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“Crystal Tower”: colpito il clan di Torretta (PA), in manette i “postini” di Messina Denaro

Redazione il . Giustizia, Mafie, Sicilia

La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura palermitana ha delegato i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal locale Ufficio G.I.P., nei confronti di 11 indagati (9 in carcere, uno agli arresti domiciliari e uno con obbligo di dimora nel comune di residenza), ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

L’indagine, condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Palermo e coordinata da un pool di magistrati diretti dal Procuratore Aggiunto, rappresenta l’esito di una complessa manovra investigativa volta ad approfondire la struttura e le attività criminali di una storica articolazione di cosa nostra palermitana, inserita nel mandamento urbano di Passo di Rigano, e costituita dalla famiglia mafiosa di Torretta. Stabilmente ancorata nell’omonimo paese, un piccolo borgo con poco più di 4.000 abitanti nell’hinterland palermitano, da sempre roccaforte mafiosa e punto di collegamento tra cosa nostra siciliana e l’omologa organizzazione criminale newyorkese, la famiglia mafiosa torrettese si è in passato distinta, tra l’altro, per il ruolo dei suoi esponenti quali garanti per il rientro in Italia dei cd. “scappati”, rappresentati dalla fazione sconfitta e ostracizzata dai corleonesi di Riina Salvatore al termine della seconda guerra di mafia.

La ricostruzione dei fatti che segue è fondata sui gravi indizi di colpevolezza prospettati dalla D.D.A.- Sezione territoriale di Palermo e ritenuti dal GIP.

La complessa attività investigativa rivelava un quadro completo della locale realtà mafiosa, caratterizzata da una costante, sebbene incruenta, conflittualità interna nell’ambito della quale emergevano soggetti appartenenti a fazioni storicamente slegate fra loro.

L’attività investigativa permetteva, tra l’altro, di ricostruire puntualmente:

  • -numerosi incontri riservati organizzati nelle zone rurali tra gli affiliati del sodalizio ed in particolare un summit avvenuto la sera del 21.11.2018 tra le figure verticistiche della famiglia mafiosa torrettese.
  • la missione a Palermo alla fine del mese di settembre del 2018 di un emissario di cosa nostra d’oltreoceano, accolto dai vertici della famiglia mafiosa di Torretta. La permanenza dell’uomo nell’area torrettese veniva garantita, tra gli altri, dai dei fratelli  che, dividendosi i ruoli, ne curavano il prelevamento in aeroporto e ne garantivano il soggiorno in una lussuosa villa con piscina di Mondello, dove veniva fatto dono di alcuni grammi di cocaina in segno di benvenuto.
  • l’immediata attivazione della consorteria all’indomani dell’omicidio del mafioso americano F. C. detto “Franky Boy”, avvenuto a Staten Island (New York) la sera del 13.03.2019. Nei giorni successivi, si registrava la partenza per gli Stati Uniti del figlio di uno degli indagati, che, durante la sua permanenza a New York, si relazionava anche con elementi ritenuti appartenere alla locale organizzazione mafiosa, fra cui proprio l’emissario monitorato nel torrettese nel settembre 2018. Rientrato dal viaggio, il giovane riferiva il clima di profonda tensione creatosi sulla sponda americana, esprimendo le proprie valutazioni sulla possibile successione del C. alla guida della compagine mafiosa americana. Contestualmente, a Torretta si registravano i commenti “di prima mano” di alcuni degli indagati che conoscevano personalmente F. C. e che, in un primo momento, avevano temuto che l’episodio potesse ingenerare una pericolosa escalation di violenze nella quale rischiavano di rimanere direttamente coinvolti anche altri soggetti a lui vicini, considerati attivi nel contesto mafioso americano;
  • il danneggiamento di un autovettura, interpretato come un segnale del proprio mancato allineamento alla fazione mafiosa in auge, i loro propositi di vendetta e il tentativo di estorsione operato ai danni di un cugino, nonché una disputa con un altro compaesano, nata da motivi legati ai confini delle rispettive tenute agricole di Piano dell’Occhio, dove si registrava il ricorso – da entrambe le parti – alle figure apicali della consorteria per la risoluzione definitiva della controversia.
  • delineare la struttura della famiglia mafiosa torrettese, oltre che individuare i canali di comunicazione con gli esponenti di vertice del mandamento mafioso di Passo di Rigano, cristallizzandone le funzioni e definendone le modalità di interazione con le paritetiche realtà mafiose urbane;
  • documentare il persistente e saldo legame con esponenti di spicco de “la cosa nostra” statunitense capace, da un lato, di condizionare, attraverso propri emissari, gli assetti criminali torrettesi e, dall’altro, essere fonte di tensioni in occasione dell’omicidio del mafioso newyorkese C.F,, esponente apicale della famiglia “Gambino” di New York;
  • coglierne la capacità di inserirsi forzatamente nel locale tessuto economico, caratterizzato da attività connesse all’edilizia, all’agricoltura e all’allevamento di bestiame, tramite l’imposizione delle sensalerie nelle compravendite e attraverso il diretto intervento nelle dinamiche di compravendita degli animali e dei terreni;
  • individuarne la capillare ingerenza nelle dinamiche relative alle commesse di lavoro pubbliche e private a Torretta e nei limitrofi comuni di Capaci, Isola delle Femmine e Carini, oltre che in alcuni quartieri di Palermo;
  • ricostruirne, prima del commissariamento avvenuto il 07.08.2019, il proposito di infiltrarsi nella locale amministrazione comunale, tuttora commissariata, e di indirizzare le relative decisioni amministrative, nonché di modificare l’esito delle elezioni comunali, fornendo, nel corso delle elezioni amministrative del 2018, supporto ai candidati di schieramenti opposti;

