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Lecce, pesante intimidazione ai danni della gip Maria Francesca Mariano

Fabiana Pacella il . Giustizia, Mafie, Puglia

L’intimidazione ha i contorni dello stile mafioso. Non c’è che dire.

La testa mozzata di un animale, in questo caso un agnello, vuol dire in soldoni “farai la stessa fine di questo animale”.

Il caso in questione porta a Lecce, alla abitazione della giudice per le indagini preliminari Francesca Mariano, non nuova a segnali chiari e plateali da parte di qualcuno che non ha ancora volto e nome.

La stessa persona (o persone) che tenta di intimidirla da settembre, tanto da rendere necessaria una protezione. Di livello sempre maggiore e direttamente proporzionale al numero e alla gravità delle minacce subite.

Da ultima, la macabra ambasciata all’alba di venerdì.

Qualcuno ha posizionato sulla scala dell’abitazione della giudice quella testa sanguinante, vicino ad essa un coltello e un biglietto con su scritto “Così”.

Ad accorgersene è stata proprio Mariano, richiamata sull’uscio dai miagolii insoliti e insistenti dei suoi gatti.

Da lì la chiamata alla polizia, l’arrivo degli agenti della mobile e della Digos, le tracce da repertare, le telecamere della zona da vivisezionare e tutto ciò che si conviene ad una indagine delicata, che si allarga e si arricchisce di nuove inquietanti puntate.

Ad horas è stato convocato anche il comitato per l’ordine e la sicurezza in seduta straordinaria in prefettura e si è predisposto un innalzamento delle misure di protezione a tutela della giudice, partite nei mesi scorsi come più blande e saltuarie.

I primi episodi attenzionati dalle forze dell’ordine risalgono a settembre. Poco più di un mese dopo il blitz che a luglio aveva prodotto 22 ordinanze di custodia cautelare proprio a forma di Francesca Mariano. L’inchiesta madre denominata “The Wolf” aveva smantellato il clan Scu “LaMendola-Cantanna” attivo nel brindisino.

Minacce di morte che dalle prime battute non sembrarono arrivate da un casuale mitomane. A novembre Poi una lettera inquietante in cui si parlava di morte e riti satanici, anche questa recapitata alla giudice Mariano.

 È pur vero che dopo l’accaduto i vertici del clan presero ufficialmente le distanze dal gesto, dichiarando apertamente di avere rispetto dei ruoli di ognuno.

Indagini e dubbi, di pari passo. E una lunga serie di interrogativi puoi dare risposte certe nel più breve tempo possibile.

Non solo.

Nelle mire di mani ignote era finita anche la sostituta procuratrice della direzione distrettuale antimafia di Lecce Carmen Ruggiero, titolare dell’inchiesta sul clan e tirata in ballo in quella stessa lettera delirante (biscotti per altro della presenza di un coltello artigianale creato da un indagato che lo aveva portato con sé nel corso di un interrogatorio).

Due donne dello Stato sotto protezione dunque, ma intenzionate ad andare avanti senza tema alcuna. E un fascicolo, stavolta sui tavoli della procura di Potenza, relativo alle intimidazioni di cui sopra.

L’ultima vicenda getta nuove inquietudini su un quadro già abbastanza pesante.

È la stessa mano ad aver agito in tutti gli episodi? C’è forse qualcuno che abbia cavalcato l’onda dei precedenti accadimenti per inserirsi a ruota?

E se Gianluca e Cosimo Lamendola hanno dichiarato apertamente di non avere nulla ha che fare con le intenzioni denunciate, può qualcun altro del clan o al clan vicino aver agito senza il loro consenso o qualcuno bluffa?

Non è da escludere nemmeno che qualcuno voglia creare scosse telluriche in vista di nuove dichiarazioni degli ultimi collaboratori di giustizia.

Sono solo alcune delle tante domande su cui sono al lavoro le autorità.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno, Edizione Lecce 

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