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La vicenda Cucchi e quella “linea dell’Arma” da chiarire

Piero Innocenti il . L'analisi, SIcurezza

La confessione del vicebrigadiere dei carabinieri, Tedesco Francesco, che, al processo Cucchi, ha raccontato, a distanza di dieci anni, degli schiaffi e calci in faccia dati al giovane dai militari in caserma, ha indicato anche quella che sarebbe stata la “linea dell’Arma” che il sottufficiale doveva seguire per evitare problemi e, soprattutto, se voleva continuare a fare il carabiniere.

Ora, è proprio su questo punto che, oltre alle responsabilità penali personali che saranno accertate dai magistrati, sarebbe necessario, doveroso, svolgere gli opportuni approfondimenti (francamente non saprei a chi affidarli) per appurare se in una istituzione militare, solida e affidabile come è sempre stata l’Arma dei Carabinieri (nonostante alcuni episodi isolati, anche gravi, verificatisi nel tempo) sia stata tracciata, negli anni, una “linea”, informale s’intende, da alcuni vertici gerarchici per “tutelare” i militari dipendenti sempre, anche quando si commettono abusi o, peggio ancora, delitti nello svolgimento del servizio, contribuendo, in tal modo, a serrare i ranghi di una forza armata che ha fatto sempre del suo motto “nei secoli fedele” il suo criterio di riferimento istituzionale.

Una “linea”, ovviamente, sussurrata, magari a quattrocchi in occasioni di riunioni post servizio, quando qualcosa non era andata nel verso giusto, anche per contrastare comportamenti illegali, e ci potevano essere “problemi” sollevati da qualche tenace cittadino che pretendeva il rispetto dei suoi diritti.

02-caso-cucchi-francesco-tedesco-ansaE’ una dichiarazione tremenda quella fatta dal vicebrigadiere al quale sarebbe stato dato questo “suggerimento” che lo ha costretto a tenere un enorme peso sulla coscienza per tanti anni, fino alla confessione, alla fine, davanti ai giudici, ai quali ha anche ricordato la scomparsa di una sua relazione in cui, sin dall’inizio di questa tragica storia, avrebbe scritto del pestaggio.

Una “linea” che, in qualche modo, traspare anche dai vari balbettii e “non ricordo” dei vari ufficiali dell’Arma, anche di grado elevato, che sono stati sentiti dai giudici e che sono indagati per altri reati che sarebbero stati commessi.

Questa tendenza, in generale, a solidarizzare tra operatori, ai vari livelli, delle forze di polizia che lavorano quotidianamente fianco a fianco, spesso in condizioni pericolose e di forte disagio, è comprensibile, ma non giustificabile in alcun modo quando si commettono abusi o, addirittura, reati.

Non ci può essere “copertura”, di nessun tipo, né gerarchica né politica quando chi indossa l’uniforme e rappresenta lo Stato nelle sua espressioni più importanti, commette violenze venendo meno al suo giuramento e a quell’esercizio del ruolo “con onore e disciplina” che la Costituzione pretende da chi esercita funzioni pubbliche.

Una giusta, severa condanna, dunque, nei confronti dei carabinieri una volta accertate, definitivamente, le loro responsabilità.

Altrettanto rigore sarebbe importante profonderlo nel verificare se nell’Arma si è venuta delineando (e magari persiste), quella “linea” che suggerisce silenzio e omertà per coprire eventuali comportamenti violenti o “poco ortodossi”.

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