L’approfondimento investigativo svolto in direzione della famiglia mafiosa torrettese permetteva, nel complesso, di registrare diversi tentativi, da parte del sodalizio, di esigere, avvalendosi della forza d’intimidazione del vincolo associativo, somme di denaro e utilità da parte di diverse vittime; tra queste emerge un tentativo di estorsione seguito da diversi atti intimidatori, consistiti in piccoli furti e danneggiamenti, perpetrati ai danni di un imprenditore agricolo palermitano, inseritosi nella zona torrettese e subito avvicinato dalla consorteria, che, sin da subito, ha mostrato la propria collaborazione, denunciando le pressioni subite.

In definitiva, le investigazioni restituiscono una rinnovata vitalità della famiglia mafiosa di Torretta che, forte dei suoi legami con gli affiliati americani e della ritrovata autorevolezza dei vertici del mandamento, puntava a ritornare ai fasti del passato, ergendosi nuovamente a testa di ponte fra le due anime di cosa nostra, quella siciliana e quella d’oltremare, da sempre costituenti due facce di una stessa medaglia.

Fonte: Arma dei Carabinieri, Comando Provinciale di Palermo

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Mafia, blitz contro il clan di Torretta da lì passavano i pizzini per Messina Denaro

Undici misure cautelari per componenti della famiglia mafiosa locale che da sempre ha con solidi legami con la mafia newyorkese

I Carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno eseguito una misura cautelare nei confronti di 11 persone accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Sarebbero tutti componenti della famiglia mafiosa di Torretta, comune in provincia di Palermo, da sempre con solidi legami con la mafia newyorkese.

Le indagini coordinate dalla Dda hanno portato nove persone in carcere, una agli arresti domiciliari e una all’obbligo di dimora nel comune di residenza.

Al centro dell’indagine ci sono il mandamento di Passo di Rigano e la famiglia mafiosa di Torretta, un piccolo borgo con poco più di 4.000 abitanti nell’hinterland palermitano, da sempre roccaforte mafiosa alleata dei cosiddetti ‘scappati’, boss della fazione sconfitta dai corleonesi di Totò Riina al termine della seconda guerra di mafia e costretti all’esilio negli Usa.

Ruolo di rilievo nel clan avrebbe Raffaele Di Maggio, figlio dello storico esponente mafioso Giuseppe Di Maggio detto ‘Piddu’, morto nel gennaio 2019. Fedelissimi del boss erano Ignazio Antonino Mannino, anche lui con funzione direttiva e organizzativa, Calogero Badalamenti cui era stata affidato il controllo sul territorio di Bellolampo,

I pizzini per Matteo Messina Denaro passavano da Torretta. Il ruolo di raccoglitore dei messaggi lo avrebbe svolto, secondo gli investigatori Lorenzo Di Maggio, detto “Lorenzino”, tornato in libertà nel 2017. E’ il pentito Antonino Pipitone che lo accusa di essere stato il postino dei messaggi per il capomafia di Castelvetrano. “Gran parte dei pizzini sia della provincia che dei mandamenti di Palermo che dovevano arrivare al superlatitante arrivavano sempre a lui”, ha sostenuto il collaboratore di giustizia. “I biglietti gli venivano consegnati dove lavorava o a casa della madre”. Pipitone ha svelato che i pizzini venivano poi consegnati da Di Maggio a Calogero Caruso, “il quale a sua volta li consegnava a Campobello di Mazara, utilizzando l’auto del Comune di Torretta dove Caruso all’epoca lavorava”.

