Leggeremo le motivazioni della Corte quando saranno disponibili.

Ma quella gru su cui è morto Francesco e poi nel 2019 è morto anche Cosimo Massaro, è il simbolo del decadimento di questa trincea produttiva che porta il nome di globalizzazione. E’ una gru maledetta.

Non gioisce Amedeo, non festeggia mentre ascolta l’elenco delle condanne inflitte. “Mi rimarrà per sempre il desiderio di sapere chi ha dato l’ordine di modificare i finecorsa, chi ha ordinato che quelle gru avessero comunque la certificazione di validità, chi ha deciso dall’alto che la fabbrica doveva essere riaperta e continuare a produrre, nonostante l’ordine di sequestro emesso dal giudice Todisco”.

Insomma fanno quasi più rumore gli assenti tra gli indagati e rinviati a giudizio che i condannati stessi.

Chi come me segue la storia dell’ex llva dal 2005 ad oggi non è rimasto sorpreso nel sentire il verdetto di severe condanne della Corte d’Assise per i 47 imputati. E’ una grande vittoria della cittadinanza attiva che ha reso possibile tutto questo con le sue lotte e le sue denunce. E’ una prima sentenza, tutti sono innocenti fino all’ultimo grado di giudizio, ma il disastro ambientale non è una pagina che si scrive solo nelle aule di Tribunale. Ci sono le ricerche scientifiche, gli studi medici, quelli fatti sulla popolazione. C’è una verità storica con cui Taranto ha già fatto i conti.

E allora la giustizia non conta niente, direte? No, certo che no. Ho visto volti storici della battaglia tarantina, mamme e papà orfani dei propri figli, piangere. Ma quello che manca più di tutto ed è un’assenza che fa un rumore assordante, è lo Stato. Lo stesso che dal 2012 ad oggi non si è reso protagonista di alcuna rivoluzione in questa terra d’Italia nel tacco dello stivale.

E allora, ha ragione Amedeo, non c’è nulla da gioire. C’è solo da piangere. Perché quella su Taranto è una verità troppo dolorosa e pesante perché possa essere portata sulle spalle da sola da una cittadinanza.

Caro Stato, se ci sei, batti un colpo.

Fatti sentire.

Il Fatto Quotidiano, il blog di Valentina Petrini

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