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Quattro notifiche in un giorno a Marilù Mastrogiovanni. Così le azioni legali logorano i giornalisti

Graziella Di Mambro il . Giustizia, Informazione, Puglia, Società

Quanto è difficile fare inchieste su temi scottanti al sud lo dice un numero: quattro. Tante sono le notifiche arrivate in un solo giorno a Marilù Mastrogiovanni, direttrice della testata indipendente “Il tacco d’Italia”, da anni bersaglio di azioni legali infondate messe in campo con il semplice obiettivo di bloccare la sua attività.

Quanto sia dura firmare quelle notifiche ogni volta lo racconta lei stessa nel post fatto subito dopo aver ricevuto quella che si può adeguatamente definire l’ennesima minaccia: “Provate voi, a vedervi notificare, da un ufficiale giudiziario, quattro fascicoli contemporaneamente e a non farvi venire un infarto. Provate voi, a scrivere con coscienza tutta la verità che avete guardato con i vostri occhi, verificato, documentato, e a vedervi trascinare in tribunale da gaglioffi che vanno a braccetto coi mafiosi e dunque lo sono anche loro. Provate voi, a tenere la barra dritta: sul mestiere, sul ruolo del giornalista, sull’articolo 21, sul diritto dei cittadini di essere informati e bla e bla. Provate voi, a fare un giornale indipendente e una cooperativa di giornalisti senza padroni, e su e giù. Sarete odiati, denigrati, querelati (il minimo), infangati. Il venticello della calunnia precederà i vostri passi. Sarete soli. Sarete semplicemente antipatici. Non per quello che dite, non per quello che fate, ma perché lo dite, perché lo fate. Perché continuate a crederci, perché continuate ad esserci. La soluzione sarà sempre quella: rimuovervi. E quando si renderanno conto che non solo riuscirete a fare, e riuscirete soprattutto a dare, tanto, a quel sogno di libertà per cui tutto è iniziato, ma che lo fai mentre cercano di imbavagliarti e gambizzarti, allora vi odieranno per davvero. Non vi perdoneranno la vostra inguaribile fiducia nella verità delle parole e nel potere di cambiamento attraverso le parole. Non ti perdoneranno mai che non ti pieghi e non ti arrendi. E che continuerai a sorridere e ad amare incondizionatamente questo mestiere e il genere umano”.

L’amarezza, il senso, perlomeno iniziale, di solitudine e sconfitta è ciò che ha provato Marilù Mastrogiovanni alcune ore fa, all’arrivo dell’ufficiale giudiziario. Ed è la medesima sensazione che centinaia di cronisti provano sulla loro pelle: sanno di aver scritto la verità, di aver effettuato tutte le verifiche del caso, di aver rispettato le regole deontologiche e quelle ordinamentali ma sanno altresì che non è stato sufficiente.

Perché il giornalista deve attenersi alla verità storica e all’interesse pubblico della notizia, insomma non può e non deve mentire. Invece l’autore della querela o dell’azione civile di risarcimento può mentire eccome. E oltre il 90% degli autori di quelle azioni è esattamente questo che fa: mente sapendo di mentire, dice di essere stato diffamato pur sapendo che non è vero. Può farlo poiché non rischia nulla.

“Ho tre imputazioni coatte, – dice la giornalista – nonostante tre richieste di archiviazione di tre diversi pm. Dovrò anche dimostrare di avere e aver avuto la protezione (sic!) e il consigliere ‘contiguo e assonante’ (parole dell’informativa dei Carabinieri, che ho citato nella mia inchiesta sequestrata dal Tribunale di Lecce) al clan Montedoro, ha fatto appello alla mia assoluzione, dove il giudice nelle motivazioni scrive che sono parole dell’informativa, che la mia inchiesta investigativa dice il vero e che lui mi ha minacciata. Ma lui è stato assolto: mi ha minacciata, lo scrive il giudice. Ha scritto su Fb ‘troia, puttana, dimmi dove sei che sto venendo, la puttana di tua madre’. Ma è stato assolto”.

“La vicenda di Marilù Mastrogiovanni ci conferma due cose. La prima: siamo di fronte alla rappresentazione plastica di cosa siano le querele bavaglio e dunque è ineludibile l’approvazione di una legge che le contrasti. – ha detto Giuseppe Giulietti, Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, nella nota di solidarietà alla Mastrogiovanni – La seconda: i giornalisti sono stanchi di avere pacche sulle spalle e messaggi di vicinanza, mentre non si fa nulla per proteggerli davvero da queste azioni terribili. Ce lo ha detto Sigfrido Ranucci, finito sotto scorta per le minacce della criminalità organizzata. Ci ha detto che il vero pericolo in questo Paese sono le azioni temerarie che vogliono silenziare croniste e cronisti che raccontano la verità. Facciamo in fretta, approviamo quella legge ed evitiamo le frasi di pura circostanza sulla libertà di stampa”.

Fonte: Articolo 21

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