Lorenzo Di Maggio, detto ‘Lorenzino’ scarcerato nell’agosto del 2017 e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Carini, Calogero Caruso, detto Merendino, ritenuto una figura di vertice della ‘famiglia’, il nipote Filippo Gambino e Calogero Christian Zito, che faceva la spola tra la Sicilia e gli Usa. Le attività indagine hanno interessato anche due fratelli imprenditori edili di Torretta.

Le indagini hanno documentato il legame con esponenti di spicco di “cosa nostra” statunitense capace di condizionare, attraverso propri emissari, gli assetti criminali della cosca. La mafia di Torretta si sarebbe inserita nel tessuto economico legale, tra edilizia, agricoltura e allevamento di bestiame attraverso il diretto intervento nelle dinamiche di compravendita degli animali e dei terreni. Il clan avrebbe controllato inoltre le commesse pubbliche e private non solo a Torretta ma anche nei comuni limitrofi di Capaci, Isola delle Femmine e Carini, oltre che in alcuni quartieri di Palermo che fanno capo al “mandamento” di Passo di Rigano.

Alla fine del mese di settembre del 2018 un emissario di Cosa nostra americana è stato accolto dai vertici della famiglia mafiosa di Torretta. La permanenza dell’uomo in zona fu coperta, tra gli altri, da due fratelli imprenditori che, dividendosi i ruoli, lo avrebbero preso in aeroporto e ne avrebbero garantito il soggiorno in una lussuosa villa con piscina di Mondello, regalandogli la cocaina in segno di benvenuto.

Fonte: Ansa Sicilia

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Il ponte sull’America e Messina Denaro, decapitato il clan mafioso di Torretta

Un emissario da New York e le tensioni dopo l’omicidio di Franky Boy, “u picciuttieddu che usciva pazzo per i torrettesi”. Tra gli arrestati due messaggeri del padrino di Castelvetrano

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Un ponte solido con Cosa nostra americana. L’emissario giunto da New York, le missioni oltreoceano dei siciliani e le tensioni dopo l’omicidio di Franky Boy. E poi le estorsioni, gli appalti, le mani sull’economia e sulle elezioni. Il passaggio dei pizzini di Matteo Messina Denaro, con uno dei postini che usava l’auto del Comune.

Torretta, piccolo centro della provincia di Palermo, appena quattromila anime, si conferma roccaforte mafiosa e punto di collegamento tra Cosa nostra siciliana e l’organizzazione criminale della Grande Mela. Il blitz antimafia dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo ha decapitato, nell’operazione denominata “Crystal Tower”, la strategica famiglia mafiosa, che rientra nel mandamento palermitano di Passo di Rigano.

Sono 11 i destinatari della misura di custodia cautelare (9 arrestati, uno ai domiciliari e un obbligo di dimora), disposte dal gip su richiesta della Dda di Palermo. Le indagini sono coordinate dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e i reati contestati, a vario titolo, sono associazione di tipo mafioso, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Gli ‘scappati’ e gli americani 

In passato Torretta si è distinta per il ruolo dei suoi esponenti quali garanti per il rientro in Italia dei cosiddetti ‘scappati’, rappresentati dalla fazione sconfitta e colpita dai corleonesi di Salvatore Riina, al termine della seconda guerra di mafia.

Il provvedimento riguarda, fra gli altri Raffaele Di Maggio, figlio dello storico esponente mafioso Giuseppe Di Maggio, detto ‘Piddu i Raffaele’ (deceduto nel gennaio 2019), al vertice della famiglia mafiosa torrettese, coadiuvato da Antonino Ignazio Mannino e Calogero Badalamenti, cui era affidata l’area di Bellolampo.

Tra i destinatari della misura anche Lorenzo Di Maggio, detto Lorenzino, scarcerato nell’agosto del 2017 e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Carini; Calogero Caruso, detto Merendino, anziano affiliato con un passato da figura di vertice della famiglia mafiosa di Torretta, Filippo Gambino, suo nipote, Christian Calogero Zito, che si occupava dei contatti con gli Usa, dove si è spesso recato.

U Picciuttieddu pazzo per i torrettesi’

Documentato “il persistente e saldo legame con esponenti di spicco de “la Cosa nostra” statunitense capace – affermano i carabinieri – da un lato, di condizionare, attraverso propri emissari, gli assetti criminali di Torretta, e, dall’altro, essere fonte di tensioni in occasione dell’omicidio del mafioso newyorkese Frank Calì, esponente apicale della famiglia Gambino di New York, “u picciuttieddu”, si sente in una intercettazione, “che usciva pazzo per i torrettesi”, a conferma di un legame stretto.

Le riunioni riservate tra gli affiliati e l’avvento dell’emissario di Cosa nostra statunitense accolto dai boss di Torretta: sono numerosi gli incontri riservati organizzati dal clan, in particolare quello del 21 novembre 2018 a casa di Raffaele Di Maggio, tra le figure di vertice della famiglia mafiosa torrettese e a cui hanno partecipato anche Antonino Ignazio Mannino, Calogero Badalamenti e il padre di Christian Calogero Zito (su cui pende un mandato di cattura).

L’emissario

A settembre dello stesso anno era sbarcato in Sicilia l’emissario di Cosa nostra statunitense accolto con tutti gli onori dalla cosca di Torretta, prelevato all’aeroporto e alloggiato in una lussuosa villa con piscina a Mondello e anche un grammo di cocaina come segno di benvenuto. “U signorino venuto appositamente dall’America per condizionare… lo sappiamo tutti”, afferma una voce captata.

L’americano in questo periodo ha partecipato a incontri riservati prima a Torretta e poi a Baucina. Ma l’indagine ha registrato in diretta la fibrillazione e l’immediata attivazione della cosca di Torretta quando, il 13 settembre 2019, a Staten Island (New York), venne ucciso a colpi di pistola Frank Calì.

Segnali di guerra

Nei giorni successivi si è registrata la partenza per gli Stati Uniti del figlio di uno degli indagati, che, durante la sua permanenza a New York, si è relazionato anche con soggetti della Cosa nostra locale, tra cui l’emissario giunto a Torretta l’anno precedente. Rientrato in Sicilia il giovane ha riferito il clima di profonda tensione creatosi sulla sponda americana e le proprie valutazioni sulla successione al vertice di Franky Boy”.

Allo stesso tempo i carabinieri hanno registrato i commenti di prima mano di alcuni che conoscevano personalmente Frank Calì e che, in un primo momento, avevano temuto una pericolosa escalation di violenze nella quale rischiavano di rimanere direttamente coinvolti anche altri soggetti a lui vicini, considerati attivi nel contesto mafioso americano.

I ‘postini’ di Messina Denaro

Lorenzo Di Maggio, detto Lorenzino, Secondo il pentito Antonino Pipitone era un tassello importate della rete di comunicazione di Matteo Messina Denaro. I pizzini che circolavano tra la provincia e il capoluogo, passavano da lui: gli venivano affidati o nel posto di lavoro o a casa della madre. Poi il passaggio da Di Maggio a un altro degli Arrestati, Calogero Caruso, detto ‘Merendino’, che, utilizzando l’auto del Comune di Torretta, per il quale lavorava, giungevano a Campobello di Mazara.

Appalti e voti

La famiglia di Torretta era anche in grado di condizionare le attività del territorio e gli appalti non solo del paese, ma anche dei comuni limitrofi, come Isola delle Femmine, Carini e anche di alcuni quartieri del capoluogo siciliano. Riusciva pure a inserirsi nel tessuto economico, caratterizzato da attività connesse all’edilizia, all’agricoltura e all’allevamento di bestiame; con una forte e diffusa ingerenza nelle commesse pubbliche e private a Torretta e nei limitrofi comuni di Capaci, Isola delle Femmine e Carini, oltre che in alcuni quartieri di Palermo.

Registrata, prima del commissariamento avvenuto ad agosto 2019, l’intenzione del clan di infiltrarsi nell’amministrazione comunale, tuttora commissariata, e di indirizzare le decisioni amministrative, nonché di modificare l’esito delle elezioni comunali, fornendo nel 2018, supporto ai candidati di schieramenti opposti.

Fasti da roccaforte

“Le prolungate indagini hanno dimostrato le relazioni tra i mafiosi italiani e quelli degli Stati Uniti, ma anche una penetrazione opprimente nel tessuto economico della comunità e un inquinamento delle istituzioni locali”, afferma il generale Arturo Guarino, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo. Così, l’attività investigativa restituisce l’immagine di una rinnovata vitalità della famiglia mafiosa di Torretta che, forte dei suoi legami con gli affiliati americani e della ritrovata autorevolezza dei vertici del mandamento, “puntava a ritornare ai fasti del passato, quale testa di ponte fra Cosa nostra siciliana e quella Usa”.

Fonte: Agi, Agenzia Italia

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